Roma venerdì ospita il Global Health Summit, il vertice sulla salute dove i capi di governo, e non solo loro, fanno i conti con la pandemia, con gli errori fatti nel gestirla e con le sfide per il futuro. Il biglietto aereo di Ursula von der Leyen è fatto, la presidente della Commissione europea dice che «questo disastro globale lo si poteva prevenire» e arriva nella capitale italiana con l’ambizione non da poco di «prevenire il prossimo disastro». L’Italia, che ha la presidenza di turno del G20, organizza l’evento assieme alla Commissione europea: il premier Mario Draghi e von der Leyen ci mettono la presidenza e la faccia. L’evento è così atteso che la Commissione europea sul suo sito tiene aggiornato il countdown e ci ricorda così che manca davvero poco. Questo potrebbe essere anche il summit nel quale Bruxelles, colta di sorpresa dalla presa di posizione di Joe Biden per la liberazione dei brevetti dei vaccini, supera le proprie divisioni sul tema e propone una strada di compromesso. Proprio perché manca poco e le aspettative sono alte, bisogna sperare allora che i leader tirino fuori un coniglio dal cappello: il testo della bozza di dichiarazione di Roma che abbiamo potuto leggere, e che è stato stilato questo mese, si fa notare più per ciò che non dice che per ciò che afferma.

La bozza di dichiarazione

C’è un paragrafo in fondo alla prima pagina; è in corsivo ed è incorniciato tra due parentesi. Dice: «Qui si possono inserire annunci e iniziative. Lavorare su ciò che impedisce un accesso equo? Condividere dosi a livello globale attraverso Covax? Principi per un accesso equo?». Questo paragrafo in corsivo, messo come una nota a margine, un segnaposto da riempire, tocca in realtà – in questo caso, sfiora – uno dei punti decisivi del dibattito politico globale. Che è: come garantire un accesso equo, o comunque meno iniquo, a farmaci e vaccini? Peccato che in questa bozza ci siano solo risposte sfuggenti alla domanda.

Il testo preparatorio della dichiarazione di Roma, che verrà siglata venerdì, elenca una lunga serie di principi. Dice che «la pandemia è una crisi sanitaria e socio-economica che colpisce in modo sproporzionato le categorie già emarginate, come le donne, e nessuno potrà ritenersi al sicuro finché tutti i paesi non saranno in grado di arginare i contagi». A livello teorico, i leader sembrano pronti a riconoscere che «investire nella salute e nella sicurezza globale significa investire nei beni pubblici, e le somme in questione sono comunque inferiori ai costi dell’inerzia». C’è pure un impegno a supportare «il multilateralismo», ad aumentare la «capacità manifatturiera globale» e a sostenere «un robusto sistema di consegna dei vaccini».

Silenzio sui brevetti

Ma al di là dei principi e della teoria, quali sono gli «annunci e iniziative»? Quel paragrafo rimane da riempire. La perifrasi “Trips waiver”, e cioè un qualche riferimento al dibattito in corso alla World trade organization sulla sospensione dei brevetti dei vaccini, semplicemente non figura nella bozza. In compenso, in cima agli impegni da prendere, al terzo punto, si trova una dichiarazione a sostegno delle licenze volontarie e delle partnership private. Il riferimento è agli accordi volontari tra Big Pharma e manifatture: questa è la strada privilegiata finora da Bruxelles, ed è anche la via prediletta da Ngozi Okonjo-Iweala. La direttrice della Wto la chiama «terza via», e per realizzarla ha anche incontrato le aziende farmaceutiche; suscitando così l’irritazione di India e Sudafrica, che da ottobre chiedono – con il sostegno ormai di 118 paesi – di fare deroghe alla proprietà intellettuale su farmaci e vaccini per l’emergenza pandemica. L’Ue, assieme a un pugno di paesi ricchi, aveva tenuto in ostaggio questo piano, impedendo il raggiungimento di un consenso unanime alla Wto. Ma la dichiarazione di disponibilità da parte di Washington in tema di brevetti e vaccini ha scongelato il dibattito. Che poi si è di nuovo arenato, di fronte alla opposizione di alcuni governi europei, Germania in testa, e di Bruxelles stessa, a procedere per la liberazione dei brevetti.

Strategie dilatorie

Il summit di venerdì rappresenta idealmente l’occasione per von der Leyen e Draghi per uscire dalla impasse. Pochi giorni dopo, il 24 maggio, si tiene l’assemblea mondiale della sanità. L’8 giugno c’è il consiglio Trips alla Wto. Ma tutti i segnali, bozza di dichiarazione inclusa, suggeriscono invece che l’Ue non vuole approfittare dell’iniziativa Usa per muoversi in direzione di una sospensione dei brevetti; al contrario. Mentre ragiona su come riformulare la questione, l’Europa tergiversa, e nella sostanza rinvia la questione; quindi non vuole uscire dall’impasse. Un esempio si vede in europarlamento: la sinistra, assieme a socialdemocratici e Verdi, ha chiesto che nella plenaria di questo mercoledì venisse votata una risoluzione per impegnare l’Ue sulla sospensione dei brevetti; ma popolari, liberali e conservatori sono riusciti a rinviare il voto a giugno. In aula ci sarà quindi solo il dibattito.

Consultazioni fake

Anche la preparazione del summit sulla salute globale di venerdì procede senza recepire le spinte di attivisti e organizzazioni non governative in tema di accesso equo a farmaci e vaccini. «Ad aprile c’è stata una consultazione in vista del summit» dice Nicoletta Dentico, che dirige il programma di health justice alla Society for International Development. «Ma la bozza di dichiarazione non recepisce affatto le sollecitazioni veicolate a più voci dalla società civile in questa consultazione, a cominciare dalla richiesta di sospensione dei brevetti». Pauline Londeix ha co-fondato l’Observatoire transparence médicaments, osservatorio francese che chiede trasparenza sulla salute pubblica. Lei parla di «consultazioni fake»: «Formalmente la società civile viene consultata, ma poi ciò che chiediamo da mesi e mesi non ha nessun impatto nelle decisioni. Una opportunità persa». Monica Di Sisto di Fairwatch è ancora più caustica: «Avete presente quando a miss Italia le concorrenti dicevano, vogliamo la pace nel mondo? La dichiarazione rischia di essere altrettanto inconsistente».

Cosa fa Washington

Merkel ribadisce che la sospensione dei brevetti non è la soluzione, l’Ue si mantiene su questa linea e fino a ieri ha risposto all’iniziativa di Biden sui brevetti accusando gli Usa di bloccare però nel frattempo le esportazioni. Ieri il presidente statunitense ha dato un segnale su questo, e ha annunciato l’export di 80 milioni di dosi – 20 più del previsto – entro fine giugno. Von der Leyen aveva promesso di valutare la proposta statunitense una volta che fosse stata messa sul tavolo: cosa aspetta Washington? In realtà un testo c’è, gli attivisti statunitensi lo hanno anche visto; si ispira al modello di sospensione dei brevetti già visto per l’accesso ai farmaci contro l’Hiv. Un punto sul quale è previsto un negoziato è la durata della sospensione stessa. Ma questa bozza non è stata protocollata, il suo iter formale non è stato avviato. Nel frattempo la rappresentante americana per il Commercio, Katherine Tai, ha incontrato il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, che ha la delega al commercio. I due hanno discusso di una tregua sui dazi, poi Tai ha ribadito «l’impegno dell’amministrazione Biden per la sospensione dei brevetti e la volontà di negoziare su un testo». Il rischio, dice Jaume Vidal di Health Action International, è che «Usa e Ue stiano giocando a poliziotto buono e cattivo».

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