Mentre tanti europei e un certo numero di russi scendono in piazza per chiedere la pace, gli ucraini vivono la guerra: ci sono i 198 morti riferiti sabato mattina dal ministero della Salute ucraino, una cifra che non racconta però le storie dei bambini finiti dentro quel numero. Dalle cinque di pomeriggio alle otto di mattina, la capitale è sotto coprifuoco, ed è così che si sveglia. E poi ci sono le persone in fuga: già ora, almeno 120mila, la maggior parte verso la Polonia.

Nel 2014, quando Vladimir Putin si è preso la Crimea, si è arrivati a quel numero dopo mesi, non in pochi giorni. Si fuggiva da una parte di paese all’altra, e dopo anni – a fine 2016 – gli sfollati interni erano quasi due milioni. Stavolta, con tutta l’Ucraina bersagliata dalla Russia, persino il lembo più vicino alla Polonia e quindi a ridosso di un territorio Ue e Nato, la prima previsione dell’Onu è che se la situazione si deteriora, come pare, ci saranno quattro milioni di persone in cerca di protezione in Europa.

Ora un intero popolo è costretto alla fuga.

Copiright 2022 The Associated Press.

Non c’è solo la guerra che uccide in Ucraina ma anche la crisi umanitaria che coinvolge tutta Europa, e che si preannuncia di proporzione vasta. Eppure l’occidente si muove con lentezza: fino a sabato, ancora si discuteva su quali paesi avessero ostacolato l’esclusione della Russia dal sistema di pagamenti Swift. E soltanto ora, la Germania ha dato segno di cambiare il suo approccio sul blocco delle armi destinate all’Ucraina.

Un’offensiva ampia

Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino che ha rifiutato di andare in esilio, invita la popolazione a resistere e gira video col telefonino per mostrare che non abbandona Kiev. Prova a galvanizzare una popolazione che guarda attonita i missili cadere, e altrettanto fanno gli Stati Uniti: anche se «la maggior parte dei 150mila soldati russi sono già dentro il paese», dice il Pentagono, «sono pure sempre più frustrati» dall’opposizione sul campo degli ucraini.

Ma intanto la Russia ha esteso la sua offensiva, e a prescindere dai ritmi o dal raggiungimento dell’obiettivo cruciale, cioè la presa della capitale, l’esercito russo coi suoi missili e carrarmati terrorizza il paese da ogni lato. «Avanzate in tutte le direzioni», è l’ordine del Cremlino. A sud ci sono battaglie in punti strategici, e Putin ha disposto carrarmati e jet. Il Donbass, a est, è stato il prodromo dell’invasione. A nord i bersagli non sono solo Kiev, o Chernobyl, ma anche Charkiv, e il Cremlino osa anche nei punti più vicini alla frontiera con l’Ue. Non viene risparmiata neppure Leopoli, vicina al confine polacco, dove gli Stati Uniti avevano in un primo tempo spostato la loro ambasciata e dove gli ucraini si dirigono per fuggire in Ue: «C’è la vernice fluorescente sulle strade, la hanno usata le forze russe per dirigere i missili», conferma Marc Santora, sul posto per il New York Times.

Le reazioni occidentali

Sia la Nato che la Casa Bianca hanno sempre ribadito di limitarsi a presidiare con le truppe l’alleanza, di cui l’Ucraina non fa parte, anche se Zelensky oggi ha insistito su una futura adesione all’Ue. Alcuni paesi occidentali spediscono però armi, come fa il Belgio promettendo 2mila mitragliatrici; o carburante, come la Slovacchia. Il premier Mario Draghi, nella telefonata al presidente ucraino, ha detto che «l’Italia fornirà all’Ucraina assistenza per difendersi».

La Germania, che nelle scorse settimane aveva suscitato polemiche per la scelta di impedire l’arrivo di armi verso Kiev, ora fa un passo: ha autorizzato ieri l’Olanda a far arrivare materiale bellico nel paese. Poi il tweet del cancelliere: «L'attacco russo segna una svolta. È nostro dovere fare del nostro meglio per aiutare l'Ucraina a difendersi dall'esercito invasore di Putin. Ecco perché le stiamo fornendo mille armi anticarro e 500 missili stinger».

Si allunga la lista di paesi che chiudono i propri spazi aerei alle compagnie russe: oltre a Varsavia o Praga, ieri anche Estonia e Slovenia. Anonymous, il collettivo hacker, dichiara la sua cyberguerra contro il governo russo: ieri l’attacco informatico ha mandato in panne siti web governativi e presidenziali di Mosca.

Chi in questa guerra teme di più la Russia, e cioè la leadership ucraina ma pure quella polacca e dei paesi baltici, insiste che l’Ue debba fare di più. Si spiega così sia la pressione di Zelensky verso i governi italiano, ungherese e cipriota, che quella del premier polacco Mateusz Morawiecki verso il suo omologo Olaf Scholz. L’obiettivo era di piegare le ultime reticenze all’adozione di sanzioni anti-Mosca che coinvolgano il sistema di pagamenti internazionali Swift. «L’Italia si allinea al resto dell’Ue», dice Draghi per rassicurare Kiev, mentre Berlino pare arrendersi a «una restrizione mirata e funzionale» a Swift.

Mentre l’Ue impiega tempo e fatiche per assumere una posizione drastica verso la Russia, il Cremlino è già oltre. L’ex presidente Dmitry Medvedev annuncia contromisure: «Blocco di asset e compagnie straniere in Russia, magari la nazionalizzazione delle proprietà di giurisdizioni “poco amichevoli”». Il presidente ucraino fa pressioni anche sulla Turchia perché chiuda alle navi da guerra russe Bosforo e Dardanelli; Turchia che in teoria è alleata, e membro Nato, ma sconta le ambiguità tattiche del presidente Recep Tayyp Erdogan.

Fuga in Europa

La diplomazia sconta i suoi limiti e la guerra procede, intanto l’Ue fa fronte a una crisi umanitaria. Paesi come la Polonia discutono da settimane dell’arrivo di ucraini in cerca di protezione. Ma sia Varsavia, che la Commissione Ue, hanno contribuito fino a poche settimane fa a legalizzare i respingimenti illegali alla frontiera con la Bielorussia, usando dispositivi di emergenza che restano invece tuttora inutilizzati per accogliere. Stavolta i governi polacco e ungherese usano parole di accoglienza: la Polonia fa da scudo a Mosca e l’Ungheria per la presenza di proprie minoranze in Ucraina. Pure la destra italiana, con Matteo Salvini, fa i distinguo: questi «sono profughi veri». Stavolta nessuno osa sostenere in pubblico che gli ucraini non vadano accolti. Ma manca ancora un piano strutturato europeo. «Esigeremo un intervento alla plenaria straordinaria di martedì», dice l’eurodeputato Pd Pierfrancesco Majorino, che è stato alla frontiera polacca. «Spero sia un’occasione per aiutare anche chi è rimasto bloccato alla frontiera da prima».

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