L’ex presidente Barack e la moglie Michelle parlano alla platea di Chicago spingendo Kamala Harris con la loro grande popolarità tra i progressisti, anche se l’attuale partito democratico è molto diverso da quello che ha visto l’ascesa del primo inquilino della Casa Bianca afroamericano. L’influenza obamiana però si sente, soprattutto dietro le quinte e anche grazie all’uso dei consulenti politici
Dopo il giorno dell’unità tra la sinistra di Alexandria Ocasio-Cortez e l’establishment incarnato da Hillary Clinton, è arrivato il giorno di Barack e Michelle Obama. L’ex coppia presidenziale ha parlato di fronte alla platea dei delegati democratici sul palco di Chicago, spingendo per l’elezione di Kamala Harris e cercando di sfruttare l’immensa popolarità tra l’elettorato progressista.
In un programma che ha visto, tra gli altri, anche gli interventi del leader dem al Senato Chuck Schumer e del senatore socialista del Vermont Bernie Sanders, lo star power degli Obama continua a brillare. Anche se il partito ormai è molto diverso rispetto a quello che lo aveva incoronato candidato presidente nel lontano 2008: all’epoca c’era un’ala moderata al Congresso che frenava spinte in avanti sui diritti Lgbtq+, sull’aborto e persino sulla spesa pubblica per evitare di spaventare quell’elettorato moderato che all’epoca si riteneva cruciale per vincere le elezioni.
Obama ci aveva provato, a rompere quel dogma, spostando il partito verso un centro più progressista, ma senza intaccare in modo significativo i dettami dell’economia post-reaganiana: attenzione alla spesa pubblica e sostanziale rispetto dell’economia di mercato, dove interferire il meno possibile. Oggi i dem sono molto oltre queste posizioni, ma l’ex presidente ha trovato altri modi per rimanere influente. Ad esempio, attraverso i suoi collaboratori: David Axelrod, suo storico consulente di comunicazione politica, è stato uno dei maggiori critici della campagna di Joe Biden e dell’opportunità della sua ricandidatura. E anche prima del ritiro dell’attuale presidente, i due team si stavano guardando con diffidenza ormai da qualche tempo. Una delle ragioni era anche la gestione della guerra di Gaza, che l’ex stratega dem Ben Rhodes vedeva come eccessivamente sbilanciata su Israele.
Ad ogni modo, al netto della nuova inimicizia tra Obama e Biden su cui tanto si è scritto, l’impronta del primo presidente afroamericano sull’attuale partito democratico non è ideologica, bensì operativa. Molti si chiedevano cosa avrebbe fatto dopo aver lasciato la presidenza nel 2017, a soli 56 anni. Il suo muoversi felpato dietro le quinte nel 2020 e nel 2024 lo certificano quale nuovo “boss” informale dei dem. Il riferimento non è al crimine organizzato, ma a William “Boss” Tweed, politico che guidò l’organizzazione di Tammany Hall, attiva nel raccogliere voti per il partito nella New York del diciannovesimo secolo. Ovviamente Obama non usa i metodi clientelari do oltre cent’anni fa, ma è chiaro che l’uso della sua moral suasion di ex leader relativamente giovane ha pesato sia nel riunire il partito attorno al suo ex vice nel 2020 così come, qualche settimana fa, si è mosso per convincerlo a fare un passo indietro.
A confermare questa ipotesi ci sono anche i cambiamenti fatti proprio da Kamala Harris da quando è candidata dentro lo staff della campagna elettorale: se il comando rimane formalmente alla fedelissima di Biden Jen O’Malley Dillon, ci sono stati innesti importanti provenienti proprio dalla cerchia obamiana, a cominciare dallo stratega David Plouffe, che è stato assunto con la carica di consulente senior. Oltre a Plouffe arrivano anche Mitch Stewart, che si occuperà degli stati in bilico e David Binder, che guiderà le ricerche relative al sentimento dell’opinione pubblica.
Insomma, Obama non è solo popolare, ma è anche influente e i suoi ex collaboratori sono pienamente coinvolti nello sforzo per eleggere Harris. Diverso e non politico in senso stretto invece il ruolo di Michelle Obama all’interno dei dem attuali, a volte citata da qualche analista non bene informato come candidata in questa tornata nei mesi scorsi: la sua popolarità personale è un asset che deriva anche dal successo di alcune sue opere, in primi il memoir autobiografico Becoming. Anche nel suo caso però non è una popolarità a 360 gradi: se nel 2016 il suo slogan era “when they go low, we go high”, stavolta i dem sono ben felici di rispondere a Donald Trump anche con l’uso di colpi bassi, ritenuti di grande efficacia.
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