America depressa, Russia isolata: i due imperi hanno piedi d’argilla

Sì, il tentativo di far cessare la guerra in Ucraina potrebbe rappresentare una svolta politico-diplomatica di ampio respiro. Gli Stati Uniti di Donald Trump hanno compiuto una sterzata pragmatica, abbandonando le illusioni di “vittoria” sulla Russia che avevano caratterizzato le scelte di Joe Biden e della Gran Bretagna di Boris Johnson (senza peraltro darsi i mezzi per ottenerla). Ci si arrende all’evidenza delle cose: la Russia è inevitabile in Europa ed è necessario trattare con Mosca, cosa ovviamente non facile. Anche gli europei sembrano aver compreso che non si può ottenere da Mosca una tregua senza negoziare il resto: sul terreno i russi sono in vantaggio tattico e si fermeranno soltanto in cambio di un accordo completo. Le garanzie per Kiev? «Soldi, scudo aereo e truppe sul terreno» Posizioni di partenza Le posizioni di partenza sono note: se ci saràn uno scambio “pace per territori”, c’è da discutere le garanzie di sicurezza per Kiev. Trump vorrebbe far presto per cingere l’alloro del grande pacificatore. Desidera giungere a un patto simile anche con la Cina con la quale è in atto una sfida tecnologica di prima grandezza. La fretta del tycoon porta con sé un difetto: non gli piace seguire i dettagli ed è proprio a causa di questi ultimi che le cose possono arenarsi o fallire. Sarà lungo e penoso trattare i “nuovi confini” con i russi, il posizionamento delle truppe (europee o altre), l’ombrello di difesa aerea (in cui l’Europa vuole coinvolgere gli americani), la gittata delle armi e così via. È sui dettagli che i russi tratteranno fino allo sfinimento con la solita loro grande abilità, e non è detto che gli attuali americani al comando ne siano consapevoli (anche se diplomatici e militari Usa lo sanno benissimo). Su questo terreno gli europei sono più attrezzati ma ancora lontani dal tavolo principale, anche se tale distanza diminuisce ogni giorno di più. Il fatto è che l’Europa conosce le debolezze delle grandi potenze con cui ha a che fare. Proviamo a compilare un elenco, certamente parziale. Un ponte tra Africa e Usa: le iniziative per ricordare la schiavitù e la diaspora Usa, paura e rabbia Seppure non bisogna prenderlo alla lettera, Donald Trump va sempre preso sul serio. La sua propaganda sul declino dell’America che deve «tornare grande» ha un fondo di verità. Il paese è diviso internamente e depresso socialmente. I principali dati economici non dicono tutto: la gente si sente spossessata del potere d’acquisto e reagisce all’inflazione in maniera molto più nervosa degli europei (è uno dei motivi della vittoria dei Maga). La questione dell’immigrazione ha diviso il paese tanto da permettere al presidente di inaugurare una politica durissima di arresti e espulsioni o di inviare la guardia nazionale a Los Angeles e a Washington. La guerra all’illegalità si è trasformata in una guerra contro i poveri e i cittadini meno abbienti, innestata su una diatriba ideologica attorno ai diritti civili che coinvolge il sistema giudiziario americano, debilitandolo. Il malessere razziale non è affatto superato e talvolta sembra di essere ad un passo dallo scontro civile. Trump lo sa: non vuole la guerra né in casa né fuori, ma balla pericolosamente su tale linea rossa. Più che le relazioni con la Cina, la cartina di tornasole è l’atteggiamento tenuto con il Messico, il paese con cui gli Usa sono più legati economicamente e che rappresenta la maggiore comunità immigrata. Nei suoi discorsi la presidente Claudia Sheinbaum appare sicura: l’America non può fare a meno del Messico. Ormai è troppo tardi e i dazi non possono cambiare la situazione: la manifattura di cui Trump vorrebbe il recupero sta sostanzialmente sotto il Rio Bravo (detto Rio Grande negli Usa) e non tornerà indietro. Gli interessi economici sono troppo connessi ma soprattutto Trump non può inimicarsi i circa 40 milioni di messicani e chicanos che vivono negli Usa (il 60 per cento dei latinos), la cui caratteristica è di non perdere la propria identità (né la lingua) ma di contaminare quella anglosassone. Il Messico è ormai il doppio degli Stati Uniti, la sua ombra e il suo specchio. È fragile, divisa e litigiosa: eppure l’Europa è in partita Russia, oltre la retorica L’aggressione all’Ucraina ha un suo risvolto interno: se prima i sentimenti degli ucraini erano divisi oggi sono diventati anti-russi. Se Mosca si annette il Donbass, e ciò che occupa degli altri due oblast oltre alla Crimea, può dichiarare vittoria, ma solo perché gli occidentali hanno sventuratamente accettato tale narrazione (illudendosi di vincere). Restando su quella iniziale – la difesa dell’eroica resistenza ucraina - il risultato è l’opposto: Kiev ha resistito e Mosca non è riuscita a batterla. Non basterebbe eccepire che gli ucraini hanno usato armi della Nato: è noto che quel tipo di guerra (trincee e blindati) è questione soprattutto di uomini. Certamente dopo un’iniziale brutta figura, l’armata russa ha recuperato le sua capacità di condurre una guerra ad alta intensità e sta dimostrando di ottenere risultati da quella dei droni gestiti con l’intelligenza artificiale. L’Europa non può permettersi tale tipo di conflitto perché le manca l’elemento umano. Ma a quale prezzo Mosca è tornata ad essere una potenza convenzionale (oltre ovviamente a rimanere una superpotenza nucleare)? La trasformazione in economia da guerra costa cara in termini sociali, ma le conseguenze più dolorose vengono dall’aver dovuto distrarre forze da altri fronti, come si è visto con la Siria e con il Caucaso. Inoltre il conflitto ha generato conseguenze politico-militari opposte a quanto si ricercava, come l’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia, prima neutrali. In Medio Oriente Mosca, una volta molto autorevole, non riesce ad influire. In Africa ha aumentato la sua presenza ma quel terreno rimane troppo incerto e scivoloso per tutti. Della rinnovata amicizia con l’India e del rafforzamento dell’alleanza con la Cina i russi non si possono fidare del tutto: devono comporre con interessi altrui. Infine ci sono le conseguenze delle sanzioni che alla fine si faranno sentire. Il nuovo ordine d’Alaska non durerà senza l’Europa Amici? Sempre meno L’accordo di Anchorage con gli americani serve a superare tale fase, ottenendo da Trump la fine del blocco economico e finanziario americano voluto da Joe Biden. Le relazioni con gli europei resteranno tese per molto tempo ancora, anche dopo un eventuale accordo di pace. Prima del 2022 la Russia aveva molti amici in Europa, ma ora ne restano pochi, mentre Polonia, Baltici e Nordici rimarranno ostili. Per la Russia un nuovo rapporto con gli Stati Uniti è quindi un’ottima notizia, non solo allo scopo di essere considerata un pari grado (cosa che per i russi non è mai stata in discussione) ma per cooperare alla conduzione degli affari internazionali. Washington è il migliore associato possibile per Mosca: quello di cui si può fidare di più. Prima della guerra fredda, gli Usa hanno sostenuto la Russia dopo la guerra di Crimea del 1853-56, dopo quella russo-giapponese del 1904-5 e dal 1941 in quella contro Hitler. Tra chi controlla i mari e chi la terra c’è un feeling che non tramonta, soprattutto ora che l’Artico diventa navigabile. Se evitano l’abbaglio di sentirsi al centro del mondo, per gli europei capire tutto questo è sostanziale e può creare delle buone occasioni per non rimanere irrilevanti. Le fragilità delle superpotenze diventano un’opportunità per l’Europa.