Dopo gli Stati Uniti, anche l’Unione europea prova a trovare un modus vivendi per affrontare la Cina evitando che le tensioni geopolitiche e la concorrenza compromettano il complesso delle relazioni bilaterali. Almeno fino a tutto il 2024, anno elettorale per il rinnovo sia delle istituzioni europee, sia della presidenza e del parlamento Usa. Poi si vedrà.

Le divisioni restano sostanziali. A cominciare dalla competizione economica e dalla guerra in Ucraina, questioni delle quali Ursula von der Leyen – oggi a Pechino assieme a Charles Michel per il ventiquattresimo vertice bilaterale Cina-Ue – ha discusso durante l’incontro che i due hanno avuto con Xi Jinping.

La presidente della Commissione ha ricordato al presidente cinese che «è essenziale porre fine all’aggressione russa contro l’Ucraina e stabilire una pace giusta e duratura in linea con la Carta delle Nazioni Unite». Ha inoltre chiesto a Xi di fermare le attività di 13 compagnie private cinesi che, secondo Bruxelles, esportano in Russia tecnologia a doppio impiego civile-militare, che aiuterebbe lo sforzo bellico di Mosca contro l’Ucraina.

Mentre von der Leyen parlava con Xi, le dogane cinesi pubblicavano l’ennesimo dato che evidenzia il sostegno dell’economia cinese alla Russia: nei primi undici mesi di quest’anno il commercio bilaterale ha raggiunto 218 miliardi di dollari di valore, superando con un anno di anticipo i 200 miliari di dollari che Mosca e Pechino avevano fissato come obiettivo per la fine del 2024 (da 107 miliardi di dollari nel 2018).

La Cina ha bisogno dell’Ue

Von der Leyen ha inoltre sostenuto la necessità di «riequilibrare le nostre relazioni economiche. La Cina è il partner commerciale più importante dell’Ue. Ma ci sono evidenti squilibri e interferenze che dobbiamo affrontare».

«Il deficit commerciale dell’Unione europea ammonta a quasi 400 miliardi di euro. Ci auguriamo che si possano discutere e attuare misure concrete per riequilibrare questo rapporto», ha aggiunto Michel.

La Cina – che ieri ha registrato il primo, leggero (+0,5 per cento a novembre) aumento delle esportazioni dopo sei mesi di calo – ha bisogno dell’Europa: dei suoi investimenti, dei suoi mercati, di un’Europa che maturi un approccio alla Cina diverso da quello statunitense.

Per questo Xi ha invitato i due blocchi al dialogo, alla cooperazione e a «evitare vari tipi di interferenze». Il summit è stato preparato da una raffica di missioni dei diplomatici cinesi nell’Ue nelle scorse settimane e dall’annuncio che per un anno, a partire dal 1° dicembre 2023, i cittadini italiani, francesi, tedeschi, spagnoli e olandesi potranno soggiornare in Cina per 15 giorni senza bisogno di visto d’ingresso, una misura per favorire business e turismo con le maggiori economie dei 27.

Con la presidente della Commissione e il presidente del Consiglio europeo Xi ha provato a ribaltare la logica del “de-risking”, la strategia di riduzione delle dipendenze europee dalla Cina che von der Leyen ha illustrato il 30 marzo scorso in un discorso a Berlino.

Meloni ignorata

Secondo Xi la Cina e l’Unione europea dovrebbero «completarsi a vicenda nei mercati, nei capitali e nelle tecnologie; promuovere il miglioramento delle industrie tradizionali e lo sviluppo delle industrie emergenti; esplorare nuovi modelli di cooperazione, creare nuove aree di crescita; e insieme migliorare le catene industriali e di fornitura».

Al termine dell’incontro non è stato pubblicato alcun comunicato congiunto, a testimonianza che le differenze, profonde, rimangono inalterate. Secondo il resoconto del governo di Pechino, alle profferte di Xi gli ospiti europei avrebbero replicato di voler «sviluppare una relazione costantemente stabile, prevedibile e sostenibile con la Cina».

L’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative notificata dal governo Meloni alla vigilia del vertice Cina-Ue è stata ignorata dai media nazionali, che – mentre l’economia rallenta – stanno promuovendo l’immagine rassicurante di uno Xi che migliora i rapporti con gli Stati Uniti e che apre sempre di più la Cina al mondo esterno.

Del resto, se è vero che ormai non ne fa più parte nessuna grande economia del continente, è altrettanto vero che alla nuova Via della Seta aderiscono la maggior parte dei paesi dell’Unione: Austria, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria.

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