Mentre nel mondo aumentano le ferite inferte dalla crisi climatica e l’attivismo assume nuove e contestate forme, le parti degli accordi di Parigi sul clima del 2015 si apprestano alla Cop28, la nuova conferenza tra stati che, a fine anno, si terrà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, per tirare le somme di quanto fatto (poco) e capire quanto ancora ci sia da fare (senza dubbio molto). 

La credibilità del summit, però, già compromessa dall’assegnazione della presidenza ad Ahmed Al Jaber, l’amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc), crolla in seguito alle rivelazione del Guardian in merito alla composizione dell’entourage del presidente. 

Il personale di Adnoc

Infatti, a coadiuvare il petroliere ci sarà un ufficio con ben 12 funzionari già impiegati della compagnia petrolifera emiratina. Due saranno addirittura negoziatori ufficiali, mentre gli altri forniranno sostegno al difficile compito di organizzazione e intermediazione. 

Per quanto si possa sperare in una conversione “green” dei 12, di Al Jaber e dell’intero apparato statale emiratino, l’immagine della Cop28 non può che uscirne a pezzi, soprattutto in un mondo, quello diplomatico, che si regge sulla valuta sociale della reputazione. 

Invano protesteranno attivisti, politici e governi preoccupati per il futuro del pianeta: per quanto alta sarà la loro voce, la realpolitik prevarrà sulla coerenza, imponendo di accettare per cortesia e quieto vivere i ruoli assegnati ai campioni della ben poco ecologica economia degli Emirati. 

L’inchiesta del Guardian ha rivelato anche la probabile condivisione dei luoghi di lavoro tra il personale della conferenza e i dipendenti di Adnoc, ulteriore “ingenuità” di un’organizzazione ampiamente fallace. 

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