Papa Francesco è intervenuto nuovamente sul conflitto che insanguina l’Ucraina dedicando alla questione, in modo inusuale, l’intero angelus di ieri in piazza San Pietro. Francesco, rivolgendosi a entrambi i leader delle due parti, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, ha delineato una sorta di possibile piano di pace, o almeno alcuni punti fermi dai quali partire per aprire un negoziato. L’appello del pontefice nasce da una parte dalla crescente preoccupazione che la guerra in corso possa sfociare in un’escalation nucleare dalle conseguenze incalcolabili, e contemporaneamente dall’urgenza di porre fine alle sofferenze della popolazione civile ucraina, anche perché, ha detto, «certe azioni non possono mai essere giustificate».

«In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore – ha affermato il Papa nel suo messaggio - rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate-il-fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili». «E tali saranno – ha proseguito - se fondate sul rispetto del sacrosanto valore della vita umana, nonché della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese, come pure dei diritti delle minoranze e delle legittime preoccupazioni».

Annessioni illeggittime

Di fatto Francesco ha criticato la legittimità delle annessioni di territori messe in atto negli ultimi giorni da Mosca attraverso i cosiddetti referendum nelle zone occupate militarmente dai russi, quindi ha chiesto che non vengano perseguitate le minoranze di qualunque tipo, russofoni o ucraini, un richiamo che vale tanto per il Cremlino quanto per Kiev.

L’appello a Putin e Zelensky

Con le parole sul rispetto dell’integrità territoriale la Santa Sede si allinea alla posizione della comunità internazionale che aveva sconfessato la validità dei referendum convocati da Putin (la stessa Cina si era astenuta, insieme a Brasile e India, nel voto al Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla risoluzione che condannava le annessioni, il veto era stato posto dalla sola Russia).

D’altro canto, al presidente Zelensky, Francesco chiede di essere aperto a possibili negoziati. «Il mio appello – ha affermato il papa all’angelus - si rivolge innanzitutto al Presidente della Federazione Russa, supplicandolo di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte. D’altra parte, addolorato per l’immane sofferenza della popolazione ucraina a seguito dell’aggressione subita, dirigo un altrettanto fiducioso appello al Presidente dell’Ucraina ad essere aperto a serie proposte di pace».

Rischio “coreanizzazione”

Quella della Santa sede è, finora, la più autorevole voce che si è pronunciata in favore della pace ponendo una base minima per l’avvio di un possibile negoziato. Il rischio, oltre alla deriva verso una «catastrofica» escalation nucleare, è – secondo il Vaticano – quello enunciato in un tweet da padre Antonio Spadaro: «Se non si trova una soluzione praticabile, si corre il rischio - se va bene - di una “coreanizzazione” della guerra russa in Ucraina».

In pratica la cronicizzazione di un conflitto lungo un confine non riconosciuto a livello internazionale con il persistere di forti tensioni destinate a durare nel tempo. Da sottolineare che lo stesso Francesco parlando con i gesuiti della regione russa, aveva spiegato come si fosse speso personalmente per realizzare uno scambio di prigionieri fra e due parti. Nel colloquio, riportato dalla Civiltà Cattolica, Bergoglio aveva raccontato come si fosse adoperato per trasmettere ai canali diplomatici russi la richiesta di parte ucraina relativa al rilascio di oltre 300 prigionieri. «Mi hanno chiesto di fare qualcosa per operare uno scambio – ha detto il papa - io ho subito chiamato l’ambasciatore russo per vedere se si poteva fare qualcosa, se si potesse velocizzare uno scambio di prigionieri».

Le fosse comuni di Izyum

La Farnesina convoca l’ambasciatore russo

In generale, se il Vaticano e lo stesso pontefice hanno sempre confermato una posizione di condanna dell’invasione e di grave preoccupazione per i civili coinvolti nel confitto, è anche verso che la Santa Sede ha costantemente cercato di non schierarsi apertamente con una delle parti in causa lasciando sempre aperto uno spiraglio – qualora se ne verificassero le condizioni – per esercitare un ruolo di mediazione in prima persona. D’altro canto Bergoglio ha fatto del non allineamento della Chiesa alla politica estera occidentale un caposaldo del suo magistero proprio per diventare interlocutore credibile con mondi e realtà anche lontani dal cattolicesimo.

Senza contare, ovviamente, gli innumerevoli interventi per denunciare la terza guerra mondiale che sarebbe già in corso, e di cui il conflitto ucraino sarebbe il momento più drammatico.  Tuttavia, se questa rimane la dottrina di fondo, due segnali che la sensibilità sul tema Oltretevere si sia allargata ad altri aspetti, sono arrivati nelle ultime settimane.

Di ritorno dal viaggio in Kazakistan, Francesco conversando con i giornalisti, ha parlato esplicitamente del diritto di «difendersi» che «è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama». Ma forse ancor di più, ha inciso nelle considerazioni di Francesco, quanto gli ha riferito il cardinale Konrad Krajewski inviato del papa in Ucraina.

Krajewski ha assistito, rimanendone sconvolto, all’esumazione delle fosse comuni nella località di Izyum – per diversi mesi rimasta sotto occupazione russa - avvenuta dopo la liberazione da parte delle truppe ucraine.  Il cardinale, ha detto Francesco parlando a braccio al termine di un’udienza generale, «mi ha raccontato il dolore di questo popolo, le malvagità, le mostruosità, i cadaveri torturati che trovano. Uniamoci a questo popolo così nobile e martire».

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