La potenza di fuoco della National Rifle Association, la lobby delle armi statunitense, si misura dalla cifra record spesa per influenzare le istituzioni americane. La opacità di questo gruppo di interesse si esprime anche nei legami con la Russia di Vladimir Putin.

Influenzare chi decide

«Voi siete frustrati, e io, sono frustrata: le soluzioni ci sarebbero ma il nostro ambiente politico non consente di metterle in atto», dice la deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez, di fronte all’ennesima sparatoria di massa. «Io mi ritrovo a lavorare dentro una istituzione che è corrotta. Le lobby hanno più voce della gente, nel nostro processo legislativo». I dati mostrano che la quantità di denaro drenata dai gruppi di interesse pro armi per influenzare le decisioni di Congresso e agenzie federali ha raggiunto cifre record: nel 2021, circa sedici milioni di dollari.

Nei primi tre mesi di quest’anno, i milioni sono due. La cifra è impressionante e ancora di più se confrontata con quanto hanno speso invece i gruppi che si battono per il controllo delle armi. Gli sforzi sono aumentati, e quasi triplicati nel 2013 dopo la strage alla scuola elementare di Sandy Hook, quando sono state uccise 26 persone, 20 delle quali bambini di età compresa tra i 6 e i 7 anni. La quantità di denaro rimane però assai inferiore se paragonata a quanto spende chi vuol vedere proliferare le armi. Questo mese, dopo la sparatoria di Buffalo, 38 associazioni hanno scritto alla Casa Bianca e al Congresso chiedendo di agire per fermare la violenza, cominciando col mettere un freno alle armi d’assalto. Ma un tale tipo di sforzi ha le dimensioni di un Davide contro Golia: nel 2021, questa categoria di gruppi, pur mettendo a disposizione cifre inedite rispetto al passato, ha potuto usare meno di tre milioni, contro i quasi 16 dei pro armi. Questi ultimi hanno speso oltre 114 milioni di dollari in meno di dieci anni, cioè dal 2013. La Nra nello specifico ha quasi raddoppiato le spese, dai circa due milioni di dollari del 2020 ai quasi cinque del 2021, per frenare iniziative di controllo delle armi.

Ostaggi delle lobby

Poi ci sono i soldi che vanno direttamente a candidati e partiti. Per il senatore texano Ted Cruz, il modo per evitare stragi come quella di questa settimana «è spendere per proteggere le scuole»: non limitare la diffusione delle armi, ma armarsi contro le armi. Cruz è il politico più pagato dall’Nra, sin da quando, dieci anni fa, ha messo piede al Congresso. Quando era candidato alle primarie repubblicane, poi vinte da Donald Trump, nei suoi video di campagna lo si poteva vedere mentre scioglieva orgoglioso strisce di pancetta sulla canna fumante di un fucile. Dal 1989 al 2020, i 20 membri del Congresso che hanno ricevuto più finanziamenti dai gruppi pro armi sono tutti repubblicani (Cruz è in testa con oltre 440mila dollari). Per quanto negli ultimi anni più di un sondaggio abbia mostrato che nove americani su dieci supportano quantomeno l’idea di maggiori controlli sugli acquirenti di armi, i repubblicani in Senato tengono in ostaggio un provvedimento in materia. In vista delle elezioni di metà mandato del Congresso, che si terranno a novembre, l’Nra è più attiva – e spendacciona – che mai. Lo sforzo della lobby delle armi per influenzare quegli stessi decisori politici che potrebbero contenerne il giro d’affari per arginare la violenza ha ormai drogato l’intero sistema: certo, i repubblicani sono la sponda preferita dell’Nra, ma neppure i democratici sono immuni, anche se gli eletti dem che ricevono fondi da questa lobby stanno sulle dita di una mano. Ma il punto non sono solo Sanford Bishop e i pochi altri in questione. «Nel giorno del massacro in Texas, la leadership del partito democratico si è mobilitata per un pro Nra», twitta sempre Ocasio-Cortez. Si riferisce a Henry Cuellar, che ha appena battuto alle primarie la competitor progressista Jessica Cisneros.

Connessioni russe

Oltre a condizionare la politica americana, la National Rifle Association è apparsa a sua volta influenzata in qualche forma da Mosca. Ciò che è emerso sui soldi russi incassati è solo una parte del quadro. Dopo aver negato di averne presi, l’Nra ha riconosciuto piccole donazioni, continuando a negare di aver fatto da pontiere drenando quei soldi russi in favore della campagna elettorale di Donald Trump.

Dopo un’inchiesta durata oltre un anno e mezzo, a settembre 2019 il Senato Usa ha pubblicato un rapporto che indica i legami dell’Nra con la Russia, e in particolare «in che modo un’organizzazione che è esente da tasse è diventata un asset straniero», come recita il titolo stesso del report. Secondo la ricostruzione, Mosca ha infiltrato per anni il gruppo pro armi attraverso personaggi controversi come Maria Butina, che da agente sotto copertura avrebbe tentato così di avere accesso al mondo politico conservatore americano, e che è stata anche arrestata, nell’estate 2018 a Washington.

Da Trump all’Ucraina

Dopo aver scontato 15 mesi di prigione, Butina è tornata in Russia dove è ora parlamentare di Russia Unita, il partito di Putin. Già negli anni in cui operava a Washington, ha supportato l’invasione della Crimea e la politica aggressiva russa. Negli Usa, Butina si muoveva in sinergia con un funzionario del governo russo, Aleksandr Torshin, che già otto anni fa partecipava agli eventi dell’Nra e che poi è finito ai vertici della banca centrale russa. Donna Keene, moglie dell’ex presidente dell’Nra, ha svolto il ruolo di facilitatrice dell’accesso di Butina all’organizzazione e della missione dell’Nra in Russia nel 2015. Ha confermato che «costruire relazioni col governo russo faceva parte del business dell’Nra, e che lei e il marito hanno dedicato a tutto ciò quasi un decennio», riporta il Senato. Qual era invece il business di Mosca da infiltrata nell’Nra? Costruire rapporti con i repubblicani, e favorire l’elezione di Donald Trump nel 2016.

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