Cosa c’è dietro all’attentato di Bruxelles che ha visto la morte di due tifosi svedesi alla vigilia della partita Belgio Svezia in programma lunedì sera nella capitale belga? Bisogna risalire al giugno scorso per capire l’origine di una serie di eventi che sfociano nell’attentato portato a termine dal fondamentalista tunisino Abdesalem Lassoued, forse vicino all’Isis, poi ucciso dalle forze di sicurezza del Belgio.

A quel periodo risalgono infatti i roghi del Corano che hanno scosso la Svezia e provocato reazioni violente da parte di governi e gruppi organizzati in diversi paesi musulmani a cominciare da Iran, Iraq e Turchia. Si tenga presente che nelle ore precedenti l’assassinio dei due svedesi, sul suo account Facebook – dove Il suo profilo è sotto il nome di Slayem Slouma – Abdesalem Lassoued ha postato un video in cui, col volto incappucciato, dichiarava che «il libro di Allah è una linea rossa per cui sacrificarsi».

La vendetta

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Detto fatto, la vendetta contro la Svezia è stata messa in atto colpendo due tifosi con la maglia della nazionale svedese) uno scenario quasi grottesco se di mezzo non ci fossero delle vittime, oltre a rappresentare una sorta di saldatura o un’aperta concorrenza fra estremismi islamici sciiti e sunniti.

Ma, appunto, come si sviluppò la vicenda dei libri sacri dell’islam bruciati in varie occasioni e in varie città della Svezia nel corso dell’estate? Il principale responsabile dei roghi è un certo Salwan Momika, un rifugiato iracheno di 37 anni, in Svezia dal 2018, con un permesso di soggiorno in scadenza nel 2024.

Momika, che ora si autodefinisce un ateo illuminato, da quando si è trasferito in Svezia, si è avvicinato al partito di estrema destra, xenofobo, anti migranti, dei “Democratici svedesi”. Prima, però, quando stava in Iraq, era un cristiano che faceva parte delle milizie impegnate a combattere l’Isis sotto l’ombrello dell’Iran.

Diverse indagini giornalistiche, infatti, hanno accertato che Momika ha militato nel suo paese d’origine in milizie cristiane inquadrate nelle Brigate Ali (strettamente legate a Hezbollah), facenti parte delle Forze di mobilitazione popolare che raggruppano alcune decine di formazioni militari inquadrate nell’esercito iracheno ma collegate, finanziariamente e militarmente, alle Forze Quds, ovvero alle Guardie della rivoluzione iraniane.

Queste milizie sono state impegnate nella guerra contro l’isis e ora, in buona parte, controllano di fatto l’Iraq. Nel 2017, tuttavia, Salwan Momika, entrò in conflitto con un altro capo di una milizia nominalmente cristiana, affiliata all’Iran: la Brigata Babilonia guidata da Ryan al Kildani (Domani ha raccontato come di recente al Kildani ha cercato di millantare un’udienza privata con papa francesco).

Un rogo che diventa combustibile

Non sono chiari i motivi del dissidio fra i due: se si sia trattato solo di potere personale o anche del giudizio sul ruolo pervasivo che le milizie sciite legate a Teheran stavano assumendo rispetto alle comunità cristiane in Iraq. Sta di fatto che, nelle settimane successive ai roghi del Corano, le autorità iraniane, per non sbagliarsi, hanno accusato Momika di essere membro del Mossad, provando così a cancellare ogni ipotesi di collaborazione passata. Momika da parte sua ha negato sempre ogni rapporto con servizi iraniani, ma certo, su tutta la vicenda, non è stata fatta chiarezza fino in fondo.

Nel frattempo è scoppiata una nuova guerra Israele-Hamas in cui si contano a migliaia le vittime civili delle due parti e i roghi del Corano, che evidentemente nulla hanno a che vedere con la causa palestinese, sono tornati utili come ottimo combustibile per allargare il conflitto a dismisura.

Non solo però: a parlare della necessità di vendicare le offese al libro sacro dell’Islam era stato anche il leader ceceno agli ordini, di Vladimir Putin, Ramzan Kadyrov che, alla fine di agosto, aveva detto: «Finiamo con l'Ucraina e proseguiamo con quei Paesi (Svezia e Danimarca, ndr) che insultano il Corano. Sono sicuro al cento per cento che vinceremo».

Si tenga presente, senza stabilire per questo un rapporto di causa-effetto, che l’attentatore responsabile ad Arras, in Francia, dell’uccisione un professore di lettere, Dominique Bernard, lo scorso 14 ottobre, era un ceceno che ha rivendicato il proprio atto in nome dell’Isis.  

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