Ci eravamo dimenticati che, se è finito lo Stato islamico nella sua espressione territoriale tra la Siria e l’Iraq, non è certo finita l’ideologia jihadista, variamente coniugata in diverse dottrine ma con un sostrato religioso che le accomuna così come il ricorso al terrorismo. Hamas non è l’Isis che voleva creare un “paradiso in terra” dei musulmani, Hamas teorizza la distruzione di Israele per far nascere uno stato palestinese senza gli ebrei per vicini.

Eppure i vasi comunicanti tra le due prospettive hanno permesso il risorgere di un clima di rivincita sul mondo occidentale complessivamente inteso e di cui Israele è l’avamposto nel Vicino Oriente.

Riaprire una ferita

La sconfitta militare dello Stato islamico e la conseguente riduzione degli attentati anche nelle strade d’Europa, l’apparente quiete sul fronte israelo-palestinese dove prevaleva la logica di Benjamin Netanyahu della conservazione dello status quo, la pandemia, la guerra in Ucraina, avevano espulso il Medio Oriente dalle priorità dell’agenda mondiale. Tanto più perché prima Barack Obama e poi Donald Trump hanno perseguito la strategia del disimpegno nell’area dopo che gli Stati Uniti hanno raggiunto l’autosufficienza energetica e hanno rivolto l’attenzione verso la Cina, individuandola come l’antagonista principale del Ventunesimo secolo.

Ma le questioni irrisolte non si appianano da sole, anzi incancreniscono e si ripresentano sotto forme anche peggiori. Hamas ha preparato per due anni, qualcuno sostiene addirittura per quattro, l’orrenda carneficina dello Shabbat di sangue, la caccia all’ebreo fosse infante o ottuagenario.

L’esito del massacro, unitamente alle immagini di Gaza bombardata, ha riportato in prima pagina il conflitto dimenticato. E non un conflitto qualsiasi ma quello che rappresenta una ferita aperta per le piazze arabe (si badi bene: per le piazze, non per i governanti che l’hanno sempre usato come pretesto per altri scopi). E basti ricordare come la platea mediatica offerta dal campionato del mondo di calcio in Qatar fu sfruttata sugli spalti e nelle strade di Doha per striscioni e slogan sull’eterno problema palestinese.

Il primo ministro: "Viviamo tempi bui, lo sappiamo da tempo"

I luoghi

La nuova crisi ha fatto riemergere le frustrazioni di un universo che si ritiene da troppo tempo oppresso e con esse un desiderio di rivincita che si sta declinando anche negli attentati in luoghi dove è più semplice agire grazie a una massiccia presenza di islamisti protetti da un largo brodo di coltura.

Non sorprende che teatro siano stati, sinora, la Francia e il Belgio delle banlieue sfuggite al controllo di stati che, in alcune zone, non riescono più ad essere unici e legittimi detentori dell’uso della forza.

Il ventenne tagliagole ceceno che ad Arras, nel nord della Francia, ha ammazzato un professore della sua ex scuola, era un elemento noto come radicalizzato, faceva parte di una cellula composta da correligionari e vale la pena ricordare che il Caucaso fu tra i principale fornitore di soldati all’esercito di Abu Bakr al-Baghdadi.

A Bruxelles il tunisino Abdeslam Lassoued (di cui fa impressione l’età, 45 anni, di solito le azioni vengono compiute da fondamentalisti più giovani) ha scelto non a caso come bersagli degli svedesi, cittadini dello stato in cui si è bruciato il Corano in piazza, in Belgio per la partita di calcio della loro nazionale.

Veicoli fermati ad un posto di blocco al confine

Servono pompieri

I suoi profili sui social network rivelano i passaggi in Italia, a Bologna, a Genova, il suo curriculum da fondamentalista lo aveva iniziato nella patria originaria e dal Belgio aveva avuto un decreto di espulsione mai reso operativo.

Ha citato nei video postati per rivendicare l’azione il bambino musulmano ucciso alla periferia di Chicago con ventisei coltellate e ha auto-certificato la sua affiliazione allo Stato islamico. Un lupo solitario, o forse con un paio di complici, ma l’annotazione che sembra riduttiva non è tranquillizzante dato l’alto numero di fondamentalisti già schedati e senza dimenticare quelli che non si conoscono.

La propaganda corre sul filo, come da molti anni a questa parte, e le radicalizzazioni sono piuttosto rapide. A Milano sono stati arrestati due egiziani attivi nella propaganda e nella raccolta fondi di quello che resta dello Stato islamico.

Il livello di emergenza è alto nel Vecchio Continente, così geograficamente prossimo al focolaio del conflitto. Non ancora così preoccupante come nella metà degli Anni Dieci quando il terrorismo si era fatto endemico. Certo abbiamo la suggestioni di un ritorno dell’uguale a causa delle analogie simboliche, la partita di calcio, la Francia, il Belgio... Perché tutto non precipiti servono pompieri, laggiù nella terra che è detta santa.

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