Sottomessa l’ultima sacca di resistenza nel Panjshir i Talebani hanno annunciato il nuovo governo dell’emirato islamico di Afghanistan. Erano diversi giorni che veniva dato come imminente l’annuncio dei Talebani, ma nelle ultime ore le truppe avevano combattuto nella valle del Panjshir per sottomettere l’ultima sacca di resistenza contro l’emirato talebano.

E ora i Talebani non hanno più oppositori interni. Le forze armate del Pakistan avrebbero fornito supporto logistico e militare ai Talebani a espugnare il Panjshir, l’ultimo bastione contro il regime integralista afghano, che sarebbe caduta nelle ultime ore. Lo scrive il sito emiratino al Arabiya, citando fonti vicine al Fronte nazionale di resistenza guidato da Ahmed Massoud. Massoud, in un messaggio ha chiamato gli afghani all’insurrezione e ha anche fatto riferimento all’aiuto di non meglio precisati “mercenari stranieri” ai Talebani nel Panjshir. Secondo al Arabiya, Islamabad avrebbe fornito agli Studenti del Corano copertura aerea e l’appoggio di uomini delle forze speciali, paracadutati dietro alle linee della resistenza nella valle. Sabato scorso il capo dei servizi d’intelligence pachistani Isi, generale Faiz Hameed, era a Kabul, dove ha incontrato i dirigenti politici Talebani probabilmente per coordinare le azioni contro i ribelli e decidere della formazione del nuovo governo.

I motivi della caduta

Ma perché è caduto il Panjshir che era rimasto sempre in mano alla resistenza anche ai tempi dell’occupazione sovietica dal 1979 al 1989 e ai tempi della prima conquista talebana fino al 2001? Perché Ahmad Massoud, figlio del leggendario “leone” Ahmad Shah Massoud, ucciso da un attentato suicida al Qaida, questa volta non ha avuto nessun aiuto esterno, né politico né in termini di forniture di armi. Anche l’ex vicepresidente Amrullah Saleh, suo stretto alleato, è fuggito in elicottero in Tagikistan. Vero è che periodicamente le grandi potenze si stancano di occuparsi delle intricate vicende della “tomba degli imperi” e che in questo momento l’unica speranza della resistenza afghana era di rallentare l’offensiva talebana e arrivare all’inverno e raccogliere altre sacche di resistenza in seguito a una possibile crisi dei Talebani con una popolazione irrequieta, che manifesta il dissenso con dimostrazioni e cortei sedati con l’uso della forza.

Ora comunque tutto l’Afghanistan è in mano agli studenti coranici. Gli Stati Uniti potrebbero aver deciso tra le pieghe dell’accordo di Doha di concordare con Talebani un patto secondo cui in cambio di una lotta ai terroristi di al Qaida e all’Isis-K non ci sarà alcun sostegno politico né militare ai nemici interni del nuovo regime di Kabul. Un cambio di rotta significativo visto che Washington, proprio in Afghanistan, finanziò la resistenza islamica e fornì i missili Stinger ai Mujaheddin che ottennero grazie alla generosità di Washington la capacità di distruggere i temuti elicotteri sovietici da combattimento Mi-24D, che garantivano a Mosca la supremazia dei cieli nelle battaglie locali. Un elemento che cambiò le sorti del conflitto e costrinse l’Unione sovietica al ritiro dal paese nel 1989 e, secondo alcuni commentatori, ne accelerò il disfacimento in quello che divenne un vietnam russo.

Quella strategia di finanziamenti a pioggia ai Mujaheddin, inaugurata sotto la presidenza democratica di Jimmy Carter e proseguita con il repubblicano Ronald Reagan, si è nel tempo affievolita a favore di una dematerializzazione dei conflitti in corso attraverso l’uso dei droni capaci di operare e combattere una guerra silenziosa al terrorismo senza bisogno di forze alleate sul campo né di finanziamenti ai movimenti di opposizione ai regimi autoritari.

La prudenza in Ucraina

In Ucraina l’amministrazione americana ha preferito la prudenza diplomatica all’impegno sul campo: la Casa Bianca ha preferito non sostenere troppo Kiev in funzione anti russa. Washington è stata cauta nei confronti dell’Ucraina che chiedeva la fornitura di armi sofisticate da usare contro i separatisti sostenuti da Mosca. Una posizione di cautela che ha indotto Kiev a chiedere aiuto ad Ankara, il cui governo non ha mai accettato l’annessione della Crimea da parte russa. Secondo la tv araba Al Jazeera, nel 2018 l’Ucraina ha acquistato 6 droni UAV TB2 di fabbricazione turca e armi a guida di precisione. Il 15 marzo 2021, diversi aerei da trasporto C-17 sono volati dalla Turchia all’Ucraina, trasportando armi. I turchi di Erdogan si sono inseriti in questo spazio lasciato libero da Washington e si sono schierati con gli ucraini.

Kiev oggi è sempre più preoccupata dal disimpegno americano e teme un effetto Afghanistan in Europa: un’ipotesi forse eccessiva, descritta da Vladislav Davidzon su Foreign Policy, quando ha parlato di come «l’abbandono degli alleati degli Stati Uniti in Afghanistan preoccupa l’Ucraina e le fa temere di essere la prossima sulla lista». A un disimpegno a sostegno dei movimenti di resistenza locali c’è il timore degli alleati di un disimpegno geopolitico americano graduale da alcuni fronti caldi come l’Ucraina in Europa e Taiwan in Asia.

I curdi siriani

Anche nella guerra civile in Siria gli americani hanno prima finanziato e fornito di armi i curdi siriani dell’Ypg in funzione anti Isis per evitare di mandare i marines sul terreno, ma in seguito alla sconfitta dello Stato islamico in Siria hanno abbandonato i curdi e le loro richieste di autonomia da Damasco al loro destino. Si potrebbe parlare di semplice Realpolitik, ma questo si scontra con una tradizione interventista a difesa dei diritti umani delle minoranze della politica americana che ha a lungo finanziato le forze di opposizione locali ai governi autoritari. In ogni caso l’amministrazione Trump, desiderosa di riportare le truppe americane a casa, sostenne le rivendicazioni di Ankara che temeva un rafforzamento di un’entità curda siriana al confine meridionale, per di più guidata da un’organizzazione politica dell’Ypg, considerata terroristica dai turchi.

L’Onda verde iraniana

Cosa fece Washington ai tempi delle proteste dell’Onda verde iraniana che sfidava apertamente in piazza la guida suprema Alì Khomeini e il presidente Mahmoud Ahmadinejad dopo il risultato del voto delle presidenziali contestato dalle opposizioni?

Il presidente americano, Barack Obama, si limitò, come scrisse Jay Salomon sul Wall Street Journal del 9 gennaio 2010, a un timido sostegno della Casa Bianca sui social media badando a non interferire minimamente ed escludendo qualsiasi riferimento a tentativi americani di regime change a Teheran. Obama puntava a un accordo nella sede dell’Agenzia atomica Onu sul nucleare iraniano in cambio di un congelamento a possibili nuove sanzioni economiche e non diede sostegno al movimento di protesta. Non ci fu nessun aiuto americano all’Onda verde di Moussavi e Karroubi (ancora oggi agli arresti domiciliari a Teheran) che infatti venne spazzata via con la forza dal regime iraniano. Una scelta le cui conseguenze pesano ancora sulla credibilità di Washington nell’area.

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