Dopo il fallito tentativo di mediazione della delegazione dell’Ecowas (la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale) giovedì notte – non gli è stato nemmeno concesso di incontrare l’autoproclamatosi presidente del Niger, Abdourahamane Tchiani – il presidente nigerino, Mohamed Bazoum, ostaggio delle guardie presidenziali dal 26 luglio, ha rotto il suo silenzio inviando una lunga lettera al Washington Post.

Bazoum è attualmente rinchiuso nel palazzo presidenziale ma è in buona salute. Nella missiva si è scagliato contro la giunta militare, avvertendo delle disastrose conseguenze che, non solo il suo paese ma tutta la comunità africana e internazionale, subirebbero se Tchiani e i militari al suo seguito non verranno fermati in tempo.

Il presidente, eletto nel 2021, ha ricordato i «miglioramenti economici e sociali che il paese ha ottenuto durante il suo mandato» e della necessità di «contrastare qualsiasi tentativo di rovesciare un governo legittimo».

La sicurezza militare

Alle accuse della giunta sulla crescente insicurezza e sul danno arrecato al territorio dai partenariati con Stati Uniti ed Europa, Bazoum ha risposto che «la sicurezza nel paese era notevolmente migliorata proprio grazie a quelle partnership» aggiungendo che queste «costituiscono il 40 per cento del bilancio nazionale nigerino», che verrebbe quindi a mancare se il golpe dovesse avere successo.

E in effetti nel sud del paese, dove è molto attivo il gruppo jihadista Boko Haram, in due anni sono notevolmente diminuiti gli attacchi, così come il nord e l’ovest del Niger hanno visto miglioramenti sul fronte della sicurezza dall’anno dell’elezione di Bazoum.

Wagner e Boko Haram

Per il presidente, insomma, la sicurezza della regione sarebbe molto più in pericolo con il governo militare perché questa lascerebbe il paese (e tutta la fascia del Sahel) preda dell’influenza russa.

Come è in effetti successo in Mali e Burkina Faso, i quali si sono espressi a favore del putsch. Questi «piuttosto che affrontare i problemi di sicurezza rafforzando le proprie capacità, impiegano mercenari russi criminali come il gruppo Wagner a scapito dei diritti e della dignità del loro popolo» dice Bazoum.

La previsione del legittimo presidente non è fantasiosa. Il leader di Wagner, Evgenij Prigožin, aveva infatti subito colto l’occasione definendo il golpe «un momento di liberazione dai colonizzatori occidentali atteso da tempo».

Non solo, per il presidente, «Boko Haram e altri movimenti terroristici trarranno sicuramente vantaggio dall’instabilità del Niger e lo useranno come «base per attaccare i paesi vicini».

In poco tempo poi la retorica jihadista avrebbe anche notevole influenza sulla parte giovane della popolazione indottrinandola in senso «anti occidentale» avverte Bazoum e la «scaglierebbe contro quei paesi» che invece per il presidente «stanno facendo la ricchezza della nazione nigerina».

La richiesta d’aiuto

Bazoum ha chiuso la lettera con un appello agli «Stati Uniti e a tutta la comunità internazionale» per il «ripristino dell’ordine costituzionale».

E rivolgendosi agli alleati promette che, in caso di aiuto, «il popolo nigerino non dimenticherà mai il loro sostegno in questo momento cruciale della sua storia».

Le azioni dei golpisti

Nel frattempo la giunta militare nigerina ha richiamato i suoi ambasciatori in Francia, Stati Uniti, Nigeria e Togo, e ha revocato «gli accordi di cooperazione nel campo della sicurezza e della difesa» con la Francia e ha sospeso le trasmissioni dei notiziari internazionali France 24 e Rfi.

Parigi ha preso atto della scelta della decisione ma ha ricordato che «quegli accordi erano stati presi con le autorità costituzionalmente elette e non coi militari» aggiungendo che riconosce solo il governo di Bazoum come «autorità legittima ».

Le reazioni al golpe

Sin dal 26 luglio tutta la comunità internazionale ha condannato il golpe. Persino la Russia lo ha fatto ufficialmente, anche se molti sostenitori del putsch hanno inneggiato a Vladimir Putin. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha però chiosato, in risposta alla richiesta di Bazoum di un intervento esterno, che «difficilmente l’interferenza di forze extra regionali potrà cambiare in meglio la situazione».

Da martedì fino a ieri invece gli stati dell’Ecowas si sono riuniti ad Abuja, capitale della Nigeria, per discutere sul da farsi. Domenica l’organismo aveva lanciato un ultimatum di sette giorni alla giunta nigerina per ripristinare il governo costituzionale, pena l’intervento militare.

Molti esperti dicono che si tratta di una minaccia che non avrà alcun seguito, sia perché altre volte l’organismo ha paventato un intervento che poi non c’è stato, sia perché una guerra arrecherebbe grandi danni anche alla Nigeria, il cui presidente Bola Tinubu è anche presidente dell’Ecowas da inizio luglio.

Ma Tinubu, durante la campagna elettorale, ha indicato il contrasto ai colpi di stato come uno degli aspetti più importanti della sua politica estera.

Una dura reazione contro il Niger potrebbe aiutarlo sul fronte interno visto che la sua vittoria è stata contestata dallo sconfitto, Peter Obi, che ha presentato una petizione per annullare l’elezione al tribunale per le petizioni elettorali presidenziali.

La sentenza del tribunale è prevista per fine settembre e Tinubu può sfruttare il tempo a suo favore presentandosi come un leader affidabile e in grado di gestire complicate situazioni di crisi con prontezza e decisione.

Potrebbe essere proprio questo il motivo per cui, ieri pomeriggio, Tinubu ha inviato una lettera al Senato nigeriano chiedendo di autorizzare l’azione militare contro la giunta golpista in Niger se questa dovesse dimostrarsi ancora recalcitrante.

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