La maggior parte dei paesi europei si impegna a mantenere le scuole aperte, pur con le dovute precauzioni, mentre le università generalmente adottano un “sistema ibrido”, in parte in presenza e in parte online. Ma visto che l’Europa si confronta con la seconda ondata, i governi iniziano a imporre nuove restrizioni, individuano le aree più a rischio, discutono se limitare gli spostamenti e in alcuni casi, come in Francia, attivano coprifuoco serali. Perciò la continuità dell’attività educativa in presenza entra nel dibattito. Praga ha già chiuso le scuole, Belfast pure, anche se al momento solo per un paio di settimane.

Parigi

La Francia è alle prese con la seconda ondata e da oggi avrà sia lo stato di emergenza che il coprifuoco serale in nove città. Ha riaperto le scuole il 1 settembre, con l’obbligo di mascherina: «L’educazione è importante ora più che mai», ha detto il ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer. Ma dopo il primo mese di lezioni, le certezze vacillano. Da una parte, il 30 settembre, il ministro continuava ad affermare che «non è nella scuola che si annida il virus» ma dall’altra l’agenzia nazionale per la sanità pubblica certificava che più del trenta per cento dei focolai proviene dall’ambito educativo. Nel frattempo si sono trasferite online università come la parigina Sciences Po: a una settimana dall’inizio dei corsi, aveva quaranta studenti positivi. La ministra dell’università Frédérique Vidal dice che «il contagio non si avvia nelle aule, che sono sicure, ma tra i gruppi di amici, alle feste»: il rischio è più alto nei bar. Dai primi di ottobre, nelle zone ad allerta rinforzata o massima – in pratica, le grandi città – le università devono limitare le presenze alla metà della capienza, il resto è online. Ma Emmanuel Macron preferisce sacrificare i bistrot (a Parigi e in altre otto città dalle 21 alle 6 è tutto chiuso), piuttosto che togliere l’educazione vis-à-vis. Ai primi di ottobre, ha dato l’ennesimo segnale sul fatto che l’istruzione sia una priorità: a dicembre sarà approvata una riforma, in vigore dall’anno scolastico 2021, che anticipa ai tre anni l’istruzione obbligatoria, vietando la “scuola a casa”, che «può favorire il separatismo religioso». La scuola continua, «salvo imperativi sanitari».

Londra

Tra le università britanniche c’è scompiglio. Questa settimana, poco dopo l’annuncio di Boris Johnson che, visti contagi, il Regno Unito sarebbe stato diviso in tre tipi di zone in base al rischio, è venuto fuori che il governo ha ignorato il parere del comitato scientifico; risale al 21 settembre, consiglia un vero lockdown e suggerisce di limitare il movimento di studenti. Ma l’indicazione è pubblica solo da questa settimana, mentre già i campus hanno accolto i ragazzi. «Tutte le università hanno ripreso l’insegnamento in modalità ibrida, sia in presenza che online, anche se l’approccio varia molto fra i vari atenei», dice Anton Muscatelli, presidente del Russell group, che riunisce le più importanti università britanniche (Oxford, Cambridge, London School e altre). È anche rettore a Glasgow, dove «abbiamo deciso che ciò che si può fare online venisse fatto online». Molte università del nord dell’Inghilterra, la più colpita, hanno rinunciato alle lezioni in presenza. «Va detto che nella maggior parte degli atenei i casi di trasmissione sono legati alle residenze universitarie, non all’attività di insegnamento in sé». Ma proprio dagli alloggi arrivano molti introiti per le università, e gli studenti ora chiedono di poter “sciogliere” gli impegni economici già presi, a colpi di hashtag #fees4what. Per quello che riguarda le scuole invece, gli istituti pubblici (tutti tranne quelli con contagi) sono rimasti aperti.

Madrid

La Spagna, tra i paesi più colpiti nella prima ondata, torna a fare i conti con i contagi. Per il governo l’educazione è una priorità: nella sua bozza di piano per la ripresa e la resilienza (cioè la proposta per l’utilizzo a livello nazionale dei fondi che dovrebbero arrivare dall’Ue), Madrid l’ha indicata tra i primi punti, e prevede di dedicarle quasi il venti per cento dei soldi. Il ministro dell’Università, il sociologo Manuel Castells, ha riferito al Senato una settimana fa che «i contagi nelle università sono molto limitati» e si originano fuori dalle aule.

Berlino

Nella capitale tedesca è cominciata la serrata notturna, con ristoranti, bar, negozi, obbligati a chiudere tra le 23 e le 6 di mattina fino alla fine di ottobre. Ma nonostante la Germania stia discutendo su nuove possibili restrizioni a fronte dei contagi, l’attività educativa non è nel mirino: le scuole, pur con le dovute precauzioni, rimangono aperte, e le università, con il “modello ibrido” (in presenza e in digitale) ricorrono all’online quando possibile o necessario.

I primi a chiudere

Nonostante l’impegno di Downing Street a non fermare le scuole, l’Irlanda del nord ha deciso di chiuderle da questo lunedì 19 e per (almeno) un paio di settimane. La Scozia continua, ma per prudenza ha fatto slittare al 2021 una serie di esami. Il premier portoghese vuol rendere obbligatoria nelle scuole (oltre che sui posti di lavoro) la app “Stayaway Covid”. In Repubblica Ceca da mercoledì le scuole hanno chiuso i cancelli e si sono convertite tutte alla didattica online. La motivazione è la curva dei contagi in rapida ascesa (e un sistema sanitario a rischio di collasso); perciò, ha detto il ministro dell’Istruzione Robert Plaga, «io davvero mi scuso, con i presidi, con i genitori. Però è necessario farlo, e farlo rapidamente». L’esempio opposto è la Danimarca, che già nella prima ondata, dopo il lockdown, aprì per prima cosa le scuole, ma riorganizzando le lezioni a turni e per piccoli gruppi.

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