Silvio Berlusconi, è noto, era assai apprezzato in Israele per aver radicalmente cambiato la nostra politica mediorientale fino ad allora improntata all’equivicinanza se non addirittura sbilanciata a favore del mondo arabo, con i Moro, gli Andreotti, i Forlani, i Craxi.

All’ideologia si sovrapponeva una considerazione stretta parente dell’economia visti i successi dello stato ebraico, un avamposto dell’occidente capitalistico nel vicino oriente. La cartina di tornasole è una sua famosa dichiarazione del settembre 2001 dopo gli attentati di New York e Washington che provocò una bufera diplomatica.

Berlusconi disse: «Noi occidentali dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra civiltà. Il nostro è un sistema che ha garantito il benessere, il rispetto dei diritti umani e, a differenza dei paesi islamici, il rispetto dei diritti religiosi e politici. Un sistema che ha come valore la comprensione della diversità e la tolleranza».

La svolta

La svolta filo-israeliana fu avvalorata durante il secondo governo Berlusconi dalla nomina di Giulio Terzi di Sant’Agata, attuale senatore di Fratelli d’Italia, come ambasciatore in Israele, il quale ebbe anche il compito di preparare il terreno per la storica visita di Gianfranco Fini a Gerusalemme. Quando Fini era il delfino designato a succedere al Cavaliere.

Tanta riconoscenza da parte dei vertici israeliani non doveva probabilmente corrispondere a uguale stima. Nell’unica democrazia dell’area sono presi tremendamente sul serio dettami come la divisione dei poteri o il prestigio delle autorità di controllo.

Resta famosa al riguardo l’iniziativa del garante della par condicio che durante la campagna elettorale del 2003 oscurò la trasmissione in televisione di una conferenza stampa dell’allora candidato del Likud Ariel Sharon, premier in carica, che doveva difendersi da alcune accuse della magistratura ma, già che c’era, ne approfittò per attaccare il suo avversario laburista Amram Mitzna come non gli era consentito. In Italia non sarebbe mai successo.

Lo stesso Ariel Sharon fu protagonista nel giugno dello stesso anno di un episodio che non mancò di suscitare curiosità. Berlusconi allora a Palazzo Chigi aveva organizzato in fretta e furia un viaggio in Israele così sottraendosi per l’ennesima volta dal presenziare a un’udienza del processo Sme che si stava svolgendo a Milano.

Il pm Ilda Boccassini lo accusò di volersi sottrarre al dibattimento (e il tribunale boccerà la tesi della difesa del legittimo impedimento). Sharon cominciò il discorso in onore dell’ospite così: «Benvenuto nella terra dei re, dei profeti e dei giudici...», calcando sulla parola «giudici» e suscitando l’ilarità dei presenti e l’imbarazzo dei funzionari italiano al seguito, mentre Berlusconi restò imperturbabile.

Le battute

Durante un pranzo ufficiale sempre a Gerusalemme tra le delegazioni, Berlusconi chiede un pezzo di pane alla volta alle due bellissime cameriere.

Sharon chiese: «Presidente, perché non si fa dare tutto il pane che desidera una volta sola?».

Berlusconi: «Perché mi piace guardare le cameriere. Sa, alla mia età si guarda soltanto».

Sharon: «Non ci risulta signor presidente».

Berlusconi: «Glielo hanno detto i servizi segreti?».

Sharon: «No, lo abbiamo letto sui giornali».

Non ha fatto un servizio migliore a Berlusconi nemmeno un suo estimatore come Benjamin Netanyahu che nel suo libro di memorie ha ricostruito questo scambio di battute.

Berlusconi: «Allora Bibi, quante stazioni televisive hai?»

Netanyahu: «Israele ha tre stazioni».

Berlusconi: «Intendo dire quante di loro lavorano per te».

Netanyahu: «Nessuna. Anzi tutte lavorano contro di me».

Un colloquio eloquente sull’idea che Silvio aveva della funzione dei media.

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