«Non è il risultato che molti di noi volevano, incluso me stesso. Ma è così che la democrazia funziona», ha detto il presidente americano Joe Biden riguardo al disegno di legge Build Back Better. Dimezzato rispetto alle sue intenzioni: non più 3.500 miliardi di dollari, come inizialmente previsto, ma la metà esatta. Comunque più del piano bipartisan sulle infrastrutture, da poco più di 1.200 miliardi, tenuto in sospeso alla Camera dai progressisti e votato da ben 19 senatori repubblicani, incluso il leader del gruppo Mitch McConnell.

L’impasse sembra essersi sciolta: la presidente del caucus progressista Pramila Jayapal ha detto: «Volevamo di più, ma capiamo la realtà della situazione». Certo, mancano molte cose anche per l’opposizione dei due senatori moderati Joe Manchin e Krysten Sinema (definiti dalla stampa liberal come “Manchinema”): saltano gli incentivi per abbandonare il carbone, che avrebbero messo a rischio 14mila posti di lavoro nella West Virginia di Manchin e mancano provvedimenti decisivi sul pagamento dei farmaci da prescrivere per l’opposizione di Sinema (e qui invece c’entrano i donatori di big pharma che la sostengono).

A ogni modo, sia pur in ritardo (la speaker della Camera Nancy Pelosi avrebbe voluto votare entro fine mese) l’accordo c’è. “Manchinema” ha sbloccato anche un provvedimento che Bernie Sanders, un altro degli scontenti ha definito «la misura più trasformativa sin dagli anni Sessanta», che comprende elementi come la gratuità degli asili dai 3 ai 4 anni, misure per la tutela del territorio come parchi e foreste, incentivi per l’acquisto di auto elettriche e per l’uso di energie rinnovabili. Con l’aggiunta di una tassa minima sui miliardari del 15 per cento, che ricalca quella approvata dall’Ocse a livello mondiale sui grandi patrimoni.

Infrastrutture obsolete

Difficile davvero fare di più con numeri risicati alla Camera e ancor di più al Senato, con un’autorevole deputata progressista come Cori Bush che ancora nella mattina di giovedì minacciava di far saltare entrambi i disegni di legge, incluso il primo che riguarda il rinnovo infrastrutturale di un paese che ha linee ferroviarie spesso ferme agli anni Trenta e autostrade progettate durante la presidenza Eisenhower negli anni Cinquanta. Biden, lo sappiamo non è un presidente eletto con aspettative messianiche come Obama, né distopiche come Trump.

Arriva con due credenziali: essere molto diverso dal suo predecessore e saper portare a compimento dei risultati. Che è principalmente il motivo per cui gli afroamericani della South Carolina hanno salvato la sua campagna in occasione delle primarie 2020. Qualora questi due pilastri essenziali della sua agenda fossero caduti per i veti incrociati delle ali estreme del suo partito (anche i moderati, a modo loro, sono radicali nel credere di poter trattare sempre con un partito repubblicano sempre più trumpizzato), i progressisti sarebbero diventati furenti con un partito ritenuto incapace di realizzare cose minime e i moderati, delusi, avrebbe potuto prendere in considerazione di tornare a votare per i repubblicani. O astenersi.

Invece Biden ha resuscitato la bellezza del compromesso, il cuore del sistema americano, l’elemento che i Padri fondatori, nella loro visione utopistica che venne smentita nella prassi dei primi anni di Repubblica, avrebbe dovuto superare anche le forme partitiche.

Le conquiste

Senza compromesso non sarebbe mai stata abolita la schiavitù col Quattordicesimo emendamento, passato anche grazie a un mercato di cariche e prebende favorito dall’amministrazione Lincoln all’inizio del 1865. Senza l’aiuto dei segregazionisti a favore di un welfare generoso per i bianchi, Roosevelt non avrebbe mai fatto passare il New Deal contro una forte ala razzista e conservatrice dei democratici sudisti (altro che Manchin, si parlava di membri del Ku Klux Klan) e Lyndon Johnson non avrebbe mai imposto i diritti civili per gli afroamericani senza il moderato capogruppo repubblicano al Senato Everett Dirksen.

Infine, Reagan ha fatto la sua “rivoluzione delle tasse” con una maggioranza di democratici alla Camera e Obama dovette tagliare i fondi federali per l’aborto per ottenere il passaggio dell’Obamacare.

The great compromiser

Biden lo sa bene, e durante la scorsa campagna elettorale fu duramente attaccato per aver osato ricordare che, negli anni Settanta, riusciva a lavorare con un razzista come il senatore della Georgia Herman Talmadge.

Il senatore del Kentucky Henry Clay si definiva con orgoglio “the great compromiser”, espressione intraducibile ma dal significato evidente, per aver forgiato nel 1850 un accordo tra il nord libero e il sud schiavista per limitare l’espansione della schiavitù nei territori oltre la frontiera dell’ovest selvaggio.

Oggi “compromesso” è diventato una parolaccia, che sa di lobbismo e di accordicchi sottobanco. Ma data la particolare natura del sistema politico americano, che comprende sicuramente delle rigidità, rimane ancora oggi il modo migliore per approvare leggi che cambino drasticamente la vita dei cittadini statunitensi.

 

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