Il presidente americano, Joe Biden, si prefiggeva due obiettivi con il suo viaggio in Israele. Il primo, ridurre l’escalation del conflitto per evitare che diventi una guerra regionale; il secondo, rassicurare il paese scioccato dopo la mattanza terroristica di Hamas del 7 ottobre, assicurando ancora una volta l’appoggio militare ed economico di Washington. In questo quadro complesso, fatto di sostegno e inviti alla moderazione in un difficile equilibrio politico, il presidente Biden, in Israele, ha affermato che l’intelligence militare statunitense ritiene, secondo le analisi preliminari, che il razzo che ha ucciso centinaia di persone nell’ospedale a Gaza sia stat lanciato da parte dei palestinesi. Una versione che non viene accettata dai funzionari di Gaza di Hamas. Di parere opposto la versione dell'esercito israeliano che ha affermato che la causa è stata il lancio errato di un razzo da parte della Jihad palestinese, missile che avrebbe colpito il parcheggio dell’ospedale. Difficile avere un quadro più preciso dell’esplosione che, secondo il ministro della Sanità di Gaza, avrebbe provocato 477 morti, una carneficina.

"Hamas non rappresenta tutti palestinesi"

La giornata di incontri

Biden ha incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu all’aeroporto di Tel Aviv, il presidente Isaac Herzog e alcuni dei sopravvissuti all’attacco del 7 ottobre. Il presidente ha aggiunto che farà quanto in suo potere per assicurare il ritorno a casa dei 199 ostaggi in mano ad Hamas (un chiaro riferimento alla possibilità di un intervento di mediazione del Qatar) e che gli Stati Uniti hanno stabilito un pacchetto di aiuti da 10 milioni di dollari per Israele e Cisgiordania. Saltato l’incontro ad Amman con il re di Giordania, Abdullah II, il presidente egiziano al Sisi, il responsabile dell’autorità palestinese, Abu Mazen. «Se non serve a fermare la guerra, è inutile», ha fatto sapere il governo giordano. Il timore di fondo dei mercati è un possibile riedizione dell’embargo sul petrolio, come nel 1973 che provocò uno shock petrolifero e stagflazione in mezzo mondo.

«La priorità è il ritorno degli ostaggi vivi. Non rifate gli errori degli americani dopo l’11 settembre», ha detto Biden che si oppose inutilmente all’invasione dell’Afghanistan da parte dell’amministrazione Bush suggerendo ai tempi di investire nell’intelligence e in gruppi militari specializzati per ricercare i mandanti dell’atto terroristico che colpirono le Torri gemelle a New York. Toccò poi proprio a Biden, come commander in chief, dopo 25 anni di una guerra devastante, la più lunga degli Stati Uniti, ritirare, con la mediazione del Qatar con i talebani, le truppe occidentali da Kabul.

Con loro alcuni volontari e il presidente del Pronto intervento, Eli Beer

Le domande difficili

Il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, John Kirby, ha anticipato che l’incontro con Netanyahu sarebbe stato allargato ad altri funzionari statunitensi e al Gabinetto di guerra israeliano. Durante gli incontri, il presidente degli Stati Uniti «cercherà di comprendere da parte degli israeliani la situazione sul campo, i loro obiettivi, i loro piani, le loro intenzioni nei prossimi giorni». Biden «porrà alcune domande difficili. Lo farà come un vero amico di Israele, ma porrà alcune domande», ha detto Kirby.

Biden ha partecipato anche al gabinetto di guerra ed è sembrata più una manifestazione di controllo americano che di solidarietà pura, un tentativo di chiarire a Benjamin Netanyahu, con cui i rapporti non sono mai stati idilliaci, che in cambio dell’aiuto militare ed economico Washington voglia quasi mettere il governo di Netanyahu sotto tutela. L’amministrazione Biden si è giocata molto con questo viaggio e da ora in avanti vorrà essere messa al corrente in anticipo delle strategie e mettere il veto a iniziative, come l’invasione via terra della Gaza, che non hanno una exit strategy precisa se non quella di soddisfare una opinione pubblica scossa e desiderosa di vendetta. Ma senza un chiaro segnale di cosa si vuole fare Washington ha deciso che non si limiterà a fare l’ufficiale pagatore di scelte prese da ministri più radicali del governo di unità nazionale di Tel Aviv. Non a caso Biden, nel mostrare il proprio supporto alla difesa israeliana, si è appellato anche al rispetto del diritto umanitario che deve valere anche in guerra, e ha sottolineato che «Hamas non rappresenta i palestinesi». Una frase che denota l’appoggio e l’invito alla moderazione nello stesso tempo, il leit motiv di questo viaggio che è sembrato un gioco di equilibrismo tra due posizioni.

Aiuti da Rafah

Come segnale di un cambiamento di rotta va segnalato che Israele consentirà all'Egitto di fornire quantità limitate di aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, ha detto l'ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu. La decisione è stata approvata alla luce di una richiesta del presidente americano in visita, Joe Biden, si legge in una nota. «Alla luce della richiesta del presidente (Joseph) Biden, Israele non ostacolerà le forniture umanitarie provenienti dall’Egitto fintantoché si forniranno solo cibo, acqua e medicine per la popolazione civile nella Striscia di Gaza meridionale». Un segnale che Netanyahu ha dovuto cedere sebbene vada sottolineato che manca all’elenco il carburante, necessario per i generatori degli ospedali senza i quali molte cure sono impossibili.
 

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