Le famiglie dei prigionieri hanno iniziato una marcia che durerà cinque giorni partendo da Tel Aviv con l’obiettivo di arrivare sotto l’ufficio di Netanyahu a Gerusalemme. La protesta è nata dopo la conferma della morte della soldatessa prigioniera Noe Marciano
Le trattative tra Hamas e Israele per il rilascio degli ostaggi proseguono. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha espresso cauto ottimismo per la conclusione della trattativa rispondendo alle domande durante un evento sul clima presso la Casa Bianca. Uno dei leader di Hamas dal Libano ha rilasciato una dichiarazione che appare come una risposta alla questione: «La battaglia è ancora all’inizio».
Il Qatar ha invitato le parti ad approfittare dell’offerta della sua mediazione per la risoluzione del conflitto presentandola come l’unica opzione rimasta. Biden e l’emiro Al Thani hanno avuto un colloquio telefonico. Le fonti della Casa Bianca hanno dichiarato che non si è ancora arrivati alla fine dei negoziati ma «stiamo continuando a fare progressi giorno per giorno, ora per ora». Anche il direttore dello Shin Bet, Ronen Bar, è andato al Cairo per incontrare Abbas Kamal, il capo dell’intelligence egiziana, e discutere sui negoziati.
I negoziati sugli ostaggi, però, si complicano sempre di più anche a seguito dell’intervento del leader della Jihad islamica, Ziad al Nakhala, che ha minacciato di abbandonare i negoziati per il loro rilascio. Nei giorni scorsi, il portavoce militare di Hamas, Abu Obeida, ha dichiarato che 70 ostaggi potevano essere rilasciati solo negoziando cinque giorni di tregua e il passaggio degli aiuti per il popolo palestinese nella Striscia di Gaza. Israele, però, ha affermato che il cessate il fuoco verrà negato fino al rilascio degli ostaggi, ma nel caso in cui verrà negoziato questo non porterà alla fine della guerra, come ha detto dall’ex capo di stato maggiore, Benny Gantz.
Le famiglie dei prigionieri di Hamas hanno iniziato una marcia che durerà cinque giorni partendo da Tel Aviv con l’obiettivo di arrivare presso l’ufficio del primo ministro israeliano a Gerusalemme. I manifestanti gridano “Riportateli a casa”. La protesta è nata in seguito alla conferma della morte di Noe Marciano, la soldatessa prigioniera di 19 anni che era apparsa in un video di Hamas di lunedì. Le preoccupazioni delle famiglie crescono dopo le dichiarazioni di Eli Cohen, il ministro degli Esteri di Isreale, che ha dichiarato di non avere prove certe che dimostrino che gli ostaggi sono ancora in vita. Le forze di difesa israeliane stanno prendendo il controllo di diversi edifici pubblici di Gaza. Nella notte, il palazzo del parlamento e il quartier generale della polizia sono stati occupati. I soldati hanno diffuso sui social la fotografia scattata all’interno dell’edificio.
L’Idf ha confermato anche di aver preso il controllo dell’università di Gaza adibita ad istituto per la produzione e lo sviluppo di armi. Il giornale Times of Isreal ha confermato la conquista anche del campo profughi di al Shati, situato nel nord di Gaza, che «ha avuto un ruolo centrale negli attacchi del 7 ottobre».
Il rappresentante di Hamas in Libano, Beirut Osama Hamdan, ha affermato di avere la situazione sotto controllo nella striscia. «Siamo ancora all'inizio della battaglia e il meglio deve ancora venire», ha aggiunto durante una conferenza stampa. Durante una conferenza a Ginevra, il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, ha detto: «Non merita di guidare l’Onu. Guterres non ha promosso alcun processo di pace nella regione». In precedenza, Israele aveva chiesto le dimissioni di Guterres dopo che il capo dell'Onu ha dichiarato che l'attacco dell'7 ottobre da parte di Hamas «non è avvenuto in un vuoto» ma è il risultato di decenni di occupazione. In risposta all’attacco, il portavoce di Guterres ha replicato alle critiche affermando che il suo lavoro è in linea «con i principi della Carta Onu e le leggi umanitarie internazionali».
Continuano gli scontri con il vicino Libano. Sulla zona di confine sono stati riportati attacchi da parte del Libano tramite missili anticarro e colpi di mortaio. Sul fronte opposto, Israele continua i bombardamenti su località abitate da civili, come riferito dalle fonti militari libanesi. La preoccupazione cresce per l’eventualità di un intervento diretto di Hezbollah nel conflitto, che finora ha rivendicato tre attacchi contro l’esercito israeliano.
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