La mediazione difficile. Da una parte sia Washington che gli stati arabi credono che lo status quo di una Gaza controllata da Hamas non possa continuare, come ha ribadito ieri il segretario di Stato americano Antony Blinken, in visita in Giordania.

Dall’altra, mentre Blinken si è limitato a invocare una “pausa umanitaria” per consentire l’entrata di aiuti a Gaza, il suo omologo egiziano ha chiesto un immediato cessate il fuoco, senza condizioni, e il ministro degli Esteri giordano ha chiesto agli Usa di lavorare insieme «per fermare questa follia».

Ma l’insistenza sul futuro di Gaza senza Hamas è importante, per quanto nel solco della storica posizione americana sui due stati: gli Usa vogliono rimettere al centro della rappresentanza palestinese la discussa, ma moderata Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen. È la famosa “exit strategy” che il presidente Joe Biden chiedeva a gran voce quando invitava il premier israeliano Benjamin Netanyahu a non commettere gli stessi errori Usa dopo l’11 settembre.

Blinken ha discusso con le sue controparti arabe su come tracciare un percorso migliore verso una soluzione a due stati. Intervenendo in una conferenza stampa ad Amman, insieme ai suoi omologhi egiziano e giordano, il massimo diplomatico statunitense ha anche affermato che Washington è preoccupata per la violenza dei coloni estremisti in Cisgiordania.

È evidente il tentativo di Blinken – in una giornata di attacchi militari israeliani che hanno ucciso numerosi civili in un rifugio e in un ospedale delle Nazioni unite nella principale zona di combattimento della Striscia di Gaza – di evitare che il conflitto si estenda mentre aumenta la pressione internazionale per un cessate il fuoco che fermi l’aumento del numero delle vittime civili e l’aggravarsi della crisi umanitaria nella Striscia.

Come se non bastasse Israele ha accusato Hamas di sparare sulle forze israeliane che stanno aprendo una strada per gli sfollati che volessero trasferirsi dal nord a sud. In questo quadro Blinken cerca di fornire una visione del futuro Medio oriente che possa stabilizzare l’area una volta che il conflitto a Gaza finisca.

La situazione a Gaza

Ieri è stata un’altra giornata di scontri duri nella Striscia, come ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant: «Durante lo Shabbat, ci sono state battaglie feroci. Abbiamo iniziato a combattere all'interno delle aree edificate e l’Idf sta usando tutta la sua forza». Mentre il segretario delle Nazioni António Guterres, si è detto «inorridito» dal raid israeliano alle due ambulanze che uscivano a Gaza City dall’ospedale di Shifa, nelle cui vicinanze si sono rifugiati 70mila profughi.

L’esercito di Israele ha confermato di aver preso di mira il veicolo ma ha replicato che l’ambulanza era usata «da una cellula terroristica di Hamas». Il movimento islamista ha smentito e ha sostenuto che l’attacco al convoglio ha ucciso almeno 15 persone. Hamas intanto ha bloccato l’uscita degli stranieri dopo il raid sull’ospedale. Secondo Hamas, è stata colpita anche una scuola dell’Onu nel nord della Striscia che ospitava civili sfollati nel campo profughi di Jabaliya: uccise almeno 20 persone.

Secondo l’inviato speciale Usa per il Medio Oriente David Satterfield, nel nord di Gaza si trovano ancora fino a 400mila persone. Parlando nella capitale giordana Amman, Satterfield ha detto che da 800mila a un milione di persone si sono spostate verso il sud della Striscia, mentre 350mila-400mila sono rimaste nel nord dell’enclave. Nelle ultime settimane, Israele ha detto ai residenti di evacuare il nord di Gaza e di spostarsi a sud, che ha designato come cosiddetta area sicura. Da allora, il nord è stato bersaglio di incessanti bombardamenti israeliani e di un’offensiva di terra, sebbene ci siano stati attacchi aerei anche nel sud della Striscia.

Pause temporanee

Gli stati arabi alleati degli Stati Uniti tra cui Qatar, Giordania, Egitto, Arabia Saudita, Libano, gli Emirati, e il presidente del comitato esecutivo dell’Olp, hanno fatto pressioni su Antony Blinken, per un cessate il fuoco immediato a Gaza durante l’incontro dei ministri degli Esteri arabi svoltosi sabato ad Amman, mentre Washington cercava di persuadere Israele ad accettare «pause temporanee» per consentire l’arrivo degli aiuti umanitari nella Striscia.

Gli Stati Uniti, però, hanno respinto le richieste internazionali per un cessate il fuoco, ma stanno cercato di persuadere Israele ad accettare pause temporanee – un’idea respinta dal premier israeliano Benjamin Netanyahu dopo aver incontrato Blinken venerdì.

Lo scontro tra i due alleati è profondo: il diplomatico americano vuole contenere il conflitto mentre Netanyahu sta cercando di vincolare qualsiasi cessate il fuoco al rilascio dei 241 ostaggi nelle mani di Hamas così da placare l’opinione pubblica israeliana sempre meno convinta del suo operato.

Blinken ha assicurato che gli Stati Uniti faranno «tutto il possibile» per salvare i rapiti. Blinken vuole mettere fuori gioco Hamas e rimettere in sella l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen. Anche per questo il segretario di Stato Blinken, andrà anche in Turchia per cercare di convincere Erdogan a prendere le distanze da Hamas e fare pressioni su Fatah perché accetti di rientrare a Gaza su «un carro armato israeliano». Una mediazione difficile che Blinken cercherà di favorire.

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