Parigi – Lunedì cade il governo francese, martedì viene nominato un nuovo premier, e mercoledì Parigi si riempie di persone, di blocchi stradali e di gas lacrimogeni. La seconda settimana di settembre segna l’inizio di un’ondata di mobilitazioni nel Paese, ancora in fase di stallo dopo la caduta del governo di centrosinistra. Il movimento di protesta “Bloquons tout”, lanciato un mese fa, ha chiamato a un blocco generalizzato della capitale mercoledì 10 settembre. Ma la mobilitazione, nata online e priva di una leadership unitaria, fatica a trasformarsi in un’azione coordinata.

Le origini

Tutto inizia il 14 luglio, anniversario della presa della Bastiglia. Julien Marissiaux, fondatore del collettivo di destra “Les Essentiels”, pubblica un video su TikTok in cui rivendica una Francia sovrana e radicata nei valori cristiani. Il video inizia a circolare rapidamente, finché non viene rilanciato anche dal gruppo di sinistra radicale “Indignons-nous”. Nasce così un'alleanza atipica, che si organizza via Telegram e si diffonde nelle principali città francesi, coordinando azioni non violente per bloccare la circolazione in segno di protesta contro il governo. Pochi sindacati hanno aderito (molti hanno indetto scioperi per il 18 settembre), lasciando agli studenti, dal liceo all'università, il ruolo di maggioranza tra i manifestanti.

La giornata

Alle 6 di mattina, il movimento parigino inizia un’interruzione delle porte di Parigi, i punti di entrata alla capitale. A Porte d’Orleans, nel sud della città, un primo assembramento di duecento persone si compatta rapidamente, bloccando i binari del tram e la circolazione su due vie cittadine. L’intervento della polizia, che impone lo sgombero dai binari, non dissuade i manifestanti, che iniziano a spostarsi per le vie della città. È presente anche il deputato locale Rodrigo Arenas, che segue il corteo. «Sono giovani pacifisti – dice – il mio compito è quello di presenziare per calmare la situazione».

Tra i manifestanti c'è Frédérique Victoire, 75 anni: chiama la gente dai balconi, li invita a unirsi alla manifestazione contro chi «si prende gioco di noi». Un’ora più tardi, si segnalano interventi della polizia contro chi tenta di bloccare le strade o i binari del tram con cassonetti della spazzatura. Poco sopra Porte d’Orleans, qualche decina di poliziotti lancia lacrimogeni e insegue con manganelli la folla, che si disperde.

Non c’è molto in comune con le giornate di protesta dei Gilet Jaunes del 2018, salvo la dimensione del fenomeno. Anche allora, le mobilitazioni avevano bloccato la città e provocato scontri. Questa volta, non c’è un comune denominatore a unire chi è nelle strade. Le motivazioni variano da chi protesta contro Macron, chi contro i tagli al budget, contro l’Europa, contro la precarietà studentesca o il capitalismo. Anche per questo, la partecipazione generale nelle prime ore della mattinata è bassa, e non ferma la città come previsto. Iouri Aubert, studente universitario, se lo aspettava: «I Gilet Jaunes capitano una volta sola».

Verso le 9, l’entusiasmo è basso in tutta la capitale. I blocchi stradali non funzionano, liberati poco dopo dalle forze dell’ordine e da negozianti o pendolari. I gruppi si assottigliano sempre di più e girano senza meta precisa, evitando le cariche frequenti della polizia parigina. «Che immagine diamo, se è una cosa a cui nessuno alla fine prende parte», si lamenta Léa Dejour, studentessa.

Le cariche della polizia

Il fermento sui social degli ultimi mesi ha messo in allerta il governo, che ha mobilitato 6.000 poliziotti nella capitale e 80.000 in tutta la Francia. Anche per questo, durante una protesta a Gare du Nord, gli scontri contro i manifestanti pacifici si fanno violenti, e accompagnati da diversi colpi di lacrimogeni contro la folla.

Arthur De Bois e Matteo Peppolini, due liceali, raccontano: «Ci siamo detti che è l’ora di mobilitarci contro il capitalismo e Macron, per i nostri genitori ma anche per il nostro futuro». Dallo zaino tirano fuori fialette di soluzione fisiologica per resistere al gas.

Mentre le mobilitazioni continuano in tutta la capitale, la tensione cresce e anche l’uso dei manganelli contro la folla da parte della polizia. Nei gruppi Telegram regionali, come quello di Indignons-nous per l’Île-de-France, le comunicazioni sono continue. Ogni zona ha le sue sotto-sezioni e si condividono video, screenshot e posizioni della polizia. Per eludere i controlli automatici, gli indirizzi delle mobilitazioni vengono scritti a mano, fotografati e diffusi in formato immagine, spesso distorti come Captcha.

A distinguere questa protesta dalle mobilitazioni passate è soprattutto l’assenza di un simbolo unificante. «Io non sono cittadina francese», racconta Ana B., manifestante. «Per me le manifestazioni sono l’unico modo di partecipare alla politica pubblica». Gabriel Croisic aggiunge: «È una iniziativa cittadina, senza sindacati o partiti. È per chi di solito non è ascoltato».

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