Come aumentare la produzione di vaccini, come garantirli al più presto a tutti e come ridurre le diseguaglianze globali? Centodiciotto paesi chiedono di mettere la salute pubblica davanti alla difesa della proprietà intellettuale e quindi di liberare i brevetti. Sette paesi invece hanno chiesto alla Wto di dialogare con Big Pharma. Il vertice della Wto, e cioè la direttrice generale Ngozi Okonjo-Iweala, ha optato per gli incontri con Big Pharma. E la società civile è in rivolta: a questo punto pretende di essere ascoltata. 

La lettera

Una lista sconfinata di organizzazioni non governative - se ne contano 243 per l’esattezza - ha appena rivolto a Okonjo-Iweala una lettera. «Le forniture globali di vaccini non possono finire relegate alla mercè degli interessi puramente commerciali o del diritto esclusivo delle aziende farmaceutiche di trattenere nelle loro mani la tecnologia. La posta in gioco è troppo alta». La posta in gioco è la salute pubblica, ricordano nelle sette pagine di lettera (cinque occupate da firme) Amnesty International, Oxfam, Médecins sans frontières, Fairwatch, e tante altre che è impossibile nominare tutte.

Il contesto

Perché la questione vaccini passa per le mani della Wto? Perché già a ottobre due paesi, Sudafrica e India, hanno chiesto che vista la situazione pandemica vengano attuate le clausole di emergenza previste dall’accordo commerciale sulla proprietà intellettuale Trips. Si tratta di far valere per i vaccini, i farmaci, i dispositivi medici legati a Covid-19, per un periodo circoscritto, l’articolo 9 dell’accordo della Wto: dice che in circostanze eccezionali alcuni obblighi possono essere sospesi. Allentare alcune tutele su copyright, progettazione industriale e segreti di produzione significa poter liberare i brevetti, introdurre licenze obbligatorie, trasferire tecnologie. All’ultimo incontro di marzo del consiglio Trips, che si occupa dell’omonimo accordo, questa proposta ha ormai raccolto il sostegno di ben 118 paesi. Ad opporsi, un pugno di paesi ricchi, tra i quali Usa, Unione europea, Canada, Giappone, e tra i paesi in sviluppo solo il Brasile di Bolsonaro. Ma all’interno della Wto si cerca l’unanimità, e quindi la questione è finita in stand by.

La terza via (delle aziende)

Anche l’appello di Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità, è finito nella pratica inascoltato. «Se non è un’emergenza questa, quale? Se non ora, quando?». In compenso la direttrice della Wto ha annunciato a mezzo stampa che avrebbe cercato una “terza via”: «Preservare la proprietà intellettuale ma favorire accordi con le aziende per aumentare la produzione». Intanto sette paesi, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia, Turchia, Cile e Colombia, con l’influente sostegno informale degli Stati Uniti, hanno avanzato a Okonjo-Iweala la richiesta di avviare “direct talks”, dialoghi diretti, con Big Pharma, per «facilitare e promuovere partnership». La terza via della Wto non è molto dissimile dallo schema Sanofi-Pfizer che è già stato preso come modello dal commissario al Mercato interno dell’Ue, Thierry Breton: si tratta di stringere accordi di coproduzione tra l’azienda che detiene il brevetto e una azienda a cui viene appaltata la produzione; ma tutto questo con l’accordo dell’azienda che ha il brevetto, e trattando quindi le condizioni. Big Pharma viene pagata per coprodurre, e viene pagata anche con copiosi fondi pubblici. 

«Industry-controlled»

La direttrice della Wto pare proprio aver accolto l’invito; non ad agire per liberare i brevetti, ma a incontrare Big Pharma. Risulta ad esempio che a marzo abbia partecipato a un summit organizzato da Chatham House, di cui era stata ospite anche quando era solo candidata al vertice della Wto. Questo 8 e 9 marzo ha discusso di filiera produttiva globale dei vaccini con i rappresentanti dell’industria farmaceutica, come la International federation of pharmaceutical manufacturers and associations (Ifpma), di cui fanno parte le big dei vaccini come Pfizer, Johnson&Johnson e AstraZeneca, ma pure Novartis, Sanofi, Bayer, Roche e così via. Eppure l’accordo di Marrakesh, all’articolo VI, paragrafo 4, recita che «le responsabilità del direttore generale dovrebbero essere di squisita natura internazionale, e non andrebbe accettata nessuna indicazione da nessun governo né autorità esterna alla Wto». Ora le organizzazioni della società civile esprimono «preoccupazioni» in questa lettera, e scrivono tra le prime righe che «l’enfasi che è stata posta sugli accordi bilaterali industry-controlled, come approccio primario da seguire per affrontare i problemi di produzione globale, ci lascia preoccupati e contrariati».

Bene comune globale

Questi accordi, si spiega nel documento, lasciano alle aziende la scelta se accordarsi o meno, e a quali condizioni: è Big Pharma insomma a dettare queste condizioni. «La “terza via” di cui lei parla - scrivono le ong alla direttrice della Wto - ancora una volta si regge sulla volontà delle aziende». Aziende che hanno già beneficiato di ampie fette di denaro pubblico, investito in ricerca e sviluppo, sperimentazioni, oltre che nell’acquisto. «Pfizer e Moderna prevedono per i vaccini nel 2021 un ricavo tra i 15 e i 30 miliardi di dollari». Le forniture globali di vaccini «non possono dipendere dalle prerogative commerciali, la posta in gioco è troppo alta». Perciò le associazioni chiedono, o meglio tornano a chiedere ancora una volta, che «il vaccino sia considerato come un bene comune globale».

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