Il celebre critico d’arte Claudio Strinati è protagonista di una nuova connection pittorica. Qualche giorno fa Domani ha raccontato come l’ex soprintendente del polo museale di Roma due anni fa sia stato denunciato alla procura capitolina da Raffaele De Dominicis, già suo amico e procuratore capo della Corte dei Conti.

Secondo il giudice, lo storico e il commercialista Pasquantonio (lobbista della sanità che affitta casa al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, in passato piazzato da Nicola Zingaretti in una società in house della Regione Lazio) gli avrebbero infatti fregato un quadro antico.

Un dipinto che raffigura “Venere e Adone” che nel 2015 lo stesso Strinati – nonostante gli esperti del ministero lo avevano valutato 8mila euro, poco più di una crosta – aveva addirittura attribuito al maestro Paolo Veronese. «Strinati e Pasquantonio lo hanno restaurato, ma poi mi hanno restituito una copia!», l’accusa del magistrato contabile, su cui i pm romani devono sono ancora esprimersi.

Ora si scopre che il critico d’arte celebre per le sue apparizioni in Rai è stato coinvolto in un’inchiesta finora segreta anche in merito a un altro dipinto, su cui sta lavorando la procura di Perugia. Al centro dell’indagine ci sono la giudice romana Massimiliana Battagliese e l’imprenditore Fabrizio Centofanti, entrambi indagati per corruzione.

A metà del 2013 Centofanti - era cosa già nota - ha comprato dalla Battagliese per oltre 300mila euro un David con la testa di Golia”. La cifra, consistente, fece subito scattare l’allarme dell’antiriciclaggio degli uffici della Banca d’Italia. Per anni la Battagliese fu indagata con l’ipotesi di autoriciclaggio, mentre la posizione di Centofanti fu subito archiviata dalla procura allora guidata da Luigi De Ficchy.

Arriva il David

La perizia con cui Strinati attribuisce al veronese il quadro del giudice De Dominicis


Si scopre oggi che arrivato Cantone quel fascicolo è stato riaperto: venditore e acquirente sono stati iscritti entrambi per corruzione, con l’ipotesi – ad oggi non dimostrata – che il giudice civile abbia potuto scrivere qualche sentenza a favore di società di Centofanti o di quelle che a lui si rivolgono per consulenze assortite.

Un’iscrizione che Cantone e i suoi pm avevano voluto anche per altri scambi economici tra i due soggetti, come l’acquisto di Centofanti di un appartamento di proprietà della Battagliese e pure di alcune centinaia di copie di un libro di firmato dal magistrato, dal titolo: “Eva, Dio e gli alieni”. Casa e saggio non sono però mai stati al centro di accertamenti giudiziari.

Il colpo di scena su Strinati arriva qualche mese fa, quando Centofanti interrogato spiega a verbale la genesi dell’acquisto del “David”: «La Battagliese mi aveva offerto in vendita il quadro, che secondo voci tramandate dalla sua famiglia poteva essere della scuola di Guido Reni, o forse dello stesso Reni. In quel periodo la giudice doveva monetizzare, perché doveva comprare un’abitazione per il figlio».

Centofanti dice a Cantone che inizialmente aveva declinato la proposta d’acquisto. Ma che qualche tempo dopo, durante un pranzo, i suoi amici Pasquantonio e De Dominicis cominciarono a discutere davanti a lui dell’affaire del dipinto della “Venere e Adone”, che Strinati aveva attribuito nientemeno che al Veronese e che ora volevano vendere all’estero. «Mi interessai alla storia e chiesi così a Pasquantonio se poteva presentarmi qualcuno che facesse expertise. Mi presentò Strinati» conferma ora a Domani Centofanti «Facemmo più riunioni con l’ex soprintendente, alle quali presenziarono anche Pasquantonio e il professor Otello Lottini, che al tempo era presidente della Cosmec, la mia società che doveva comprare l’opera.

Alla fine Strinati mi disse che il quadro era sicuramente antico, sicuramente della scuola di Guido Reni e forse – se avesse avuto il tempo di fare delle ricerche approfondite – attribuibile a Reni in persona. Minimo minimo, mi disse, era di Lionello Spada, detto la “Scimmia del Caravaggio”. Il prezzo che avrei pagato alla Battagliese era dunque congruo. Anzi: mi fece capire che comprando il quadro avrei potuto perfino fare un grande affare». In effetti, un’eventuale attribuzione a Reni avrebbe gonfiato a dismisura la valutazione del dipinto.

Modus operandi

La scrittura privata tra De Dominicis, Strinati e Pasquantonio sul quadro della “Vergine"


Centofanti si convince. Compra il “Davide” a oltre 300mila euro, somma bonificata sui conti correnti della Battagliese. Ma come mai al momento dell’acquisto non c’è traccia di una perizia del critico, che farà un’attribuzione a favore di Spada solo nel 2016? «Strinati mi disse che non conveniva che lui mettesse subito per iscritto che l’opera era di Lionello Spada, visto che il suo lavoro di ricerca lo avrebbe forse portato più avanti a cambiare investitura a favore del maestro Guido Reni».

Il lobbista sostiene che il progetto finale consigliatogli da Pasquantonio e Strinati era che il dipinto, dopo l’expertise, venisse poi mostrato in qualche galleria di grido, trasferito all’estero e venduto sul mercato russo o cinese, «dove il mio “Davide con la testa di Golia” si sarebbe potuto piazzare a cifre molto, molto importanti», dice l’imprenditore.

Seguendo il resoconto del testimone, sembra che il modus operandi ricalchi quello già proposto da Pasquantonio e Strinati al procuratore della Corte dei Conti De Dominicis: attribuzione del dipinto a un maestro indiscusso, eventi dove presentare l’opera per farla conoscere, esportazione all’estero e tentativo di vendita a cinque o sei zeri.

Anche la divisione dei possibili proventi sembra identica a quella ipotizzata per la “Venere” attribuita al Veronese: se una scrittura privata tra il giudice, Pasquantonio e lo storico dell’arte (che però ha ipotizzato a Domani che le firme «potrebbero essere false») segnala un frazionamento equo dei guadagni futuri (40 per cento per De Dominicis, 30 e 30 per gli altri due soci), Centofanti chiarisce che anche sul “Davide” il gruppetto si accordò sulle quote: «Non con un contratto scritto, ma a voce: 40 per cento dei possibili ricavi sarebbero toccati a me, il 30 per cento a Strinati e il 30 a Pasquantonio».

Possibile che questi ultimi due abbiano usato uno schema simile anche per altre opere d’arte? Non lo sappiamo. È certo però che il progetto di vendere a peso d’oro il “Davide con la testa di Golia”, come accadrà poi per la “Venere”, non andrà a buon fine. Nel 2015 il bonifico che Centofanti fa alla Battagliese finisce infatti nelle maglie dell’antiriciclaggio e della Guardia di Finanza, che chiede conto all’imprenditore dell’operazione.

Il sospetto iniziale degli inquirenti è che Centofanti possa aver girato alla Battagliese una cifra spropositata rispetto al reale valore del dipinto, in cambio di qualche favore o qualche sentenza favorevole. Il quadro viene sequestrato.

Attribuzioni

La perizia con cui il critico Strinati attribuisce a Lionello Spada il quadro di Centofanti


Preoccupato, il lobbista chiede così a Strinati di firmargli subito l’attribuzione a Lionello Spada, in modo che fosse subito chiaro agli investigatori che il prezzo del “Davide” fosse adeguato.

Il 7 maggio 2016 Strinati firma la perizia, nella quale si legge: «Illustri colleghi, il dipinto raffigurante “Davide con la testa di Golia”, ben restaurato nel 2014 dalla collega e amica Carla Mariani sotto la mia stessa supervisione (l’esperta è la stessa che ha restaurato la “Venere e Adone” del giudice De Dominicis e attribuita da Strinati al Veronese, ndr) quando fu sottoposta a mio giudizio recava un riferimento, ma non ricordo da chi formulato, a Simon Vouet, sommo caravaggista francese attivo sia a Roma che a Parigi. Tale attribuzione mi parve inesatta...Ho dedotto che una possibile attribuzione dovesse essere individuata nell’ambito della scuola di Guido Reni stesso, e ho pensato in particolare a Lionello Spada...certo Vouet è artista celebratissimo e molto apprezzato sul piano finanziario. Spada forse ha minor valore. Ma, accettando la mia attribuzione, che certamente è tale non avendo riscontro scientifico e documentario, il nostro dipinto può essere considerato una testimonianza importante e colta di un artista molto significativo. Quanto vale? Difficile dirlo, ma potrei ben sostenere che un’opera come la nostra valga sui 250/350 mila euro».

La “mediana” dell’ipotesi di Strinati, per la cronaca, è esattamente quanto girato dal lobbista alla giudice. «Io ho comprato in buona fede, non ho corrotto nessuno», chiude Centofanti.

Senza nuove evidenze, l’inchiesta potrebbe presto essere archiviata o andare verso la prescrizione. I misteri del “Davide”, però, non sono stati del tutto sciolti. Anche perché le versioni degli altri attori della vicenda non convergono. Pasquantonio, al telefono, dice: «Non è vero quanto dice Centofanti sulla divisione degli eventuali proventi. Lui mi chiese solo se conoscevo qualcuno che poteva fare un expertise al quadro, e io gli presentai Strinati. Null’altro so».

Strinati ammette di avere fatto perizia scritta al lobbista, ma nega «di aver avuto l’incarico per provare a vendere il “Davide” all’estero, mai parlato nemmeno di quote dei proventi. Se speravo di poter attribuire il quadro a Guido Reni? Guardi, mi dispiace ma non le dico nulla di più: i pm quando mi hanno interrogato sono stati gentili e competenti, e non voglio mancargli di rispetto».​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

 

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