Nessun arresto, piste ancora poco concrete e una vaghezza che inquieta. A 100 giorni dal tragico agguato sulla strada tra Goma e Rutshuru nell’est della Repubblica democratica del Congo (RdC), a un passo dal Rwanda, che è costato la vita al nostro ambasciatore Luca Attanasio, al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista locale Mustapha Milambo, i passi avanti per far luce sulla vicenda sono stati davvero pochi. La prima missione del Ros, il Raggruppamento operativo speciale, a Goma, all’indomani dell’accaduto, come affermano fonti investigative dirette non ha praticamente sortito effetto a causa dei numerosi veti posti dalla Monusco, la forza di interposizione dell’Onu, in nome della sicurezza.

La seconda a Kinshasa, a marzo, «ha visto la collaborazione fattiva della nostra ambasciata (a capo della quale temporaneamente è stato posto Fabrizio Marcelli con la funzione di Incaricato d’affari, in attesa della nomina del nuovo ambasciatore, ndr) e il Pam, il Programma alimentare mondiale dell’Onu. Ha permesso di acquisire una serie di atti utili. I funzionari del Pam si sono messi a disposizione e sono stati sentiti dal Ros per una prima ricostruzione sulle dinamiche dell’incidente e sono poi stati invitati in Italia per approfondimenti. Data anche l’ubicazione della sede centrale a Roma, si spera di averli presto a disposizione».

La prima dichiarazione

Ma dalle tre inchieste partite il 23 febbraio scorso – Procura di Roma, Procura di Goma e quella richiesta dal World Food Program e condotta dal Department of safety and security dell’Onu – emergono pochi dati sostanziali accompagnati da dichiarazioni che, se possibile, aumentano i dubbi.

«A un certo punto – ha affermato il presidente della Repubblica democratica del Congo e di turno dell’Unione africana, Félix Tshisekedi, in un brevissimo passaggio di una lunga intervista apparsa su Africanews lo scorso 21 maggio, – alcuni sospettati sono stati arrestati. Penso che siano costantemente interrogati perché, dietro di loro, si trova un’intera organizzazione. Quindi, io ritengo che questa sia la strada che dobbiamo provare a battere per risalire ai colpevoli». Un capolavoro di approssimazione che sembra addirittura ostentare disinteresse o, ancor peggio, ignoranza dei fatti.

Come ha reagito il nostro paese a questa che, per quanto vaga, è la prima e più autorevole dichiarazione rilasciata dalla più alta autorità congolese sulle inchieste in corso? E a che punto sono i contatti tra Italia e Congo e la collaborazione tra due paesi che, da quando Attanasio era giunto, nel 2017, avevano conosciuto nuovi impulsi? Abbiamo cercato ci capirlo chiedendolo direttamente al ministro Luigi Di Maio: «Di recente il presidente della Repubblica democratica del Congo, all’interno di una lunga intervista per Africanews su tantissimi temi, ha parlato di sospettati per l’omicidio di Attanasio, Iacovacci e Milambo messi agli arresti. Che cosa vi risulta sugli arresti effettuati in Congo per l’omicidio di Attanasio, Iacovacci e Milambo? Vi ritenete soddisfatti della collaborazione offerta dal governo del Congo per giungere all’individuazione dei colpevoli?».

Il titolare della Farnesina non ha voluto rispondere adducendo quale motivazione il fatto che l’inchiesta sia ancora in corso.

Gli arresti

«Ma gli arresti a cui fa riferimento il presidente del Congo – spiega la fonte investigativa – come è stato ampiamente diffuso, sono avvenuti a marzo, non di recente e, per altro, non sono immediatamente riconducibili agli autori del fatto ma solo ad appartenenti a una delle milizie in azione (circa 150, ndr) che si crede, ma non è stato assolutamente accertato, essere tra gli organizzatori dell’attentato».

«Se fossi Tshisekedi – aggiunge Chiara Castellani, una missionaria laica da oltre 30 anni in Congo, che proprio in questi giorni inaugura a Kenge "Il sogno di Luca", il reparto maternità fortemente voluto dall’ambasciatore – direi: “Non abbiamo saputo evitare la morte di Attanasio così come quella di cinque milioni di congolesi massacrati nell’est. Luca girava sempre con una macchina fotografica in mano, indagava sulle fosse comuni e le gravissime violazioni dei diritti umani. Stava creando malumori in Rwanda, che come noi missionari diciamo da anni è dietro a molti dei massacri, a Kinshasa incapace di mettere fine alle stragi e agli stessi organismi Onu (Pam e Monusco, ndr) che utilizzano i mezzi in dotazione per traffico di armi e cobalto».

Nodi da sciogliere

Le indagini della Procura di Roma seguono due filoni che mirano da una parte a ricostruire i fatti e assicurare alla giustizia gli esecutori del pluriomicidio, dall’altra ad accertare possibili omissioni per quanto attiene alla security.

Sulla sicurezza dell’ultimo, tragico viaggio dei nostri due connazionali e, più in generale, degli spostamenti e le missioni dei nostri rappresentanti diplomatici che operano in aree di grande pericolo, gravitano ancora grosse nebulose. Se, come da mesi avviene, e in gran parte a ragione, la tendenza del nostro governo e di quello congolese, è di addossare le maggiori colpe al Pam e al servizio security dell’Onu per aver incredibilmente dichiarato sicura una tra le strade più note in Africa centrale per la sua indiscussa pericolosità, resta ancora da chiarire come sia stato possibile che nessuno tra i servizi preposti alla protezione del personale dell’ambasciata abbia imposto la scorta. C’è poi da capire quali fossero le modalità di spostamento dell’ambasciatore nell’immenso territorio della Rdc, tra gli stati più instabili e rischiosi al mondo. E, infine, quali e quanti fossero i mezzi e gli uomini a disposizione della nostra rappresentanza in Congo.

Spending review

«C’è un grosso problema legato alla limitatezza delle risorse a disposizione della politica estera italiana – dichiara il presidente dello Sndmae, il sindacato dei diplomatici, Francesco Saverio De Luigi – si è infatti in presenza da vari lustri di una costante erosione di fondi e personale nel contesto di una progressiva disattenzione verso il funzionamento delle nostre ambasciate e consolati, a fronte di accresciuti impegni in tutti i settori. Il bilancio della Farnesina è passato in vent’anni dallo 0,28 all’attuale 0,09 per cento della spesa pubblica, a fronte di un peggioramento delle condizioni di sicurezza a livello globale».

«Da troppi anni – gli fa eco Piero Fassino, presidente della III commissione Affari esteri della Camera – il bilancio della Farnesina presenta delle inadeguatezze. C’è una chiara necessità di un aumento del bilancio e maggiori investimenti per rafforzare tutti i sistemi di salvaguardia. Tali tragedie dovrebbero indurre a queste decisioni, il dramma è che prevalgono le esigenze di bilancio a scapito della sicurezza».

Anche su questo tema, al fine di capire meglio e fugare, almeno in parte, i numerosi dubbi, abbiamo rivolto al ministro Di Maio una domanda. «Dopo l’uccisione dell’ambasciatore Attanasio, avete affrontato il tema della sicurezza e dei mezzi e del personale atti a garantirla nelle nostre rappresentanze all’estero, in particolare quelle più pericolose?».

Anche in questo caso, bocche cucite in attesa della chiusura dell’inchiesta.

Inchiesta riservata

«Siamo giunti a una prima ricostruzione dei fatti – riprende la fonte investigativa – e alla fine di aprile è stata consegnata all’Italia la relazione della security dell’Onu svoltasi con una ispezione interna finalizzata a ricomporre l’accaduto. L’inchiesta è ancora classificata come riservata e da un lato ricostruisce la dinamica, dall’altro esamina la condotta dei funzionari del Pam riguardo la sicurezza. La Procura di Roma lavora quindi per integrare e completare le inchieste e, con la collaborazione diretta e piena del Pam, confidiamo di chiudere in tempi brevi».

Luca Attanasio, autore di questo articolo, è omonimo dell’ambasciatore ucciso. È collaboratore di Domani e ha condotto un’inchiesta, finanziata dai lettori, sulle miniere di cobalto in Congo.

 

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