Chi sarà il successore di papa Francesco? A scriverne di nuovo sono stati molti media in occasione dell’intervento chirurgico subìto da Bergoglio. Ma poco prima previsioni e speculazioni si erano moltiplicate a causa dell’uscita dal collegio degli elettori in un futuro conclave, per limiti di età, dell’ottantenne cardinale Crescenzio Sepe.

Per questo motivo da una decina di giorni oltre due terzi degli attuali elettori – la maggioranza richiesta per l’elezione di un papa – risultano scelti dal pontefice argentino, e la circostanza ha ridato fiato al tema della successione papale.

Dos papas

Pronostici del genere sono però esercizi inutili, come ha mostrato, per limitarsi agli ultimi decenni, la storia del papato. Durante il pontificato di Wojtyła a prevederne i successori si iniziò nel 1995, ben dieci anni prima della sua morte, ma via via tutti i presunti papabili vennero meno.

Nel 2013 l’improvvisa rinuncia di Ratzinger prese di sorpresa tutti i giornalisti. Infine nel 2020 The Next Pope (Sophia Institute Press), scritto dal giornalista Edward Pentin, molto critico di Bergoglio, ha preso in esame una ventina di candidati alla sua successione, che in parte sono già tramontati.

Da pochi giorni è uscito in Spagna Dos papas (Rialp) di Julián Herranz, un libro anche su questi aspetti decisamente più interessante e fondato. L’autore, medico psichiatra e poi giurista, esponente di spicco dell’Opus Dei, è uno degli ultimi cardinali di Giovanni Paolo II, e in questa veste è stato uno degli elettori nel conclave del 2005.

Oggi novantatreenne, non ha preso parte all’elezione di Bergoglio per limiti di età, ma è stato presente alle fondamentali riunioni – le congregazioni generali aperte a tutti i cardinali – che si tengono durante la sede vacante prima delle votazioni.

La fuga di documenti

I due papi di Herranz sono Benedetto XVI e Francesco. Ma le quasi quattrocento pagine appena pubblicate presuppongono e continuano il suo più ampio Nei dintorni di Gerico (Ares).

Pubblicato nel 2006, il libro trattava con molti retroscena dei quarant’anni precedenti: dalla preparazione del concilio fino a tutto il pontificato di Giovanni Paolo II, che costituì l’Opus Dei come «prelatura personale» – unica nella chiesa ma ora in corso di revisione – e poi proclamò beato e santo il suo fondatore, Josemaría Escrivá, che l’autore aveva conosciuto nel 1950.

Curiale discreto e autorevole, Herranz ha fatto parte, con i cardinali Tomko e De Giorgi (anch’essi ultraottantenni e dunque non più elettori), della ristretta commissione incaricata nel 2012 da Benedetto XVI di indagare sulla incredibile e scandalosa fuga di documenti riservati.

Gli atti e i risultati dell’inchiesta vennero consegnati solo a papa Ratzinger, che dimostrò – scrive ora il prelato andaluso – «di averli letti attentamente». Il pontefice aveva deciso di trasmetterli soltanto al suo successore, e questa saggia decisione aiutò i tre cardinali, «in mezzo alle tensioni» del conclave che stava per svolgersi, a mantenere la riservatezza su quanto avevano appurato.

The next Pope

Una volta concluso il libro, Herranz ha mandato il testo a papa Francesco per sollecitare il permesso di pubblicare parti della sua corrispondenza privata con il pontefice argentino. E questi l’11 febbraio scorso gli ha risposto con una personalissima lettera di due pagine autografe in spagnolo riprodotte in facsimile nel libro.

«Caro fratello, mi commuove il suo gesto» esordisce Bergoglio, che ricorda anche come – subito dopo l’elezione di Ratzinger – il cardinale lo avesse invitato a pranzo insieme al collega brasiliano Hummes. «Herranz è molto intelligente: sta pensando al prossimo Conclave» aveva commentato allora un anonimo, che papa Francesco cita.

Delle due ultime elezioni papali il libro rivela dettagli interessanti. Per quella del 2005, quando solo un nome spiccava su quelli di altri «due o tre cardinali», Herranz scrive che l’elezione di Ratzinger venne anticipata in Germania, prima dell’annuncio ufficiale, da «qualcuno presente nella Cappella Sistina».

Diversa invece la situazione nel 2013, perché «non erano solo due o tre ma una quindicina i cardinali considerati “preferiti” da determinati gruppi di elettori». Herranz ne elenca otto: il brasiliano Scherer indicato dai curiali, Scola dagli italiani – non tutti, per la verità – e poi O’Malley, Dolan e Ouellet dai nordamericani, Bergoglio per l’America latina, infine il ghanese Turkson e il filippino Tagle per gli altri continenti.

Il cardinale spagnolo critica con durezza i tentativi attuali di «manipolare il prossimo conclave» da parte di gruppi conservatori, come «in altri tempi facevano monarchi di nazioni cattoliche».

Tra queste operazioni, maturate in ambienti che si oppongono a papa Francesco, menziona il progetto Red Hat Report – le «berrette rosse» sono ovviamente quelle cardinalizie – lanciato nel 2018, ma anche il libro dell’intellettuale statunitense George Weigel The Next Pope, fortemente critico nei confronti di Bergoglio.

Pubblicato nel 2020 come quello dallo stesso titolo di Pentin, il libro di Weigel – biografo di Giovanni Paolo II – è stato mandato a tutti i cardinali del mondo da un loro collega statunitense. Lo «stimo per altri motivi» chiosa Herranz, e tuttavia commenta: «Non mi è sembrato corretto». Il prelato spagnolo non ne fa il nome, ma si tratta di Dolan, l’influente arcivescovo di New York.

Il processo Becciu

Con inusuale franchezza Herranz scrive anche del «processo del secolo» che si sta tenendo in Vaticano e coinvolge il cardinale Becciu, con uno stillicidio di «indiscrezioni» che finiscono sui media.

«Un fatto che danneggia o può danneggiare l’indipendenza del Papa e causa un danno all’immagine della Chiesa e del Pontificato è la fuga di notizie relative a condotte delittuose ancora in fase di istruzione o di processo» ha scritto Herranz in un appunto «sull’amministrazione della giustizia», definito «una semplice riflessione personale, senza vincolo di segreto d’ufficio», che il cardinale ha consegnato a Francesco il 17 dicembre scorso.

In pericolo è la stessa «indipendenza del processo» afferma il cardinale. E conclude: «Il fatto inoltre che i tribunali dello Stato Vaticano sono costituiti nella loro maggioranza da giudici e promotori di giustizia provenienti dalla Magistratura di una determinata nazione fa dubitare che quel foro sia il più logico e competente per giudicare delitti che per la loro natura riguardano il bene comune della Chiesa universale» e si riferiscano a «membri della gerarchia ecclesiastica e organismi di governo della Santa Sede».

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