È l’ultimo muro nel continente, e può iniziare a crollare domenica 29 maggio. La Colombia è il solo grande paese dell’America latina a non avere mai avuto un presidente di sinistra. Ora il 62enne Gustavo Petro, addirittura un ex guerrigliero, oltre che senatore e sindaco della capitale Bogotà per tre anni, è in testa ai sondaggi fatti a pochi giorni dal primo turno. Il clima nel paese è di attesa e tensione.

Petro non si toglie mai il giubbotto antiproiettile, gira con una nutrita scorta e avvisa dei suoi spostamenti solo all’ultimo momento. I nemici sono da tutte le parti, dice: narcos, militari, paramilitari, vecchio establishment in generale. Non che sia una novità.

La violenza nella politica colombiana è più la regola che l’eccezione, candidati alla presidenza ne sono stati fatti saltare – letteralmente - in tutte le epoche e di tutte le bandiere politiche, ma stavolta l’aria da “nunca antes”, mai prima d’ora, corrobora l’orgoglio della sinistra dopo secoli ai margini. E gonfia anche un certo vittimismo. Se non vinciamo è perché ce lo impediranno, con le buone o con le cattive. Allerta massima.

L’alternativa

Vero è che la svolta sarebbe epocale. Petro al momento guida i sondaggi con quasi il 40 per cento delle intenzioni di voto, contro il 25 di Federico Gutièrrez, rappresentante della destra tradizionale, al potere da decenni. Saranno i due con ogni probabilità ad andare al secondo turno il 19 giugno. La sinistra ha chance inedite di vittoria in una situazione simile a quella di Lula in Brasile nel 2002. Anche in quel caso un politico già stagionato, a un nuovo tentativo dopo tre sconfitte, ma straconosciuto, sfonda infine il muro delle diffidenze, interne e internazionali, giura moderazione e ce la fa con il lemma del “mai prima”.

All’epoca Lula, ex migrante, operaio e sindacalista, disse che era arrivato a sanare un’ingiustizia durata 500 anni, cioè dallo sbarco del navigatore portoghese Pedro Cabral sulle spiagge di Bahia. Petro più modestamente parla di due secoli, cioè dall’indipendenza della Colombia, e sciorina una serie di nomi e statistiche inoppugnabili. Io, dice, sono l’unica alternativa a quelli di sempre, “los de siempre”. I notabili bianchi e ricchi che finora si sono palleggiati il potere senza cambiare mai nulla.

Secondo uno studio spesso citato da Petro, in 200 anni la Colombia è stata governata solo da 40 famiglie. Alcune dinastie hanno eletto fino a tre rampolli. Quattro quinti di loro sono nati sull’altopiano, quasi tutti tra Bogotà e Medellìn, avvocati, tecnocrati, economisti, eredi di imperi del caffè, usciti da un paio di grandi e prestigiose università. L’ultimo capo di stato nato al caldo del Caribe colombiano, come Petro (o come Gabriel Garcia Márquez), risale al 1886. Con le origini modeste di Petro, cresciuto in un paesotto di provincia e studente di scuola pubblica, mai nessuno. Il bisnonno, Francesco, era arrivato dall’Italia alla fine dell’Ottocento. Se ne sa poco, ma il nipote ha approfittato della discendenza per mettersi in tasca il nostro passaporto, utilissimo per volare negli Usa senza visto, come ha detto.

Problemi a sinistra

Ma l’assenza storica della sinistra dal potere in Colombia non è una questione etnico-geografica. È l’effetto di un patto di ferro tra le classi dominanti che ha funzionato sino ad oggi, dove si è scimmiottato il bipartitismo perfetto degli Stati Uniti con due partiti simili mentre la lotta politica si svolgeva principalmente dentro i due schieramenti, i liberali e i conservatori, e tra rivali élite bianche.

Da quando quel patto è stato stretto, alla fine degli anni Cinquanta, ha preso piede in Colombia l’idea che le istanze progressiste potessero fiorire solo con la lotta armata. E difatti, nei vent’anni successivi del secolo scorso, sono sorte nel paese ben sei guerriglie di ispirazione marxista mentre la sinistra si perdeva in risse e scissioni continue, senza mai creare alcuna leadership.

Pur macchiandosi di sangue, e infine fondendosi con le bande narcos, la guerriglia armata si è andata attribuendo per decenni il ruolo di unico interlocutore in grado di alzare la bandiera delle trasfomazioni sociali grazie al suo confronto strutturale con lo stato. Per questo la lotta armata in Colombia ha finito per diventare strutturale.

Un paese nuovo

Foto Chepa Beltran - VWPics via AP

Il fenomeno Petro oggi è figlio, in qualche modo, del declino di questa èra, con la svolta dell’accordo di pace tra lo stato e le Farc del 2016. Evento che lungi dall’aver risolto il problema della violenza, e delle interconnessioni tra ribellione e narcotraffico, ha almeno fatto da spartiacque, liberando spazio per la sinistra legale e i suoi temi.

È come se la Colombia, che prima discuteva soltanto quale fosse il metodo migliore per farla finita con i sequestri e gli attentati, o come riconquistare allo stato territori fuori controllo, sia diventata un paese normale, dibattendo più di occupazione, salute, educazione e ambiente, e quindi aprendosi a una vera alternanza politica. Oltre alla smobilitazione delle Farc, il secondo fattore sono state le rivolte di piazza del 2019 e 2021 contro il governo di Ivan Duque. Detonatori di un lungo malcontento, in questo caso simili a quelle che in Cile ha fatto sorgere la nuova sinistra millennial di Gabriel Boric, fresco presidente.

Il percorso della sinistra verso la normalità costituzionale e la modernità tematica è lo stesso personale di Gustavo Petro, che a 17 anni entrò in clandestinità con la guerriglia M-19, e poi nella politica regolare quando il suo gruppo si legalizzò trasformandosi in un partito politico. Dopo anni passati in Senato, due tentativi presidenziali e, tra il 2012 e il 2015 alla guida della capitale, Petro ha speso gli ultimi tempi, con successo, a mettere d’accordo le varie anime della sinistra attorno ai temi più moderni, come i diritti civili e la transizione ecologica.

Decisiva e dirompente per gli schemi colombiani anche la scelta della sua compagna di ticket. Francia Márquez, 40 anni, attivista per l’ambiente, è la prima afro-colombiana ad ambire a una alta carica politica. Sfuggita a un attentato per la sua lotta contro le mafie dei cercatori d’oro nel departamento del Cauca, la Màrquez è figlia di una minoranza (il 10 per cento della popolazione, discendente dagli schiavi) del tutto sottorappresentata in politica.

Sopravvivere ai nemici

Ma davvero esiste la possibilità che la corsa di Petro possa essere fermata con modalità antiche, tritolo e affini? Come fece Pablo Escobar nel 1989 facendo ammazzare Luis Carlos Galàn, e poi tirando giù un aereo di linea sul quale avrebbe dovuto viaggiare il successore Cesar Gaviria?

Con la guerriglia in disarmo, la principale forza eversiva oggi nel paese sono i paramilitari del clan del Golfo, che controllano una buona metà del traffico di coca verso gli Stati Uniti. A novembre il presidente Duque sosteneva di aver smantellato il cartello con la cattura del suo boss, Dario Antonio Usuga. Ma quando alcune settimane fa Usuga è stato imbarcato su un aereo ed estradato negli Stati Uniti – il più tradizionale sistema colombiano di risolvere i problemi con il crimine – il clan ha mostrato tutta la sua forza facendo abbassare le saracinesche per quattro giorni a una intera provincia del paese.

Petro oggi sostiene che i narcos hanno comunque infiltrato lo stato, e i successi vantati dall’amministrazione uscente sono solo di facciata. Poiché la gestione dell’accordo di pace con le Farc è stata in mano negli ultimi quattro anni a un presidente eletto in quanto ad esso contrario, è normale che i paramilitari abbiano rialzato la testa.

Sono loro gli eredi del gruppi di autodifesa che nel secolo scorso fiorirono in tutta la Colombia per combattere la guerriglia rivoluzionaria, e sono loro ad essersi trasformati nei cartelli del primo produttore di cocaina del mondo. L’altro grande scheletro nell’armadio degli ultimi governi di destra, e cavalcato da Petro, è lo scandalo dei falsi positivi, i contadini innocenti uccisi dall’esercito simulando che fossero guerriglieri per guadagnare onori e prebende.

Si calcola siano 6.400 i civili innocenti morti per questa ragione e ai tribunali dell’accordo di pace stanno iniziando a sfilare testimoni e autori della vergogna, in cerca di benefici di pena. Nemici, come si può capire, a Gustavo Petro non ne mancano.

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