Mentre il governo italiano si prepara ad approvare nuove misure di contenimento, diventa sempre più chiaro che la seconda ondata dell'epidemia di coronavirus ha travolto l’intero continente. I nuovi casi in Europa sono ormai 250mila al giorno. La Francia è tornata in lockdown e così si appresta a fare il Regno Unito. In Germania sono stati chiusi tutti i locali pubblici e in Spagna è stato imposto un coprifuoco nazionale. Anche quei paesi che avevano affrontato con successo la prima ondata si sono dovuti arrendere e hanno annunciato che l’epidemia è ormai fuori controllo.

Nonostante gli avvertimenti di medici ed esperti, i governi europei hanno trascorso la tregua estiva impegnandosi in estenuanti dibattiti con negazionisti e minimizzatori, paralizzati dal timore che le misure sanitarie sarebbero state di ostacolo alla ripresa economica e un danno per il loro consenso politico.

Nessuno si è salvato e nessuno può rivendicare di aver ottenuto risultati radicalmente migliori degli altri. Come ha riassunto il sito Politico.eu: «La riluttante e approssimata risposta all’epidemia in tutta Europa mostra come i leader politici abbiamo speso le ultime settimane in una situazione di rifiuto collettivo di fronte alla realtà».

La preparazione sanitaria è stata ovunque insufficiente ed è possibile che in pochi mesi di tregua estiva non si potesse fare di meglio. Ma nessuno paese è riuscito ad attuare nemmeno le drastiche e rapide azioni di contenimento che avrebbero potuto rendere superfluo l’aumento radicale della capacità dei sistemi sanitari. Guardando da vicino cosa hanno fatto negli ultimi mesi i principali paesi europei un fatto emerge con chiarezza: l’Europa ha fallito la sua battaglia contro il coronavirus.

Francoforte (AP)

La Germania

«Le operazioni di tracciamento dei contatti in gran parte del paese sono collassate. Non sappiamo da dove arriva il 75 per cento dei contagi», ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel mentre pochi giorni fa annunciava la chiusura dei locali pubblici su tutto il territorio nazionale. La resa della Germania di fronte alla seconda ondata è quella che ha fatto più impressione in Europa.

Dopo aver gestito con successo la prima ondata, la Germania era indicata come il modello da seguire. Lo stereotipo che vede i tedeschi come uno dei popoli più seri e disciplinati d’Europa aveva aggiunto ulteriore peso all’idea che la Germania fosse l'unico paese in grado di difendersi dalla seconda ondata. Ma non tutti gli stereotipi e le prime impressioni si rivelano corrette alla prova dei fatti.

Monaco (AP)

«Da qui abbiamo l’impressione a volte che gli italiani siano più disciplinati degli abitanti dei paesi nordici, come i tedeschi», dice Giovanni di Lorenzo, da sedici anni direttore del settimanale tedesco Die Zeit. «Nonostante in Germania non ci sia stato un lockdown così severo come in Italia, Francia o Spagna, la scontentezza e l’accusa di gravi interferenze nei diritti civili dei cittadini sono molto più forti qui di quanto ho notato in italia; è una sorta di inversione dei classici cliché dei paesi europei».

Alla fine dello scorso agosto, ad esempio, quasi 40mila persone hanno manifestato a Berlino contro le restrizioni, e un gruppo di estrema destra ha tentato di assaltare il parlamento. Da allora cortei di migliaia di persone sono stati quasi costanti. «Le poche centinaia di persone che hanno manifestato a Roma qualche tempo fanno ridere in confronto a quello che abbiamo visto in Germania», dice Di Lorenzo.

Berlino (AP)

Ma l'opposizione al contenimento non si è vista solo nelle piazze. La comunità scientifica tedesca si è divisa su come affrontare il contagio, anche se non ha raggiunto i livelli dell’Italia, dove autorevoli medici hanno sostenuto che il virus fosse poco più di una semplice influenza. Un folto gruppo di scienziati tedeschi sostiene che le misure di contenimento prese dal governo sono esagerate e il più noto tra loro, l'epidemiologo dell’università di Bonn Hendrik Streeck, è diventato una celebrità televisiva.

Dal punto di vista politico, Di Lorenzo dice che la cancelliera Angela Merkel non si è fatta influenzare da questo contesto e non ha mai sottovalutato l’epidemia. La sua formazione scientifica, Merkel è laureata in fisica, ha aiutato la Germania ad avere una guida solida e presa ad esempio in tutto il continente. Ma i governatori dei Land, hanno mostrato maggiori incertezze nel loro operato, soprattutto per timore di entrare in contrasto con i loro cittadini, gli imprenditori e la turbolenta comunità dei negazionisti. Sono soprattutto i governi locali ad aver esitato nell'imporre misure di contenimento nelle prime fasi della seconda ondata.

Berlino (AP Photo/Markus Schreiber)

A livello di interventi economici, come era facile immaginare, la Germania è il paese che ha messo in campo la spesa più consistente dopo la prima ondata. Secondo il database del think tank Bruegel, la Germania ha stanziato sul fronte sanitario un totale di circa 15 miliardi di euro, divisi tra 5,2 miliardi destinati al finanziamento di assicurazioni sanitarie e circa dieci destinati agli investimenti negli ospedali, nel sistema sanitario e nello sviluppo di un vaccino, poco meno della metà dei quali sono destinati a essere spesi nel 2020.

Non si tratta di cifre fuori scala, soprattutto tenendo conto del Pil tedesco e di quanto hanno speso gli altri grandi paesi europei. In Italia, ad esempio, la spesa sanitaria aggiuntiva stabilita quest'anno è pari a circa 7,5 miliardi di euro. Ma bisogna ricordare che la Germania partiva già prima della crisi con uno dei sistemi sanitari più ricchi e dotati di mezzi e personale. Sulla carta, ad esempio, ha un totale di 28 mila terapie intensive e sub-intensive, mentre Francia e Italia ne hanno ciascuna meno di diecimila.

Francoforte (AP)

Il risultato è che in Germania oggi si fanno più tamponi, in maniera più rapida, efficiente e comoda per i pazienti. Tracciamento e isolamento hanno funzionato meglio rispetto ad esempio a Italia e Spagna e così la trasmissione e l’analisi dei dati. Ma nonostante tutte le sue risorse, la sua rinomata disciplina, l’efficienza proverbiale del suo governo, anche la Germania alla fine si è trovata con un’epidemia fuori controllo. Non è riuscita a contenere il virus e ha preso misure serie soltanto quando era ormai troppo tardi per evitare conseguenze su larga scala.

Ora in Germania ci si chiede se non si poteva evitare tutto questo. «La risposta che viene data, di solito, è che evitare la seconda avrebbe creato troppo scontento e per questo non è stato fatto - dice Di Lorenzo - Ma bisogna anche ammettere che ancora oggi sappiamo troppo poco su come si evolve la malattia».

Parigi (AP Photo/Thibault Camus)

Francia

Da venerdì, in Francia è di nuovo vietato circolare senza valide ragioni, come durante il lockdown di marzo e aprile. Si tratta di misure che il governo ha ritenuto necessario introdurre dopo che la scorsa settimana i nuovi casi giornalieri hanno superato i 50 mila. Per la Francia si è trattato di un doppio smacco. «Durante la prima ondata, il fatto che non ci fossero abbastanza mascherine e test è stata vissuta come un’umiliazione nazionale», dice Gilles Gressani, direttore de le Grand Continent, la rivista del gruppo di studi geopolitici dell’École normale supérieure di Parigi. «I francesi faticano ad accettare l'idea che i tempi di Luigi XIV sono passati».

Macron aveva promesso che la Francia non si sarebbe più trovata in quella situazione e che non sarebbe più ricorsa a un lockdown totale. Nei mesi successivi il governo francese ha adottato uno degli atteggiamenti più rigorosi nei confronti della preparazione alla seconda ondata, aiutato dalla sua storica struttura politica ipercentralizzata. Secondo i dati del Bruegel, la Francia ha investito circa 8 miliardi di euro nella sanità pubblica, buona parte destinati ad aumenti di stipendi per medici, infermieri e operatori sanitari. Gli ospedali hanno adottato il cosiddetto “piano bianco”, che prevedeva la possibilità di convertire rapidamente risorse già presenti alla cura di malati Covid-19 e il trasferimento di pazienti dalle aree più sotto pressione a quelle con più posti liberi.

Lille (AP)

Ma nonostante la determinazione del governo, l'opinione pubblica si è comunque divisa. «Il capitalismo francese e parte delle élite economiche sono molto più negazioniste che in Italia», spiega Gressani. Da agosto, ed esempio, una parte dei dirigenti di impresa ha spinto con insistenza per chiedere la fine dello smartworking, considerato una specie di regalo ai lavoratori. In pochi paesi europei la stanchezza per le misure di contenimento è stata espressa con altrettanta forza delle classi dirigenti.

Gressani spiega che per Macron è stato particolarmente difficile decidere come porsi di fronte a quei «ministri, imprenditori e alti funzionari scettici verso le misure estreme, che considerano il Covid-19 soltanto un’influenza un po’ più grave». Si tratta infatti di suoi alleati e sostenitori, ma che la pensano in modo molto diverso dalla maggioranza degli elettori del presidente, che non solo sono in genere piuttosto anziani, ma sono anche molto preoccupati dal virus.

Parigi (AP)

Nel frattempo, l’opposizione al misure più stringenti si è diffusa anche a livello popolare. Il medico microbiologo Didier Raoult è diventato un punto di riferimento per chi si oppone al lockdown e il suo blog viene visitato ogni giorno da centinaia di migliaia di persone. Anche se i media ufficiali hanno seguito la linea prudente e seria del governo, trasmissioni popolari, spesso radiofoniche, hanno iniziato a occuparsi sempre più spesso della pandemia. «Programmi che possono ricordare la Zanzara italiana, invece che parlare di politica da bar, hanno iniziato a occuparsi di studi, di peer review, di chi finanziava riviste prestigiose come The Lancet, tutto in un’ottica di minimizzazione e negazionismo», dice Gressani.

Questo clima complessivo ha contribuito a rendere difficile per il governo prendere seriamente la seconda ondata. Il risultato è stato che anche nella centralizzata Francia la preparazione è stata insufficiente e il contenimento più serio non è iniziato fino a che non è stato troppo tardi.

Proteste a Barcellona (AP Photo/Emilio Morenatti)

Spagna

La Spagna è stata probabilmente il primo grande paese europeo a dover fronteggiare la seconda ondata. Ma in un certo senso, l’epidemia nel paese non si è mai fermata. Già a luglio, la presenza di grossi focolai in regioni come Catalogna Aragona aveva obbligato i governi locali a chiudere intere città. Nonostante questo vantaggio temporale, la Spagna è in ritardo sulle misure di contenimento rispetto a Italia, Francia e Germania, così com'era stata in grave ritardo anche a primavera (l'unica misura nazionale in vigore nel paese oggi è un coprifuoco notturno a partire dalle 23).

Un'altra eccezione della Spagna è che negazionisti e minimizzatori dell’epidemia non hanno avuto un gran peso nel dibattito del paese. «La storia del virus che non uccide più, la presenza di un sacco di virologi che dicono cose diverse, titoli di giornale sul 95 per cento di asintomatici, questo in Spagna rispetto all’Italia c’è stato molto meno», dice Daniele Grasso, che vive in Spagna da dieci anni ed è responsabile della divisione data journalism del quotidiano El Pais.

Barcellona (AP Photo/Emilio Morenatti)

Quello che è accaduto è che gli spagnoli, come gli altri europei, hanno manifestato subito una gran voglia di tornare alla vita normale quando la prima ondata ha iniziato ad allentare la presa sul paese. E il governo li ha accontentati. La maggioranza parlamentare che lo sostiene, formata dal Partito Socialista e da Podemos, è particolarmente debole e il primo ministro Pedro Sanchez ha preferito non rischiare di perdere ulteriore consenso mantenendo restrizioni per un lungo periodo. Ma gli effetti dell’allentamento hanno iniziato a farsi vedere già prima della fine dell’estate. A settembre, la Spagna aveva il tasso di incremento dei contagi più alto d’Europa.

Il sistema sanitario spagnolo ha subito profondi tagli durante la crisi economica e ha risposto in maniera particolarmente inefficiente alla prima ondata. Secondo il Bruegel, la Spagna ha stanziato circa 5,5 miliardi di euro per le spese mediche straordinarie in vista della seconda ondata, e un pacchetto di altri 16 miliardi per consentire alle comunità autonome di finanziare interventi a favore della salute, della scuola e del supporto al reddito delle persone in difficoltà. Medici e ospedali oggi sono dotati di materiali e protocolli da usare in caso di emergenza e a luglio il numero di addetti al tracciamento dei contatti è stato raddoppiato.

Barcellona (AP Photo/Emilio Morenatti)

Ma molto altro si sarebbe potuto fare. Soltanto alla fine di ottobre, ad esempio, il governo ha creato un sistema di linee guide automatiche, che associa un certo tasso di diffusione del virus in una regione una serie di azioni di contenimento da intraprendere. Appena reso pubblico, il cosiddetto “semaforo” ha rivelato che 12 delle 17 regioni spagnolo avrebbero già dovuto essere messe in lockdown. Si tratta di un destino molto simile a quello di uno strumento paragonabile adottato in Italia: le linee guida del ministero per la seconda ondata, approvate il 12 ottobre e che, appena pubblicate, indicavano che metà delle regioni erano già in fase di rischio elevato.

Un problema aggiuntivo della Spagna è che la sanità è quasi completamente di competenze delle varie regioni, le comunità autonome. Questo, racconta Grasso, «è stato disastroso all’inizio quando dovevamo gestire dati sul contagio inviati da 17 comunità autonome in 17 modi diversi». Ma la “recentralizzazione” di alcune competenze, per quanto descritta su numerosi media internazionali come una parziale soluzione al problema spagnolo, è un argomento delicatissimo nel paese. Parlarne significa rischiare di essere automaticamente associati all’estrema destra.

Per il governo questo stato di cose ha avuto almeno un effetto positivo: non è stato particolarmente criticato per la mancanza di iniziativa, visto che così tante responsabilità sono in capo alle regioni.

 

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