Il tipico rito plebiscitario delle elezioni nei regimi democratici si è compiuto, ma nel regime putiniano si è contraddistinto per la quantità di record che ha determinato «nella storia elettorale della Russia moderna», come ha trionfalmente affermato Ella Pamfilova, la direttrice della commissione centrale elettorale (Tsik).

Il record della partecipazione elettorale, che si è attestata a 77,44 punti percentuali, e il record di consenso del quinto mandato di Vladimir Putin, eletto con la più elevata percentuale di voti pari all’87,26 rispetto al 52,9 per cento dell’elezione del 2000.

Se poi guardiamo i dati in valori assoluti il presidente Putin ha guadagnato più di un milione di voti rispetto ai 56 milioni del 2018 mentre il secondo piazzato, il comunista Nikolaj Charitonov, poco più di 3 milioni e mezzo; una cifra simile è stata ottenuta anche dai rappresentanti del partito liberaldemocratico e di “Nuova gente” e sembra indicare che nemmeno i sostenitori di quei partiti hanno votato il loro candidato presidenziale.

Una situazione paradossale che richiama alla mente una frase del celebre scacchista russo, Garry Kasparov, secondo il quale «quando nel menù c’è solo un piatto famoso, si tende ad ordinare solo ed esclusivamente quello».

E il menù elettorale del candidato Putin si è basato esclusivamente sull’effetto “rally around the flag”, un richiamo ai cittadini russi a sostenere la Patria dagli attacchi dell’Occidente “collettivo”.

Ne è una conferma il passaggio del discorso a chiusura delle urne quando Putin afferma che «i comuni cittadini del paese hanno capito in cuor loro che il paese ha bisogno di lor, del loro supporto. Il futuro della Russia dipende da loro».

Ma quali effetti hanno queste elezioni sulle dinamiche domestiche e internazionali?

Misura della lealtà

Sul piano interno, le elezioni servono non solo come legittimazione “di facciata” delle scelte politiche del presidente, ma per misurare il grado di lealtà presente in tutto il territorio della federazione russa.

È noto, basta leggere i report elettorali dell’Osce-Odhir, che i governatori, i sindaci e tutti i funzionari pubblici impegnano «risorse amministrative» per favorire il flusso elettorale e dimostrare che hanno il «totale controllo» della situazione a livello locale.

È un modo anche per “pesare” elettoralmente gli avversari politici per spartire posizioni apicali nelle istituzioni o nell’amministrazione presidenziale e per un rimpasto governativo.

Tuttavia, una ricerca sulla dinamica della composizione delle coalizioni di governo nei regimi autoritari, condotto da Ilia Nadporozhskij, dimostra che quanto più bassa è la rotazione delle élite, tanto più sono stabili questi regimi (anche quelli personalistici) perché si riduce la probabilità di colpi di stato e/o conflitti di potere.

In questi termini, Putin si appresta ad affrontare la prossima legislatura senza particolari cambiamenti e avvicinarsi alla scadenza del 2030 decidendo di guidare la sua successione ovvero di ricandidarsi per la sesta volta a 76 anni.

Le azioni di protesta

Insomma, nulla di nuovo in queste elezioni? In realtà, c’è stato un altro tipo di record che riguarda le azioni individuali di protesta, avvenute in alcuni seggi elettorali tra lancio di Molotov e la vernice zelyonka versata nelle urne.

Nelle varie elezioni dal 1993 ad oggi non si era mai verificata una situazione del genere; indice di un dissenso nei confronti del presidente e dell’invasione in Ucraina che, unito all’appello del voto a mezzogiorno dei sostenitori di Aleksej Navalnyj, indicano quanto potenziale di opposizione ci sia attualmente anche se priva di una leadership e assetto organizzativo.

Ma è sul piano internazionale che Putin ha voluto mostrare tutta la sua “forza” che intende esercitare continuando il suo piano belligerante sull’Ucraina: evitare che questo paese esca dalla “sfera d’interesse” russa a tutti i costi.

Per fare questo e con la primavera alle porte, ora Putin ha gli strumenti militari e la legittimazione necessaria per avviare e concludere (con successo?) un’offensiva entro maggio, magari da “offrire” simbolicamente al popolo durante la parata storica del 9 maggio.

E su questo fronte, il presidente Putin potrà testare sino a che punto le affermazioni del presidente francese Emmanuel Macron, che si è posto alla guida del “triangolo di Weimar”, si tradurranno in azioni concrete in difesa dell’Ucraina.

Se non ci sarà l’invio di missili a lungo raggio per mettere in condizione l’esercito ucraino di passare alla modalità offensiva, sarà sempre più difficile sostenere la narrazione della “debolezza di Putin”.

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