È partita l’opera americana di contenimento regionale del conflitto tra Israele e Hamas. La parola d’ordine del Pentagono è: reazioni con raid mirati in Siria su obiettivi iraniani ma «separati e distinti» per usare le parole del segretario alla Difesa Lloyd Austin, dal conflitto a Gaza.

In un primo momento un osservatore potrebbe pensare che i raid americani siano i prodromi dell’allargamento del conflitto in corso, ma, invece, è proprio il contrario.

Washington, che ieri ha rilanciato il piano dei due stati, uno israeliano e uno palestinese, vuole rispondere a piccole provocazioni con altrettanta decisione, ma senza alzare il livello dello scontro, per far capire a Teheran e a Mosca che è meglio evitare l’escalation.

Mentre il conflitto è entrato nel suo ventunesimo giorno e continuano i lanci di razzi di Hamas contro Israele e gli attacchi israeliani su Gaza, rimane per gli osservatori alto il rischio di un allargamento del conflitto.

Washington ha lanciato attacchi aerei su due località nella Siria orientale collegate alle Guardie rivoluzionarie iraniane, i pasdaran, le truppe più fedeli al regime degli ayatollah, ha fatto sapere in una nota il Pentagono.

Gli attacchi sono stati sferrati da caccia F-16 nella notte tra giovedì e venerdì vicino ad Abu Kamal, una città siriana al confine con l'Iraq.

Secondo il New York Times, con questi raid «gli Stati Uniti reagiscono contro l’Iran in Siria, cercando di respingere gli attacchi alle proprie truppe dislocate nell’area». Quindi una reazione moderata per segnalare che il «gendarme del mondo» è tornato ad occuparsi di Medio Oriente.

L'operazione nella zona orientale siriana, ha dichiarato il segretario alla Difesa Lloyd Austin, «è la risposta agli attacchi portati avanti da gruppi sostenuti dall'Iran nei confronti di personale americano in Iraq e in Siria».

Risposte mirate e proporzionate all’attacco subito evitando i tragici errori, citati da Biden nel corso della sua visita in Israele e al premier Benjamin Netanyahu, che gli Usa fecero dopo l’11 settembre.

Il segretario della Difesa, tuttavia, ha respinto le affermazioni secondo cui l’azione era collegata alla guerra tra Israele e Hamas, affermando che gli attacchi difensivi «strettamente personalizzati» erano «separati e distinti».

Questo è il punto per capire la reazione: il Pentagono ha parlato di «attacchi di precisione di autodifesa». La realtà è che il presidente americano, Joe Biden sta soppesando ogni decisione riguardo a rappresaglie nel timore, scrive oggi il Washington Post, che «dal conflitto di Gaza si possa propagare una tempesta in tutta la regione». Questo è il vero timore della Casa Bianca.

I gruppi filo iraniani

Gli obiettivi delle forze della multiforme galassia vicino alla cosiddetta “mezzaluna sciita” possono essere i circa 900 soldati statunitensi ancora dislocati in Siria e i circa 2.500 in Iraq, soprattutto dopo il sostegno nel corso della sua visita a Tel Aviv che il presidente Biden ha mostrato nei confronti di Israele.

Ma oltre a Siria e Iraq, minacce sono arrivate anche alle basi americane in Kuwait, questa volta da milizie vicine a Hezbollah e con stretti legami con le Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell'Iran. Queste milizie, prendendo iniziative autonome da Teheran che resta molto prudente perché teme la rappresaglia, potrebbero colpire le basi americane in Kuwait e negli Emirati Arabi Uniti come obiettivi, facendo deflagrare il conflitto.

Gli attacchi arrivano dopo che il Pentagono ha confermato che almeno 21 soldati americani hanno subito ferite lievi in diversi attacchi di droni da parte delle milizie filo-iraniane in Iraq e Siria dal 17 ottobre.

Il Pentagono non ha fornito dettagli sulle possibili vittime dei suoi attacchi ma Lloyd ha chiesto a tutti i paesi di evitare di adottare misure che potrebbero contribuire alla diffusione della guerra in altre regioni.

In verità oggi gli Stati Uniti guidati da Joe Biden stanno cercando di riparare ai gravi errori di valutazione della politica estera dell’ex presidente americano, Barack Obama in Siria, che di fronte alle numerose “linee rosse” fatte a superare impunemente da Assad per l’uso delle armi chimiche senza nessuna conseguenza concreta, aprì le porte all’influenza della Russia dei Vladimir Putin e poi dell'Iran dell’ayatollah Khamenei.

Oggi Biden, che allora era vice presidente di Obama e non era affatto d’accordo sulla politica troppo moderata e rinunciataria della Casa Bianca, sta cercando di riprendere il controllo dell’area che troppo frettolosamente aveva lasciato al proprio destino.

Per questo ha dato ordine di abbattere droni che stavano colpendo le truppe americane nella base di al Assad in Iraq. Risposte dirette e proporzionate agli attacchi evitando l’escalation.

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