Per chi opera nella cooperazione internazionale allo sviluppo in Africa, medio oriente e America Latina il tema migrazioni è una componente centrale della stragrande maggioranza dei programmi (oltre il 50 per cento), e costringe gli operatori ad acquisire sempre nuova consapevolezza della natura dinamica di tale fenomeno, di ciò che comporta nelle relazioni tra comunità a livello locale e nelle relazioni internazionali, delle narrazioni che lo accompagnano, capaci di influenzare le politiche che lo regolano. Una realtà come Avsi, che opera in 39 paesi, e nel 2021 ha raggiunto oltre 10 milioni di beneficiari diretti, si è data alcune coordinate di base cui fare riferimento nel disegnare e impostare progetti e attività.

Persona e comunità

La complessità del fenomeno comincia già dalla definizione dei suoi primi protagonisti: migranti irregolari, di ritorno, economici, sfollati, rifugiati. È molto concreto il rischio che tali definizioni diventino un’etichetta che resta addosso per una vita intera alla persona che emigra e questo non va sottovalutato. Perciò si devono sempre abbinare due fattori: le migrazioni sono un fenomeno storico da governare, che certamente ha raggiunto dei numeri inediti, in contesti che sembravano immuni, ma si deve vigilare sempre sul fatto che tale fenomeno è “personale”: ci sono persone che giocano la loro vita, e non sono mai riducibili a etichette, tanto meno a numeri. La loro dignità è da tutelare sempre.

Ma c’è un corollario: l’attenzione alla persona significa cura per la persona nella sua integralità e nel suo rapporto con la comunità: la famiglia di origine, la comunità di provenienza, la comunità che la ospita/accoglie durante il viaggio, nei paesi di transito e in quello di destinazione finale.

Questo implica tenere in considerazione il ruolo delle famiglie e comunità (come le pressioni culturali, o le tradizioni locali) nella scelta di partire, di cercare alternative lavorative in patria, di rientrare dopo l’esperienza migratoria; il modo in cui una persona si inserisce nella nuova comunità di arrivo, i rapporti che si costruiscono, la percezione reciproca, le modalità necessarie a favorire un incontro effettivo e un’integrazione autentica, ecc. Anche le eventuali reazioni ostili ai nuovi arrivati e le espressioni di paura vanno considerate e va presa su serio la domanda di sicurezza che esse contengono.

Percorsi articolati

Le migrazioni per essere governate chiedono percorsi lunghi e articolati nel tempo e nello spazio: nel tempo perché impattano come minimo su due, se non tre generazioni, nello spazio perché attraversano confini e “avvicinano” continenti. Non sono pensabili quindi azioni istantanee, a meno che non si tratti di interventi in emergenza.

L’esperienza di terreno documenta infatti che possono avere efficacia solo programmi di lungo periodo, strutturati lungo i percorsi delle migrazioni: nei paesi con migranti “potenziali”, in quelli dove emigrati o rifugiati sostano in attesa di altre destinazioni, o ancora in quelli in cui arrivano come destinazione finale dopo percorsi complicati, e infine nei paesi di origine nei quali decidano o debbano rientrare. Perciò vanno pensate e monitorate azioni su tempi lunghi e “crossborder”, e occorre essere presenti in diverse tappe della storia migratoria: nelle patrie d’origine, prima che maturi l’opzione emigrazione, se e quando si possono costruire alternative e agire sulle cause prime; nei tracciati dei viaggi e nelle situazioni in cui il rischio di abusi e violenze è più alto; nella fase di integrazione in nuovi contesti; nel cammino di rientro e di reintegrazione nei paesi di origine quando si riesca a impostare un rimpatrio volontario.

“Esserci” in tutti questi luoghi-momenti è un asset fondamentale che permette di lavorare seguendo i beneficiari negli spostamenti e con interventi integrati.

Cultura e comunicazione

Porre la persona come centro e fine di ogni azione e progetto in questo ambito vuol dire anche considerarla con il suo patrimonio di relazioni e cultura, tradizioni e appartenenza religiosa. Per chi ha lasciato la patria ed è in movimento, quel patrimonio costituisce un riferimento attraverso cui compiere le proprie scelte anche nelle situazioni nuove. Allo stesso modo va tutelato il patrimonio culturale della comunità che accoglie. Le differenze culturali sono ponti, non obiezioni all’incontro tra persone con storie diverse.

In questo lungo e articolato processo le azioni comunicative assumono un valore decisivo, sia nei paesi di partenza, che in quelli di accoglienza: possono favorire la circolazione di informazioni corrette sui percorsi migratori, sulle leggi, sui diritti e sui rischi, costruire una narrazione delle migrazioni vicina alla realtà e capace di ridurre la distanza tra la percezione dei rischi che comporterebbe l’arrivo (“invasione”?) di migranti e la verità dei dati.

Una comunicazione basata su testimonianze autentiche e dati reali può aiutare a governare questo fenomeno, favorendo spazi collaborativi tra le componenti di società complesse, contenendo le derive ideologiche (“accogliamoli tutti” versus “respingiamoli tutti”), prevenendo forme pericolose di emigrazione irregolare.

Azioni integrate

La persona che emigra lo fa per il desiderio di mettersi in salvo, al sicuro, o di migliorare la propria vita, un desiderio radicato nella natura stessa dell’uomo, che ha un valore determinante nello sviluppo perché è generativo di dinamismo, di cambiamento. Si tratta di un dato della realtà umana che non va dimenticato.

Ma altrettanto questo desiderio spinge a lavorare per la costruzione di alternative e strade che tutelino anche il diritto di trovare in patria condizioni per una realizzazione dignitosa della propria esistenza.

Tale visione si può e deve tradurre in azioni integrate che investano settori diversi. Il primo e fondamentale riguarda l’educazione, di bambini, giovani, adulti, da garantire sempre, in contesti di emergenza, di guerra, di povertà. Educazione che si accompagna alla protezione, da intendersi come prevenzione di abusi, violenza e sfruttamento, ma anche supporto psicosociale, tracing, riunificazione famigliare. 

Il secondo è relativo alla formazione al lavoro per giovani e adulti: la formazione è necessaria se si vuole offrire un percorso di autonomia, un miglioramento della situazione economica, e favorire l’integrazione in contesti nuovi o la reintegrazione in patria, e se si punta a prevenire la deriva verso la violenza. A questo tipo di formazione si accompagna anche la formazione nella lingua e cultura civica del paese ospitante.

Il terzo ambito in cui investire è il lavoro in sé, strumento essenziale per il mantenimento personale e della famiglia e per il riconoscimento della propria dignità; come strumento di coesione sociale e conoscenza reciproca, dove ospite e ospitante si incontrano (per esempio in azioni socialmente utili per il bene della comunità); per la creazione di posti di lavoro, favorendo sia l’iniziativa personale e la realizzazione di nuove imprese, sia la collaborazione con il settore privato per favorire nuove assunzioni.

Il quarto è l’incontro tra comunità: ogni intervento per i migranti si accompagna a un intervento con e a sostegno della comunità ospitante che favorisca un incontro edificante per tutte le persone coinvolte, e per questo occorre lavorare promuovendo collaborazioni e partenariati. La complessità del fenomeno migratorio richiede infatti la creazione di reti tra Ong internazionali e locali, organizzazioni della società civile, istituzioni locali e nazionali, rappresentanti dei governi locali e nazionali, settore privato, agenzie educative capaci di valorizzare il contributo specifico di ciascuno e costruire insieme risposte innovative.

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