Il 31 dicembre 1999 Boris El’cin rassegnava improvvisamente le dimissioni da presidente della Federazione russa con un messaggio televisivo di auguri di fine anno al popolo russo.

«Mi ritiro prima del termine previsto. Ho capito di doverlo fare. La Russia deve entrare nel nuovo millennio con dei politici nuovi, con delle facce nuove, intelligenti, forti ed energiche. Noi, invece, che siamo al potere da molti anni, dobbiamo ritirarci». Nella carica di presidente ad interim El’cin nomina un giovane sconosciuto (classe 1952), Vladimir Vladimirovič Putin, già capo del governo da quattro mesi, che verrà eletto Presidente della Russia con il 52,9 per cento dei voti nel marzo del 2000.

All’inizio del suo mandato nessuno avrebbe scommesso che il nuovo presidente sarebbe stato capace di risollevare la grave situazione economica, sociale e politica ereditata dal suo predecessore. Nel 1998 la Russia di El’cin si trovava, infatti, in una drammatica crisi finanziaria che aveva generato una svalutazione del rublo, il default sul debito interno, l’inflazione all’84 per cento e oltre il 30 per cento della popolazione sotto la soglia di povertà. Quali sono state le decisioni politiche che Putin ha, quindi, attuato nel primo mandato e quanto è cambiata la Russia durante la sua ventennale presidenza?

La ripresa economica

L’analisi di alcune variabili sociodemografiche (fonte Rosstat) ci consentono di rispondere a queste domande, delineando un bilancio complessivamente positivo delle politiche attuate dal presidente Putin che, all’inizio del millennio, hanno consentito una netta e veloce ripresa economica con discreti effetti anche sul piano sociale, nonostante vi siano ancora questioni irrisolte, principalmente legate alla mancata modernizzazione del paese.

Ad esempio, il livello di disoccupazione che, nel 1998, era ,al 12.9 per cento per le donne e al 13.5 per cento per gli uomini, nel 2016 è sceso al 5.1 per cento e al 5.8 per cento rispettivamente, e nella attuale fase pandemica è al 6.3 per cento. L’aspettativa di vita è passata dai 57.5 anni degli uomini e 71.2 delle donne del 1994 a 67.5 e 77.6 nel 2020, con la previsione di un aumento sino a 80 anni per le donne entro il 2024. Sono calati gli omicidi (da 41.090 a 9.048), i suicidi (da 56.934 a 20.278) e, in misura minore, le infezioni (da 36.214 a 35.045) e le neoplasie (da 297.943 a 294.587), mentre le malattie cardiocircolatorie sono la principale causa di morte (862.865).

Dal 2000 la crescita economica è stata mediamente di 7 punti percentuali, consentendo al governo di pagare i debiti all’estero, abbassare il debito pubblico e costituire due fondi (di riserva e della salute) da cui attingere in casi di emergenza, come la situazione socio-sanitaria del Covid-19.

La politica sanitaria e sociale copre, infatti, il 36 per cento delle spese complessive del budget federale. Al boom economico del 2000-2008, in gran parte dovuto anche all’aumento del prezzo del petrolio e del gas, tipico di un “Petrostato”, la Russia affronta una lenta crescita economica tra il 2013 e il 2016 che induce Putin ad apportare tagli nel settore della difesa e del welfare e a pianificare una Strategia di sicurezza economica 2030 per evitare una stagnazione economica.

Se il bilancio economico non è del tutto lamentevole, posto che il governo russo è riuscito ad ottenere un saldo commerciale positivo, una bilancia dei pagamenti stabilizzata, un disavanzo prossimo allo 0 per cento del Pil, permangono ancora problemi nell’ambito sociale dove il 15 per cento della popolazione vive ancora sotto la soglia della povertà. Il 5.5 per cento dei russi percepisce, infatti, un reddito inferiore ai 7.000 rubli (circa 80 euro), il 18.9 per cento tra i 19.000 e i 27.000, il 23.2 per cento tra i 27.000 e 45.000 e solamente il 10.9 per cento della popolazione guadagna più di 60.000 rubli (circa 665 euro).

Il consolidamento del ceto medio

L’indice di Gini, che misura il livello di diseguaglianza sociale, pone la Russia nella prima posizione (37,7) tra gli ex paesi postcomunisti nel 2015 (era al 48.4 nel 1993). D’altronde, la Russia è un arcipelago culturale e territoriale, caratterizzato da grandi differenze nelle condizioni di vita e nelle dinamiche sociodemografiche. Si pensi alla densità di popolazione, suddivisa in 109.327 milioni a livello urbano e 37.553 milioni nelle aree rurali (36.000 villaggi hanno poco più di dieci persone residenti), e alla questione del calo demografico per il quale Putin è recentemente intervenuto, modificando i criteri per ottenere più facilmente la cittadinanza russa.

Nonostante questa situazione socioeconomica la presidenza putiniana è testimone del progressivo consolidamento economico di un ceto medio, che ha ridotto la forbice della disuguaglianza sociale nel paese, e di numerosi interventi di riqualificazione urbana, nel settore delle infrastrutture e dei trasporti che hanno notevolmente cambiato la qualità della mobilità delle persone e delle merci.

Se a livello economico e sociale vi sono state delle fluttuazioni periodiche che risentono della dipendenza del prezzo degli idrocarburi, è sul piano politico che Putin ha dimostrato notevoli capacità nella gestione della “verticale del potere”, intervenendo immediatamente sulle “eredità negative” ovvero l’anarchia istituzionale della presidenza El’cin: i rapporti centro vs periferia, lo strapotere degli oligarchi, la guerra cecena, un debole e frammentato multipartitismo.

In primo luogo, Putin ha voluto mantenere una delle sue promesse elettorali del 2000 ovvero “distruggere gli oligarchi come classe” che ha comportato la fuga all’estero o la prigione dei “magnifici sette” che si sono arricchiti durante la privatizzazione degli anni Novanta. Se con El’cin gli oligarchi influenzavano le decisioni politiche, Putin ridimensiona il loro ruolo perché ritiene che sia la politica che deve indirizzare l’economia, sostituendoli o affiancandogli personale proveniente dall’intelligence o dalle forze armate (siloviki) nelle posizioni chiave della sua amministrazione presidenziale. Per limitare l’autonomia concessa da El’cin ai governatori, Putin ha subordinato le regioni/repubbliche al centro in una catena gerarchica di comando che poggia sulla nomina dei rappresentanti presidenziali e la presenza di un “partito del potere”, Russia unita, che attraverso le sue ramificazioni territoriali costituisce “gli occhi e le orecchie” del Cremlino nelle periferie. Inoltre, la risoluzione del conflitto ceceno attraverso un compromesso politico con il leader Ramzan Kadyrov ha aumentato la sua popolarità e credibilità nei primi due mandati presidenziali.

Il successo in politica estera

Ma è, soprattutto, in politica estera che Putin può vantare i suoi successi più significativi nella percezione dell’elettorato russo attraverso un approccio più aggressivo nei confronti dell’Occidente (gli Usa), colpevole, a suo avviso, di avere tradito quelle promesse (a parole, ma mai scritte) espresse dai presidenti americani G. H. W. Bush e Bill Clinton, contrarie all’espansione dell’Ovest ad Est.

Putin rivendica il diritto di difendere i propri confini, rifiuta la supremazia occidentale “perché l’idea liberale ha esaurito il suo compito” e avvia una partnership strategica con la Cina, candidandosi alla guida di un nuovo sistema internazionale fondato sull’egemonia economica e finanziaria. Nello spazio post-sovietico il Cremlino ha esercitato il proprio controllo evitando cambiamenti di regime che si sono conclusi con eventi conflittuali in Georgia nel 2008 e in Ucraina nel 2014 e ha avuto un ruolo decisivo nel conflitto armeno-azero dei mesi scorsi. In Medio Oriente, anche grazie al disimpegno americano, la Russia si è posta come un’indiscussa potenza regionale, soprattutto nella gestione del conflitto siriano. Con l’UE Putin ha sempre cercato cooperazione e reciprocità, essendo anche il principale partner economico, ma la “dipendenza” delle istituzioni europee dall’influenza americana e l’annessione della Crimea hanno reso i rapporti sempre più tesi.

La propaganda

L’ordine, la stabilità, la crescita economica, la Patria (potenza mondiale) sono valori su cui Putin ha costruito la propria popolarità e ottenuto la fiducia della popolazione russa in virtù di un sistema dei mass media che veicola la propaganda statale, - basata anche su una ricostruzione della politica della memoria -, e limita l’accesso e la visibilità all’opposizione extraparlamentare. A ciò si aggiunga l’immagine mediatica di un leader “macho” (in contrapposizione al malato El’cin), - il vero interprete dell’animo russo, affiancato e supportato anche dal patriarca ortodosso Cirillo I -, che sa affrontare situazioni d’emergenza e può contare sulla deferenza dell’élite. Dopo vent’anni il “Putinismo”, come sistema di potere e stile di leadership, ha ancora la fiducia del popolo russo che attualmente si attesta al 65 per cento; un valore lontano dal picco dell’88-89 per cento del biennio 2014-2015, ma in ripresa rispetto al 59 per cento del marzo 2020.

Putin è l’espressione emblematica di un “passato che non passa” nella sua tradizione zarista di potere monocratico, nella sua centralizzazione sovietica del potere, nell’organizzazione del partito egemone e nelle tecniche di propaganda. Ciononostante la Russia di Putin non è paragonabile né all’Urss né ai vari autoritarismi del Novecento, pur in presenza di gravi limitazioni dei diritti civili e politici e dell’assenza di alcune garanzie fondamentali di uno Stato di diritto. Stiamo assistendo, infatti, ad una contrapposizione, con significative eccezioni, tra regimi liberali la cui qualità democratica è sempre più in difficoltà per l’insorgere di populismi e sovranismi e regimi illiberali la cui “facciata” è sempre più simile ai requisiti minimi e procedurali di una democrazia.

Le probabilità che il putinismo riesca a sopravvivere al suo “creatore”, che ha reso la “Russia più grande” dopo l’umiliazione subita negli anni Novanta, sono ben radicate nella tradizione storica, istituzionale, culturale e antropologica della Russia. Ma se così non fosse e la storia si ripetesse, una nuova rivoluzione potrebbe essere all’orizzonte. Chi ne sarà l’interprete?

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