Anish Kapoor

artista, Londra

Gentaglia fascista in supporto di uno dei molti leader retrogradi del mondo di oggi. Anche il mio paese, l’India, è in preda alla stessa repressiva intolleranza. Le violenze verificatesi a Washington sono ancora l’ennesimo segno di quanto siamo alienati dalla compassione, dalla tolleranza e dalla volontà di perseguire il bene comune.

Sean Scully

artista, New York e Monaco

Una volta durante un’intervista sull’arte ho detto: una cosa è il modo in cui è fatta. L’America è stata fondata sull’accaparramento della terra da parte dei perseguitati e i criminali d’Europa. La gente che viveva qui in precedenza è stata ingannata, calpestata e sterminata.

Così è stata creata l’America, e la cosa non è mai stata affrontata in modo profondo. Quella che si ritiene fosse un tempo una popolazione che comprendeva tra i venti e i quaranta milioni di nativi americani ne conta oggi un milione, che vive un’esistenza parallela nelle riserve. Aggiungi la schiavitù e la guerra combattuta per porvi fine e avrai, come risultato, un’Unione separata. Gli Stati Uniti della discordia. Un continente di stati che vivono esistenze parallele, separati da una profonda frattura esistenziale.

L’atto di unire con la forza sanguinosa delle armi due grandi aree continentali che non riescono a concordare su nulla ha posto fine, tecnicamente, alla schiavitù. Ma i sentimenti razzisti e fascisti che stanno alla base delle ragioni della Guerra civile sono diffusamente vive e vegete oggi. Donald Trump, come lo spregevole Joseph McCarthy, non ha inventato un problema: entrambi hanno semplicemente dissotterrato il vile organismo che giace sotto lo strato superficiale del suolo americano in attesa di un po’ di luce. Un po’ di celebrità. Un po’ di riconoscimento. Il presidente Eisenhower ha detto di McCarthy (che ha distrutto molte vite e molte carriere durante la purga di Hollywood): «Non mi farò trascinare nelle fogne da quel tizio».

Trump, che agisce in modo simile ma è più pericoloso, sollecita il risentimento che dimora nell’anima di quasi metà degli americani, che si stanno chiedendo: perché abbiamo bisogno di programmi sociali, uguaglianza, controllo delle armi e di una vera società integrata, di una società realmente integrata, quando questo non è stato il modo in cui, all’inizio, ci siamo accaparrati il paese? Trump, come qualunque aspirante fascista, alimenta quelle braci che ardono di risentimento. Il violento attacco alla democrazia, se non sfocia in ciò che vuoi, diviene inevitabile in questo scenario.

Come ha detto Goering (parafraso): certo che le persone non vogliono andare in guerra. Devono essere unite dall’identificazione di un comune nemico interno ed esterno. A Trump piacerebbe che i messicani fossero il nemico interno e i cinesi quello esterno. Così come è un nemico chiunque lo contraddica.

Fortunatamente la democrazia americana ha tenuto duro. Se le cose andranno per il verso giusto, Trump sarà consegnato all’ignominia. Comunque l’America, “l’intollerante”, privata di un’area moderata, diventa sempre più scontrosa.

Barry Schwabsky

poeta e critico d’arte, New York

Una frase spesso utilizzata come un toccasana negli Stati Uniti, e che ho udito ancora la notte del 6 gennaio da alcuni dei nostri membri del Congresso quando erano riusciti a riprendere le loro attività dopo la rivolta, è che il nostro è un governo di leggi, non di uomini. È una citazione del nostro secondo presidente, John Adams.

Ma quello che abbiamo visto durante la presidenza di Trump dimostra, al contrario, quanto sono deboli le leggi, quanto dipendono dalla volontà delle persone di seguirle e di farle rispettare. L’amministrazione di Trump ha usato la legge come uno strumento con cui elargire favori ad amici e familiari e punire altri. Il suo partito non ha avuto il coraggio di usare la legge per porre fine alla sua corruzione e ai suoi illeciti. Adesso che lo stesso Congresso ne è diventato una vittima, alcuni (non abbastanza) membri del partito stanno cominciando tardivamente a rimpiangere la loro partecipazione alle illegalità di Trump, anche solo di averle accettate.

In ogni caso gli eventi del 6 gennaio hanno dimostrato ancora una volta – se serviva una qualunque prova ulteriore – che abbiamo due interpretazioni della legge, o due sistemi di legge. A marcare la differenza è il colore della pelle. A Washington e altrove, i dimostranti pacifici e disarmati del Black lives matter sono stati affrontati con spray al peperoncino, pallottole di gomma e percosse. È stato invece consentito a una folla di bianchi armati di profanare il nostro Campidoglio grazie al fatto che la polizia non avrebbe usato la forza per evitarlo: un altro esempio della supremazia bianca in azione.

Antony Gormley

artista, Londra

È stato devastante vedere Capitol Hill occupata da una folla turbolenta che, a quanto pare, non si rendeva conto dell’immagine che stava dando di sé: una immagine di distruzione dei principi stessi dell’ordine pubblico conseguito democraticamente. Per chi è cresciuto nell’Inghilterra del dopoguerra l’America è stata un faro luminoso di positività. Alla scuola d’arte era la fonte radicale di nuove idee nel campo della scultura, della pittura, dell’architettura e della musica. Molto di questo c’è ancora, ma separato dal resto. L’America di Princeton, Yale, Berkeley che sta guidando l’evoluzione del mondo liberale è contrastata dal suo lato oscuro: una provincia americana il cui popolo si è sentito ignorato per decenni e indebolito. Con l’avvento dei social media, serbatoio dell’auto-conferma, dell’auto-informazione e dell’auto-legittimazione, masse moraliste scendono adesso in piazza sventolando la bandiera della disinformazione.

La verità è del tutto minata dalla proliferazione del complottismo. In questo mondo alla rovescia atti di tradimento, slealtà e infedeltà vengono visti come lotta per la libertà. Putin e Xi Jinping ne saranno deliziati. Gli eventi del 6 gennaio sono un chiodo ben piantato nella bara della capacità dell’America di mantenere la testa alta – o semplicemente rimanere – nella comunità internazionale. Dobbiamo sperare che il narcisismo di Trump possa essere collettivamente contrastato dai pochi leader realmente democratici del mondo.

Tony Oursler

artista, New York

Una buona parte del mio lavoro ha a che fare con le recenti tendenze dell’approccio ontologico del computer space, dei big data e del controllo della mente. Nella mia mostra attualmente allestita al Musée d’arts de Nantes, intitolata State_Nonstate (Hypnose), esploro la storia culturale dell’ipnosi da Mesmer ai giorni nostri, insieme agli stretti legami che le pratiche artistiche hanno avuto con questa storia dalla fine del XVIII secolo. Le teorie cospiratorie sul Covid e il 5G sono una estensione di questa tendenza iniziata agli albori dell’èra industriale. L’uso della tecnologia come forma di controllo sociale si è particolarmente diffuso negli ultimi quattro anni ed è giunto a manifestarsi materialmente negli eventi di Washington DC del 6 gennaio.

Haim Steinbach

artista, New York

Trump e il razzismo sono vivi in America, e l’intolleranza è un catalizzatore del disastro.

Il Campidoglio non è stato protetto.

Moataz Nasr

artista multimediale e attivista,

Il Cairo

Ho perso la speranza nella democrazia e nella politica in generale molto tempo fa. Sono false come qualsiasi bidone dell’immondizia colorato all’esterno ma al suo interno puzza di morte. Stiamo osservando l’inizio della fine, un’introduzione. Stiamo osservando la riconfigurazione di un nuovo ordine mondiale. Sediamoci con calma e lasciamo che l’universo faccia il suo lavoro.

Mario Diacono

poeta e gallerista, Boston

L’inaspettata, o meglio non prevenuta, o meglio complottata occupazione del Campidoglio di Washington ha costituito una versione americana dell’assalto al Reichstag del 1933. I fascisti americani erano meno attrezzati dei nazisti per incendiare il tempio della democrazia, come la mente di Trump è evidentemente meno attrezzata di quella di Hitler. Ma l’America non è più la democrazia che abbiamo evocato in passato. I 73 milioni che hanno votato per Trump certificano che gli Stati Uniti sono ormai un paese in via di regressione politica, una radicale inversione di marcia è per ora augurabile ma non imminente.

Oleg Kulik

artista, Mosca

Nella mia mente, la vista dell’assalto agli edifici legislativi, ovunque si trovino, evoca un ricordo acuto del fallito assalto al palazzo del governo in Urss nel 1993, quando di fatto l’impero sovietico era già crollato. Le riprese televisive del 6 gennaio mi sembrano immagini di una storia all’incontrario, che vede l’America indietro rispetto all’Unione sovietica. Se nell’Urss di trent’anni fa l’idea di una sinistra veniva abbandonata, ora negli Stati Uniti i suoi sostenitori hanno respinto l’attacco dei conservatori di destra per creare un vero e proprio impero americano, cosa che non sono riusciti a fare in Unione sovietica e in Cina.

Lu Peng

critico d’arte, storico

Come paese democratico, gli Stati Uniti sono sempre stati un modello per la maggior parte dei paesi nel mondo. Credo che questo evento farà sì che tutti ripenseranno al significato di “sistema democratico”. Quale sistema è davvero il più equo? Quale il più progredito? Se il sistema politico americano può essere definito democratico, allora come si spiega il comportamento dei sostenitori di Trump che attaccano il palazzo del Congresso? In quali circostanze le regole del gioco della democrazia sono davvero efficaci? E a quali condizioni possono essere modificate? Durante la campagna elettorale americana i cittadini vengono a contatto con ogni tipo di informazione proveniente da media e canali di diverso orientamento, ma la forza e la capacità di giudizio personali hanno sempre un limite. Pertanto, quale tipo di sistema consente a ogni individuo di crearsi un’opinione e una conoscenza del mondo sana? Questo porta al problema dell’organizzazione dei sistemi.

In Cina in molti si sono appassionati alle elezioni degli Stati Uniti, si sono create fazioni opposte anche in forte contrasto tra loro, gente che poteva considerarsi amica fino al giorno prima è stata capace di togliersi il saluto a causa di un parere discordante sulle elezioni americane. Uno dei motivi per cui i cinesi sono così attenti alle elezioni americane è che sono preoccupati: che tipo di sistema si adatta di più alle esigenze del popolo cinese e che sistema adotterà in futuro la Cina? Il sistema democratico americano e la scelta di un sistema in generale sono diventati per i cinesi un importante riferimento e un tema di confronto su cui riflettere.

Il sistema politico di un paese è un prodotto della storia e della cultura, il suo cambiamento è determinato dall’evoluzione del tempo. La cultura e la storia politica della Cina sono differenti da quelle dei paesi occidentali e ancor più da quelle americane. Tuttavia, nell’èra attuale della globalizzazione, in cui i sistemi politici di ogni nazione intessono tra loro relazioni politiche ed economiche, rimane una sfida per tutti i paesi affrontare i conflitti reali e formulare regole che permettano di garantire l’adeguatezza e l’efficacia dei propri sistemi.

In tutti i casi le reazioni violente e i comportamenti estremi andrebbero evitati il più possibile, ma se tali atti si verificano allora è ancora più importante analizzare e studiare approfonditamente le ragioni che li hanno causati. L’umanità sta affrontando drammatici cambiamenti epocali, forse per ogni persona che vive in un qualsiasi paese del mondo ripensare alle cause dei disastri del 2020 è la cosa più importante, ma per gli americani le elezioni e i loro risultati potrebbero rivelarsi un’opportunità storica per riflettere sulla cultura democratica americana.

Wang Guangyi

artista, Pechino

Quando ho visto le notizie e le foto, sono rimasto sorpreso e stupito. Ma per quanto sorpreso e stupito potessi essere, quelle scene non mi sono sembrate così strane, perché alcune tracce di questi eventi si erano palesate fin dal momento in cui Trump è stato eletto presidente quattro anni fa.

Naturalmente, i tanti manifestanti in piazza a Washington, che hanno dimostrato tanto “grande, inutile entusiasmo”, hanno messo in luce aspetti della natura umana che potremmo ritrovare nelle analisi realiste e talora impietose di Niccolò Machiavelli o di Thomas Hobbes.

Come artista, non mi interessa l’arte della politica, ma solo la politica dell’arte. La politica è una fonte della mia arte perché le questioni politiche abitano questo mondo. Ma allo stesso tempo so che i fatti che attivano la mente dell’artista sono misteriosamente legati alla politica in un modo non necessariamente veritiero, e ho sempre cercato di mantenere una visione “neutrale” nei confronti della storia e della politica.

Ding Yi

artista, Shanghai

Il sistema politico rappresentato dagli Stati Uniti è stato un modello per tutto il mondo. Oggi vediamo un sistema, un tempo vibrante, affrontare una crisi sistemica. Questo sistema è stato costruito sulle fondamenta della rivoluzione industriale, e dopo essere stato applicato in Europa e negli Usa, è diventato un modello di politica democratica che ha guidato il progresso globale. Oggi però vediamo che nel corso di quasi due secoli quel modello è passato dall’essere percepito come vincente a uno stato di declino. Non rappresenta più l’unico modello di un’esperienza di progresso. Credo che oggi abbiamo di che essere pessimisti e dobbiamo ammettere che la storia umana fino ai giorni nostri non è riuscita a trovare un sistema perfetto che sia sostenibile per il bene comune.

Yue Minjun

artista, Pechino

Credo che lo stato di diritto democratico e le istituzioni vadano rispettate. Questo è il principio più importante alla base della democrazia e la libertà. Ritengo che si debbano cercare soluzioni legali per risolvere i problemi. Sono contrario all’uso della violenza e degli attacchi fisici. Il mio timore è che il mondo sia ormai cristallizzato in uno status fisso dal quale si può liberare solo attraverso qualche soluzione estrema. La situazione attuale negli Stati Uniti conferma i miei timori?

Deddy Kusuma

collezionista, Giacarta/Singapore

Come è potuto accadere questo “incidente” in uno stato che pretende di essere il paese più liberale e democratico del mondo e che afferma di proteggere, con la sua polizia, la libertà e la democrazia globale?

Mi ha fatto sorridere sentire dire a un commentatore che se negli Stati Uniti iniziasse una guerra civile, l’Iraq, la Siria, la Libia e l’Iran dovrebbero unirsi per formare una forza di pace per aiutare a sopprimere la folla e mantenere la pace negli Stati Uniti. Mi pare un buon attacco satirico alle politiche americane. Si dice che durante l’occupazione di Hong Kong, l’anno scorso, le alte sfere degli Stati Uniti abbiano sostenuto con forza i separatisti, incoraggiandoli a prendere d’assalto con la forza l’edificio del parlamento. I criminali che a Hong Kong picchiavano, saccheggiavano e persino uccidevano la gente ovunque sono stati acclamati come eroi della libertà e della democrazia, al punto che si è arrivati a dire che le strade piene di fuoco ricordavano una bella “scena di strada”. C’è un vecchio proverbio cinese che dice: «Il bene è ricompensato con il bene e il male con il male». Solo che il giorno della punizione non è ancora arrivato. Mi pare che le scene di Washington dell’altro giorno illustrino bene questo proverbio.

David Carrier

filosofo e critico d’arte, Pittsburgh

Nessuno degli eventi accaduti a Washington DC era inaspettato. Si preparavano da tempo. Nella sua biografia, A Promised Land (Una terra promessa), Barack Obama efficacemente identifica i conflitti in atto. I dettagli della politica di Trump possono essere complicati, ma il contesto storico di base è, a mio avviso, semplice. Il declino tira fuori il peggio dalle persone.

Sono nato proprio verso la fine della Seconda guerra mondiale. Alla fine di quella guerra gli Stati Uniti erano la potenza mondiale dominante, militarmente ed economicamente. Gran parte dell’Europa era in rovina e in Cina era in corso una guerra civile. Quando dopo il college andai nell’Europa occidentale, negli anni Sessanta, come tanti giovani americani usavo a mo’ di Bibbia la guida di viaggio Europe on five dollars a day (L’Europa a cinque dollari al giorno). L’Europa era relativamente poco costosa per gli americani. Quando insegnai per la prima volta in Cina, circa 25 anni fa, il professore che mi ospitava, come la maggior parte dei cinesi aveva una bicicletta.

Fino al 2020 la situazione dell’America e di questi altri paesi è molto cambiata. Il dollaro è molto più debole, l’Europa prospera e molti dei beni di consumo che si vendono in Europa sono importati dalla Cina. Quando tornai in Cina il professore e la moglie avevano un’auto e c’erano enormi ingorghi di traffico. Negli Stati Uniti c’è ancora una considerevole prosperità selettiva. E grazie a internet ci sono nuove grandi fortune americane. Ma in termini relativi questo paese ha subito un calo drastico. E grandi aree, non solo nella rust belt del Midwest, ma anche nelle città più ricche, si sono disperatamente impoverite. Basta camminare per New York o San Francisco per vedere i senzatetto. Oppure visitare Cleveland, dove ho insegnato per alcuni anni, o Pittsburgh, dove vivo, per trovare isole di prosperità e allo stesso tempo una grande povertà. Per decenni gli intellettuali e i politici americani hanno discusso di questi problemi. Ma è giusto dire che non sono state trovate soluzioni efficaci. È difficile governare in una situazione di declino di lungo periodo.

Quando Trump è stato eletto si è discusso molto se non fosse un protofascista. Mi è capitato di leggere la storia della Repubblica di Weimar e alcuni dei parallelismi con la Germania fanno davvero paura. Quando le persone sono impaurite è fin troppo probabile che sostengano politiche irrazionali. Osservazioni simili si applicano, credo, alla rapida ascesa al potere di Mussolini in Italia. Dopo la Grande guerra la nascente democrazia italiana fu fin troppo facilmente sopraffatta dal fascismo. Le analogie tra la politica extra-legale di Mussolini e Trump sono evidenti.

Come abbiamo visto, però, gli Stati Uniti non sono la Germania dell’èra Weimar, né l’Italia degli anni Venti. Non ancora. Le nostre istituzioni liberali hanno ancora un po’ di forza. E anche i Repubblicani non sono disposti a sostenere apertamente un colpo di stato. Ma nella misura in cui i problemi principali sono in gran parte determinati da questioni economiche è difficile essere ottimisti. L’America ha bisogno di un sistema fiscale efficace per sostenere le scuole pubbliche, il sistema sanitario pubblico, le strade e gli aeroporti. Le nostre disuguaglianze estreme, che sono moralmente inammissibili, devono essere abolite. Questo paese ha bisogno di ridurre o eliminare i suoi sciocchi e fallimentari interventi militari internazionali, che sono enormemente costosi, e trovare modi per fare la pace con il mondo islamico. Deve stabilire la giustizia razziale e di genere. Si tratta di compiti enormi.

Ciò che pose fine alla Grande depressione degli anni Trenta fu il nostro ingresso nella guerra mondiale. Per quanto abile leader, Franklin Delano Roosevelt, che aveva un mandato dalle elezioni, ebbe grandissime difficoltà a rispondere a quella situazione. La posizione di Joe Biden, che è sicuramente più debole, è ovviamente per molti versi più problematica. L’America è un paese estremamente diviso. Non credo che questo cambierà.

Il mondo dell’arte americano per alcuni decenni è stato un luogo di sinistra. Per questo motivo, in generale, le nostre battaglie politiche, che sono reali, sono solo lontanamente legate alle preoccupazioni della politica nazionale americana. E quindi è difficile sapere cosa dire in modo costruttivo su questi problemi. Molti anni fa ho incontrato un noto mercante d’arte che mi ha rivelato il suo segreto: era un repubblicano (liberale). Se un artista o curatore è repubblicano oggi probabilmente non lo dirà a nessuno. Il mondo di tutti i giorni dei tanti colleghi americani repubblicani è troppo distante perché io possa comprenderlo o descriverlo facilmente. E credo che questo sia spaventoso.

 

© Riproduzione riservata