La Costa d’Avorio è sotto shock in pochi mesi ha perso i due principali candidati alla successione di Alassane Ouattara, il presidente appena rieletto. Ouattara è in carica dal 2010 con il voto scaturito dagli accordi di pace di Ouagadougou, dopo una lunga crisi politica iniziata nel 1999 e trasformatasi in conflitto armato dal 2002. Ouattara ha traghettato il paese fuori dalla guerra mediante una ripresa economica che ha stupito tutti.

Restano ancora da curare le ferite profonde dei pregiudizi e della divisione etnica mediante una reale riconciliazione. Per tale delicato passaggio Ouattara aveva scelto due uomini: Amadou Gon Coulibaly e Hamed Bakayoko, entrambi musulmani e settentrionali, ed entrambi moderati che non avevano preso parte attiva al conflitto. Per questo il presidente aveva scartato i protagonisti del decennio di guerra, come il già primo ministro della transizione e presidente dell’assemblea nazionale Guillaume Soro, l’ex capo dei ribelli del nord. L’idea era di ricominciare con una nuova generazione nella speranza di cancellare l’odio etnico. In pochi mesi entrambi questi uomini sono morti e ora tutto deve essere rifatto daccapo.

Amadou Gon Coulibaly è morto improvvisamente l’8 luglio 2020, dopo un consiglio dei ministri, pochi giorni dopo essere rientrato dalla Francia dove si era sottoposto a un check-up totale. Aveva avuto problemi di cuore ma i medici erano stati rassicuranti. Amadou Gon, rampollo di una nobile famiglia del nord, era in procinto di affrontare la campagna elettorale presidenziale come candidato successore di Alassane Ouattara. La sua morte ha spinto il presidente uscente a riproporsi per un terzo mandato, causando una crisi politica interna e il boicottaggio delle opposizioni. Nonostante ciò Ouattara era andato avanti pensando di non avere alternative ed era stato rieletto.

Subito dopo aveva confermato come nuovo premier l’altro suo pupillo, Hamed Bakayoko. Bakayoko era molto diverso da Gon: veniva da un quartiere popolare di Abidjan, la capitale del paese, vantandosi di essere un figlio del popolo. Da giovane era stato leader studentesco, poi aveva fondato una radio libera e un quotidiano indipendente, divenuto l’organo dell’Rdr (raggruppamento dei repubblicani) il partito di Ouattara. Capace di parlare alle folle, si era buttato in politica divenendo sindaco di Abobo, uno dei quartieri più popolari della capitale a maggioranza nordista e musulmana come lui. Malgrado ciò Bakayoko non aveva preso parte alla escalation che aveva portato alla guerra e per tutto l’arco della crisi aveva mantenuto relazioni con le due parti. Ciò lo aveva favorito successivamente: nel 2011 era divenuto ministro dell’Interno e nel 2017 ministro della Difesa, ruoli cruciali in cui aveva mostrato sangue freddo e abilità di dialogo.

L’eredità complicata

Le buone relazioni sia con la maggioranza che con le opposizioni, in particolare i sostenitori dell’ex presidente Laurent Gbagbo, aveva permesso a Bakayoko di diventare l’uomo del negoziato politico interno. Ma anche Bakayoko è morto improvvisamente il 10 marzo dopo un urgente ricovero prima in Francia dal 18 febbraio, e da ultimo in Germania. Cancro al fegato fulminante, hanno detto da Friburgo: inoperabile.

Con questa seconda scomparsa ora si sta riaprendo la lotta per la successione (del 2025) che si farà certamente più accesa e incerta sia nel partito di maggioranza ma anche nelle opposizioni, che iniziano a sperare di avere un’opportunità. Le ultime legislative di inizio mese hanno per la prima volta in vent’anni offerto agli ivoriani una mappa politica realistica del paese. Il partito presidenziale è al comando con poco più la metà dei seggi ma l’altra metà è occupata dalle opposizioni. Il dibattito politico sarà più intenso. Questa volta nessuno ha boicottato le urne: merito del defunto Bakayoko che era riuscito a convincere tutti a presentarsi. Resta da vedere se ci sarà qualcuno capace di prenderne l’eredità.

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