Le autorità locali della metropoli cinese di Guangzhou hanno imposto un lockdown di cinque giorni nel distretto di Baiyun, il più popoloso della città, sospendendo il trasporto pubblico e richiedendo ai residenti che intendono lasciare le loro case di presentare un test negativo.

Il contesto

Se in buona parte del mondo, ormai da qualche mese, la pandemia non occupa più i primi posti nelle agende politiche dei vari paesi, in Cina la politica “zero Covid” resta quanto mai d’attualità nel dibattito interno al governo centrale.  

Attualmente il numero dei contagiati supera i 24.200 casi, mai così tanti negli ultimi sei mesi. Di questi, oltre 8mila sono concentrati nella città meridionale di Guangzhou, che con quasi 19 milioni di abitanti è una delle più popolose del paese. Qui il blocco, che per il momento riguarda soltanto il distretto centrale di Baiyun, coinvolge anche locali notturni, teatri e servizi di ristorazione. Nelle scuole sono state sospese le lezioni in presenza, mentre le università restano chiuse.

Nel paese le morti ufficiali negli ultimi tre giorni sono salite a tre. Un dato che, a fronte di una popolazione di poco inferiore al miliardo e mezzo, non si direbbe allarmante. Ma nel contesto cinese l’elemento di maggior rilievo è che, fino a tre giorni fa, l’ultima morte documentata risaliva al 26 maggio.

Allentamento delle misure

All'inizio di novembre il governo cinese aveva annunciato, per la prima volta dall’inizio della pandemia, un allentamento delle politiche di contagio zero. Decisione motivata, principalmente, dagli effetti negativi delle restrizioni sull’andamento dell’economia nazionale.

A fine settembre, la Banca Mondiale ha previsto una crescita del Pil non superiore al 2,8 percento nel 2022, scalzando la Cina – per la prima volta dal 1990 - dalla prima posizione nelle prospettive di crescita nell’area dell’Asia Pacifico. 

Il governo di Pechino ha così deciso di avviare una fase di cauta riapertura, limitando il tracciamento dei contatti e ammorbidendo il livello di sorveglianza, responsabile anche del malcontento popolare, sfociato in alcuni casi in veri moti di protesta. Tra gli allentamenti introdotti anche la riduzione, da dieci a cinque giorni, del periodo di quarantena previsto per i viaggiatori provenienti dall’estero. 

Un cambio di rotta finalizzato a più «scientifiche e precise» politiche di contenimento, come affermato dal vicedirettore della Commissione sanitaria nazionale, Lei Haichao. 

Il rischio di una paralisi

Ma l’attuale stato di diffusione del virus non rende facile un’inversione immediata. Il Quotidiano del Popolo, giornale organo del Partito comunista cinese, domenica ha comunicato in una nota che nei prossimi mesi la situazione potrebbe persino peggiorare, a causa del clima più freddo e delle mutazioni del virus.

Qualche giorno fa il Financial Times ha raccolto le testimonianze di diversi lavoratori del settore sanitario cinese, chiedendo conto della situazione nelle strutture. Questi concordano nel sostenere che il sistema ospedaliero nazionale non è preparato, al momento, per rispondere a un piano di riapertura in tempi rapidi.

Sospendere, dall’oggi al domani, la stringente politica sanitaria messa in campo finora porterebbe a una “paralisi” del sistema. E a pagarne più pesantemente le conseguenze sarebbero soprattutto le fasce di età più avanzate. «Diversi milioni di anziani di età superiore agli 80 anni non sono stati vaccinati», spiega Jin Dongyan, virologo dell'Università di Hong Kong, intervistato dal South china morning post. «Questo potrà rappresentare un potenziale rischio».
Nel 2020 i cinesi di età pari o superiore a 80 anni erano circa 36 milioni. 

Al momento la priorità, sostiene il virologo, è un aumento dei richiami vaccinali per la popolazione più vulnerabile unito a una maggiore divulgazione di dati e informazioni sullo stato del virus, utile in primo luogo a prevenire il diffondersi di panico tra i cittadini. 

© Riproduzione riservata