Ci sono date che segnano la storia di un paese. Per l’Italia, una di queste, è il 3 ottobre del 2013 quando in un naufragio vicino a Lampedusa morirono 368 persone. Per la Grecia, invece, è il 14 giugno del 2023. Il naufragio avvenuto a largo delle coste greche di Pylos rischia di registrare il più alto numero di vittime mai verificate in un singolo evento marittimo europeo. 

Attualmente sono 78 le vittime accertate, ma potrebbero aumentare fino a 500, dato che secondo quanto riferito da alcuni dei 104 sopravvissuti la barca conteneva a bordo circa 750 persone. Nel terzo e ultimo giorno di ricerche la speranza di trovare altri superstiti è bassa e recuperare la barca affondata è quasi impossibile vista la profondità dei fondali. I famigliari delle vittime chiedono chiarezza per capire cosa è accaduto nelle quindici ore che partono dal primo avvistamento dell’imbarcazione da parte di Frontex al naufragio delle 2.04 del 14 giugno.

 Le falle nei soccorsi   

La nave è salpata dalle coste libiche di Tobruk lo scorso sabato. A bordo trasportava cittadini provenienti da Afghanistan, Siria, Pakistan ed Egitto. Dopo quasi tre giorni di navigazione, l’imbarcazione viene avvistata per la prima volta dall’agenzia di controllo delle frontiere Frontex alle ore 9.47 del 13 giugno (11:47 a Roma) che avverte le autorità italiane e greche. Da Atene non viene lanciata nessuna operazione sar, cioè di ricerca e soccorso in mare, nonostante, come si vede dalle immagini aeree diffuse online, era chiaro quanto la barca fosse sovraccarica e che a bordo erano assenti giubbotti salvagenti.

Due elementi che stando alle regole marittime di Frontex presuppongono fin dall’inizio una chiara chiamata di soccorso. Le autorità greche hanno mandato nell’area un elicottero e una motovedetta, e intorno alle 14 hanno intercettato l’imbarcazione. Le ore passano e a bordo la situazione è sempre più tesa vista anche la mancanza di cibo e acqua. Secondo la guardia costiera greca dalla barca hanno rifiutato i soccorsi dicendo che volevano continuare il viaggio fino in Italia.

Per gli esperti, questa non rappresenta però una giustificazione per non lanciare le operazioni di soccorso. Dopo un lungo monitoraggio il naufragio è avvenuto pochi minuti dopo le 2 di notte del 14 giugno con la barca oramai ferma per via di un guasto al motore. Secondo quanto riportano i giornali greci, l’imbarcazione si è rovesciata mentre erano in corso le operazioni della guardia costiera per stabilizzarla. 

A mettere in discussione la versione delle autorità elleniche è la ong Alarm Phone che afferma di aver ricevuto le richieste di soccorso provenienti da persone presenti a bordo dell’imbarcazione già nel pomeriggio.

Otto ore prima del naufragio, intorno alle 17:20 i migranti a bordo della nave comunicano alla ong che «il capitano è partito con una scialuppa» e chiedono: «Per favore, trovate una soluzione». La ong ha inoltrato la richiesta di soccorso a Frontex e alle autorità greche chiedendo «urgentemente aiuto». Una versione che contraddice quella di Atene, secondo cui la barca navigava senza problemi e le persone a bordo avrebbero rifiutato i soccorsi.

Nel comunicato ufficiale sul caso, Frontex si è limitata a fornire l’orario in cui ha avvistato la nave e ha chiesto di rivolgere ulteriori domande alle autorità elleniche. Uno sgravio di responsabilità avallato anche dalle regole dell’Agenzia, che non ha autorità nel decidere se un evento migratorio marittimo è classificabile come sar o di polizia e la scelta spetta solo alle autorità nazionali.

Tuttavia, i naufragi di Cutro e Pylos hanno mostrato a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro tutte le falle del sistema che partono anche da segnalazioni di pericolo poco chiare da parte di Frontex a cui segue una sottovalutazione dei rischi da parte delle guardie costiere nazionali.

 Il ruolo di Frontex

A distanza di quattro mesi dal naufragio di Cutro in cui sono morte 95 persone, Bruxelles sta discutendo il Patto sulla migrazione per cercare di fermare le partenze e gestire i flussi migratori in vista dell’estate. Tuttavia, sono sempre più evidenti le difficoltà dell’Unione europea e dei suoi stati membri nel salvaguardare la vita di chi attraversa il Mediterraneo a bordo di precarie imbarcazioni. Mentre i governi sovranisti europei e quello italiano di Giorgia Meloni studiano strategie per fermare i barconi, la società civile chiede di rivedere il ruolo di Frontex. 

Negli ultimi anni diverse inchieste giornalistiche hanno portato alla luce scandali interni all’Agenzia del controllo delle frontiere, accusata in più occasioni di complicità nei respingimenti illegali di migranti, come accaduto al largo della Libia e nel Mar Egeo. Agli articoli ha fatto seguito anche un’indagine condotta dall’Ufficio europeo anti-frode (Olaf), secondo cui Frontex avrebbe coperto numerosi respingimenti illegali di migranti operati dalla guardia costiera greca nelle sue acque territoriali.

Gli aumenti di buget

Nel mandato di Frontex oltre al controllo delle frontiere ci sono anche i «servizi di ricerca e di salvataggio», ruolo che negli anni è stato eseguito invece dalle ong attive nel Mediterraneo centrale. Una coerenza con la composizione del board di Frontex, dove siedono gli ufficiali di polizia di frontiera dei paesi dell’Unione europea, spesso noti per i loro duri approcci alla questione migratoria.

Bruxelles si trova a finanziare un organismo di polizia che è diventato negli anni un osservatore nel Mediterraneo, dato che il controllo delle frontiere è sempre più esternalizzato a paesi terzi, spendendo centinaia di milioni di euro, come dimostrano gli accordi con la Libia e la Tunisia (ora di nuovo prioritaria per l’Ue). Milioni che dalla Commissione arrivano anche nelle casse di Frontex per sostenere le sue costose attività.

Negli anni il budget messo a disposizione dell’Agenzia europea è aumentato esponenzialmente, nonostante le inchieste giornalistiche sul suo operato che hanno costretto alle dimissioni di fine aprile 2002 dell’ex direttore Fabrice Leggeri, in carica dal 2015. Il 29 marzo Frontex ha pubblicato il bilancio per il 2023: oltre 845 milioni di euro per finanziare le sue attività, contro i 693 milioni stanziati nel 2022 e i 535 milioni del 2021.

Soldi che vanno a finire nelle tasche delle più importanti aziende militari europee tra cui anche l’italiana Leonardo, che nel 2018 ha vinto un bando dal valore di quasi cinque milioni di euro per fornire a Frontex due droni di tipo Rpas Male. Altre aziende vincitrici di appalti milionari sono la francese Airbus e la israeliana Elbit Systems Ltd specializzata in elettronica della difesa. Ingenti investimenti per strumenti ad alta tecnologia, che però, ancora una volta, non sono riusciti a salvare le vite in mare.

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