Ieri il presidente americano, Joe Biden, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, hanno avuto una conversazione telefonica. Era un mese che i due non parlavano e la telefonata del 23 dicembre si era chiusa con una brusca interruzione da parte della Casa Bianca. Ieri hanno parlato per 40 minuti, facendo poi trapelare che la chiamata si è svolta con toni cordiali, cosa non ovvia visto il rifiuto della proposta dei due stati da parte israeliana che ha fatto perdere la pazienza a Biden. L’Autorità palestinese ha dichiarato che non potrà esserci «sicurezza e stabilità nella regione» finché non ci sarà uno Stato palestinese. Lo ha detto il portavoce del presidente palestinese, Abu Mazen. Israele continua a rifiutare la proposta.

«In qualsiasi accordo futuro, Israele ha bisogno del controllo di sicurezza su tutto il territorio a ovest del fiume Giordano», sono state le parole di Netanyahu durante la conferenza stampa. Ma non tutti sono d’accordo con il premier. L’ex capo militare, Gadi Eisenkot, ha criticato apertamente la decisione di continuare la guerra ad ogni costo. Per Eisenkot, Israele dovrebbe prendere in considerazione una pausa dal conflitto e anticipare le elezioni.

«È necessario, entro pochi mesi, riportare l’elettore israeliano alle urne per rinnovare la fiducia», ha detto in un’intervista televisiva. Mentre a Tel Aviv si discute, una delegazione di Hamas si è recata a Mosca. Mikhail Bogdanov, l’incaricato russo per il Medio Oriente, ha sottolineato la necessità di rilasciare gli ostaggi, soprattutto i tre con cittadinanza russa. Mosca ha anche condannato la «catastrofica» crisi umanitaria nella Striscia di Gaza. Il bilancio delle vittime è ormai vicino ai 25mila dall’inizio conflitto, secondo i dati del ministero della Salute. L’Idf ha continuato a colpire vicino all’ospedale Nasser, il più grande ospedale ancora parzialmente funzionante. Anche vicino all’ospedale al Shifa, un attacco contro un edificio residenziali ha provocato 12 vittime. Nella zona di Khan Yunis dieci sono stati i civili che hanno perso la vita.

Nel mar Rosso

Il gruppo di ribelli yemeniti Houthi ha precisato che i loro attacchi sono diretti solo verso le navi diretta ad Israele. Un alto funzionario, Mohammed al Bukhaiti, ha rassicurato le navi cinesi e russe di non rischiare gli attacchi.

«Ora, quando l’America si è unita e ha aggravato ulteriormente la situazione, non c’è dubbio che lo Yemen risponderà», ha detto il portavoce Mohammed Abdulsalam. Dopo l’attacco americano e inglese contro i missili houthi, i ribelli hanno rivendicato un nuovo lancio contro una nave nel Golfo di Aden. Intanto, alcuni funzionari egiziani hanno condotto dei colloqui con i rappresentanti dei ribelli con l’obiettivo di riportare la calma nelle acque internazionali. Anche se gli attacchi dei ribelli hanno lo scopo di danneggiare Israele, anche altri paesi, come l’Egitto, stanno risentendo dei problemi e dai costi elevati. «È meglio spingere per una soluzione che acceleri la fine della causa principale, ovvero la guerra in corso nella Striscia di Gaza», ha detto un funzionario egiziano al notiziario al Araby al Jadeed.

Pakistan- Iran

Dopo la risposta all’attacco iraniano contro le basi di spionaggio del gruppo Jaish al Adl, Islamabad ha deciso di procedere con la via della moderazione. Il ministero degli Esteri pakistano, Jalil Abbas Jilani, ha avuto una conversazione telefonica con il suo omologo iraniano, Hossein Amir Abdollahian. I due hanno concordato sulla necessità di una riduzione delle tensioni tra i loro paesi. «Ha espresso la disponibilità del Pakistan a lavorare con l’Iran su tutte le questioni sulla base di uno spirito di fiducia reciproca e di cooperazione», ha scritto in una nota il ministero. La Cina era subito intervenuta negli scontri presentandosi come mediatore dei due paesi e invitando all’uso della moderazione per evitare un’ulteriore allargamento del conflitto.

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