I mediatori alle prese con nuove proposte per superare lo stallo e mettere fine all’offensiva di Israele. Che viene duramente criticata dall’Ue: «Ha il diritto di difendersi, ma le sue azioni attuali vanno oltre una proporzionata autodifesa»
Dieci ostaggi israeliani sarebbero rilasciati nell’arco di sei settimane e mezzo, un periodo equivalente a quello della “fase uno” dell’ultima tregua, in cambio dell’entrata in vigore di un nuovo cessate il fuoco. Tornerebbero gli aiuti umanitari e Israele si ritirerebbe dalle zone occupate nell’ultimo mese di guerra, cioè da quando il governo Netanyahu ha deciso di rompere i termini dell’intesa siglata a metà gennaio.
Questi i dettagli della proposta di accordo attualmente al vaglio di Hamas, secondo quanto dichiarato da un rappresentante alla tv libanese pro-Hezbollah Al-Mayadeen, a cui l’organizzazione palestinese dovrebbe ancora dare risposta.
Le informazioni risultano confermate da un colloquio fra Netanyahu e una coppia di genitori del Tikva forum, un’organizzazione minoritaria di genitori degli ostaggi prevalentemente di destra e vicini al governo.
Intano lunedì nuovi raid hanno fatto crescere il numero di vittime nella striscia, ormai stimato attorno alle 51 mila. La resistenza di Hamas contro le forze di terra israeliane rimane blanda, come conferma il fatto che non ci siano vittime nelle fila israeliane dalla ripresa delle ostilità. Il movimento islamista aspetta l’accordo.
Pressioni su Bibi
Sul governo di ultradestra israeliano montano le pressioni sia domestiche che internazionali per un’intesa. Nuove lettere e petizioni per un cessate il fuoco provenienti dalle fila delle forze armate seguono a ruota l’appello dei veterani e riservisti dell’aeronautica pubblicato la scorsa settimana.
Yair Golan, uno dei personaggi più in vista dell’opposizione, noto anche per le rocambolesche operazioni di salvataggio di cui è stato protagonista il 7 ottobre, si è espresso contro le sanzioni comminate ai firmatari, che accusano il governo di portare avanti la guerra per ragioni politiche e personali.
Da Bruxelles arriva invece il monito dell'Alta rappresentante dell'Ue per la politica estera, Kaja Kallas. «Vogliamo davvero che i mediatori tornino al tavolo dei negoziati, ripristinino il cessate il fuoco e garantiscano il rilascio di tutti gli ostaggi», ha detto. E ancora: «Gli aiuti umanitari che stiamo fornendo a Gaza e ai palestinesi non dovrebbero essere politicizzati». E soprattutto: «Israele ha il diritto di difendersi, ma le sue azioni attuali vanno oltre una proporzionata autodifesa».
La dichiarazione arriva nel giorno in cui l’Ue ha stanziato 1,6 miliardi di euro per le finanze in rosso dell’Autorità palestinese, a cui Israele dovrebbe trasferire regolarmente una quota di prelievi fiscali e dazi doganali.
Non solo: anche il presidente francese Emmanuel Macron – che nei giorni scorsi si è scontrato con Netanyahu quanto alle prospettive di uno Stato palestinese – ha ribadito le sue posizioni in un colloquio telefonico con Abu Mazen, auspicando il ritorno immediato ad una tregua.
Lo schema non cambia
La tensione di fondo nei negoziati per il cessate il fuoco a Gaza è sempre la stessa dall’inizio della guerra. Per Hamas gli ostaggi devono essere il jolly che garantisca la sopravvivenza dell’organizzazione, il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia, e un ritorno allo status quo antecedente il conflitto, per quanto sia ancora possibile parlarne dopo un anno e mezzo di distruzione e di morte.
Probabilmente era questo lo schema che aveva in mente l’allora leader dell’organizzazione Yahya Sinwar quando, all’indomani del 7 ottobre 2023, visitò gli ostaggi nei tunnel informandoli che sarebbero stati ben presto scambiati. «Non preoccupatevi, siete nelle mani di Hamas», gli avrebbe detto, secondo testimoni, in perfetto ebraico.
Ottenendo la fine della guerra in tempi brevi, Sinwar avrebbe incassato una vittoria tattica, riacceso i riflettori sul conflitto, e ripristinato le condizioni strategiche precedenti l’offensiva. Ma non aveva fatto bene i calcoli.
Per il governo israeliano in carica l’eliminazione di Hamas non è, come presumeva Sinwar, un obiettivo secondario al recupero degli ostaggi. I rapiti devono tornare tutt’al più in cambio della liberazione di prigionieri palestinesi, senza garanzie per Hamas. Il movimento islamista, come ribadito in mille dichiarazioni governative, nei piani di Israele dovrebbe cessare di esistere. In assenza di una resa totale, ragionano nell’esecutivo, ben venga la continuazione della distruzione della striscia.
Tutte le trattative e gli accordi ad interim che ci sono stati da allora approssimavano una mediazione fra queste due istanze inconciliabili. Ma con il diminuire del numero degli ostaggi nelle mani di Hamas – sarebbero ormai appena una ventina su 59 quelli ancora in vita – diventa sempre più difficile trovare soluzioni interlocutorie senza affrontare il nocciolo della questione.
Mentre continuano le trattative il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha dichiarato che un soccorritore palestinese, Assad al-Nassasra, sarebbe ancora detenuto dalle forze israeliane dopo essere stato prelevato nell'ambito di un attacco dell'Idf contro un convoglio della Mezzaluna Rossa palestinese vicino a Rafah lo scorso 23 marzo. L'episodio, in cui sono rimasti uccisi 15 soccorritori, è stato duramente condannato da svariati attori internazionali.
© Riproduzione riservata