La magica notte degli Oscars si è conclusa ed è già stata definita da molti come la più inclusiva di sempre con nomination che hanno rappresentato la diversità di genere e le minoranze. Sembra lontano l’hastag #OscarsSoWhite che sei anni fa spopolò su Twitter per protestare contro la bassa percentuale di afroamericani presenti nelle nomination.

Tuttavia, un rapporto di McKinsey rilasciato il mese scorso mostra quanto l’industria cinematografica di Hollywood stia pagando a caro prezzo la discriminazione razziale. Secondo lo studio “Black Representation in Film and TV” l’industria cinematografica americana è il settore meno diversificato del paese. Un fattore che fa perdere almeno dieci miliardi di dollari di entrate ogni anno.

Dall’analisi emerge come il cosiddetto “Black content” è sottovalutato, sottodistribuito e sottofinanziato. Per gli attori afroamericani emergenti ci sono meno margini di errore e il loro talento è stato sistematicamente escluso dalle posizioni più “prestigiose” all’interno dell’industria cinematografica come quelle di creatore, produttore, regista e scrittore. Questo nonostante il dato che i film con due o più persone di colore in quei ruoli hanno ottenuto il 10 per cento in più al botteghino per ogni dollaro investito rispetto ai film senza o con una sola persona di colore per quelle competenze.

Inoltre, secondo il rapporto, gli attori neri interpretano solo l’11 per cento dei ruoli principali nei film e fanno spesso riferimento a progetti legati alla discriminazione razziale, che di solito ricevono minori investimenti sia nella produzione che nella promozione. La televisione invece presenta un quadro misto: nel 2019, circa il 14 per cento dei protagonisti dei programmi via cavo erano afroamericani, ma gli attori neri costituivano meno del 12 per cento dei protagonisti degli spettacoli televisivi. Dati che sono in linea con uno studio commissionato da Netflix 

«Senza pagare un centesimo a McKinsey, l’industria cinematografica può recuperare almeno 10 miliardi di dollari di entrate annuali, semplicemente affrontando le inefficienze irrazionali e anti-nere del mercato» scrive Franklin Leonard, un produttore cinematografico, tra le righe del New York Times. A quasi un secolo di distanza dalla produzione di “The Birth of a Nation” che alimentò la rinascita del Ku Klux Klan, Hollywood ha ancora il «bisogno di affrontare gli stereotipi razziali sullo schermo persiste».

Infatti, sempre secondo l’analisi di McKinsey all’interno dello schermo «i talenti neri sono classificati e incanalati verso contenuti legati alla razza, che spesso giocano con gli stereotipi». Uno studio di Vox del 2016 ha infatti scoperto che il 62 per cento dei membri delle gang che appaiono in tv erano afroamericani.

cosa fare

Il rapporto di McKinsey fornisce anche una lista di raccomandazioni alle case di produzione per appianare le disuguaglianze, tra le quali: espandere il reclutamento e le selezioni dei cast al di fuori delle tradizionali scuole di alto livello; aumentare la trasparenza riguardo alle assunzioni e ai compensi; fissare obiettivi di diversità intersezionale e stabilire alcuni incentivi finanziari. 

Raccomandazioni necessarie «per tutti coloro che vogliono partecipare alla fortuna generata dal prossimo “Black Panther”, “Insecure” o “Creed”, o che vogliono lavorare con la "prossima" Ava DuVernay o Oprah Winfrey» scrive Franklin Leonard.

Per risolvere e il problema, secondo McKinsey è fondamentale anche creare «un’organizzazione di advocacy indipendente dedicata a promuovere l’equità razziale nel campo». Quindi, «un’organizzazione terza e ben finanziata di questa natura potrebbe rafforzare gli sforzi individuali sviluppando e diffondendo le migliori pratiche, raccogliendo e diffondendo dati intersezionali e riferendo sui progressi dell'industria». Come accaduto già in precedenza per risolvere l’annoso problema della pirateria che faceva perdere a Hollywood circa 30 miliardi di dollari ogni anno.

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