L’ex presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, dovrà attendere ai domiciliari l’esito del processo a suo carico. A deciderlo è stato Alexandre de Moraes, giudice della Corte suprema al lavoro sul caso del tentato golpe del 2023, a causa della «reiterata inosservanza delle misure precauzionali». Una nuova stretta che ha provocato reazioni dure da parte degli Stati Uniti del presidente Donald Trump, amico e politicamente vicino a Bolsonaro, che non solo ha innalzato i dazi ma ha anche disposto sanzioni personali per il giudice.

La vicenda

Secondo Moraes, l’ex presidente avrebbe deliberatamente ignorato le restrizioni imposte dalla Corte suprema. Nonostante il divieto di utilizzare i social, infatti, Bolsonaro è intervenuto telefonicamente a una manifestazione a suo sostegno sulla spiaggia di Copacabana.

In un filmato diffuso sui social dal figlio dell’ex presidente, si sente Bolsonaro intervenire dal palco grazie a un improvvisato collegamento telefonico spronando i suoi sostenitori a ribellarsi al complotto contro di lui. E proprio il video, subito rimosso, è diventata la prova che ha convinto il giudice a disporre i domiciliari: «La violazione delle restrizioni – ha commentato Moraes – è così evidente che persino il senatore Flavio Bolsonaro se ne è reso conto e ha eliminato il video per nascondere la trasgressione».

Oltre a ordinare il sequestro di tutti i cellulari a sua disposizione, Moraes ha disposto che Bolsonaro non possa ricevere visite senza autorizzazione: al di fuori dei suoi legali e della moglie, chiunque voglia vederlo dovrà presentare una richiesta alla Corte suprema.

Chi riceverà il via libera avrà però il divieto assoluto di «utilizzare telefoni cellulari, fare foto o girare immagini video». Un modo per contenere il rischio che l’ex presidente possa diffondere fake news per influenzare l’esito del processo a suo carico. «La Giustizia non è sciocca – ha commentato Moraes – tanto meno cieca. Non si può permettere che l’accertamento di fatti così gravi sia distorto da narrazioni forgiate strategicamente con l’obiettivo di manipolare l’opinione pubblica».

Rappresaglia Usa

Un tentativo di mistificare la realtà che ricorda gli atteggiamenti di Donald Trump. E, infatti, proprio dagli Stati Uniti sono arrivate le reazioni più dure con gravi attacchi alla magistratura e alla politica brasiliana. La scorsa settimana il Segretario di stato, Marco Rubio, ha annunciato sanzioni nei confronti del giudice Moraes, definito un «agente straniero maligno», responsabile di «gravi violazioni dei diritti umani e detenzioni arbitrarie».

Un attacco diretto all’indipendenza della magistratura brasiliana, con accuse che delegittimano le istituzioni e alimentano quella pericolosa narrativa antidemocratica iniziata due anni fa dall’ex presidente. Una posizione ribadita nelle scorse ore dal Dipartimento di Stato che con un post su X ha accusato le istituzioni brasiliane di «voler mettere a tacere l’opposizione e colpire la democrazia» impedendo a Bolsonaro di difendersi. Un tweet che si conclude con un esplicito messaggio: «Lasciate parlare Bolsonaro».

Alle sanzioni personali è seguita la rappresaglia economica: gli Stati Uniti hanno innalzato al 50 per cento i dazi su una serie di esportazioni brasiliane. Tariffe altissime utilizzate dall’amministrazione Usa come strumento di pressione sul governo brasiliano per archiviare il processo a carico di Bolsonaro, più volte definito da Trump come una «caccia alle streghe».

Pressioni a cui non intende cedere il presidente Lula che, nella sua prima intervista al New York Times da 13 anni, ha ricordato al suo omologo statunitense che «in Brasile la magistratura è indipendente». Ma se Lula non intende accettare in silenzio l’ingerenza Usa, i sostenitori di Bolsonaro invocano a gran voce un intervento di Trump e, dalle piazze, tornate a riempirsi per chiedere la fine della «persecuzione politica», elogiano i dazi e chiedono un supporto diplomatico, fino alla prospettiva di asilo politico negli Stati Uniti.

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