Le richieste di incriminazione dell’ex presidente Donald Trump sono aumentate nelle ultime settimane. Dopo mesi di testimonianze, la commissione speciale della Camera per le indagini sull’attacco del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti ha raccolto prove considerevoli sul ruolo centrale di Trump negli orribili eventi di quel giorno. Nel frattempo, il procuratore generale Merrick Garland ha avviato un’indagine penale separata sulla gestione da parte di Trump di documenti riservati dopo il suo distacco dalla Casa bianca.

Se si mettono insieme queste due indagini, l’incriminazione può sembrare ovvia e indiscutibile, con prove più che sufficienti negli atti pubblici per giustificare l’incriminazione dell’ex presidente. La domanda, tuttavia, è se cercare l’incriminazione di Trump sia saggio, e su questo punto, con riluttanza, ma fermamente, mi schiero dalla parte del no.

Il problema Donald Trump

La domanda più inquietante che gli Stati Uniti devono affrontare in questo momento è come rispondere al problema Donald Trump. Il capo di uno dei due partiti del paese e la persona che ha ancora un solido vantaggio per diventare il candidato repubblicano alla presidenza tra due anni è un uomo che ha tentato di orchestrare un colpo di stato per rimanere al potere, dopo aver perso un’elezione democratica libera e corretta.

Questo mette gli Stati Uniti in una situazione incredibilmente pericolosa. Se Trump correrà di nuovo e otterrà una vittoria netta, avremo elevato un aspirante tiranno alla carica più alta e potente del paese. D’altra parte, se si candiderà e perderà di nuovo, quasi certamente cercherà ancora una volta di appropriarsi del potere con qualche manovra illegale. È meno probabile che gli riesca in questo caso, dal momento che rovesciare un presidente al potere è molto più difficile rispetto a mantenere una carica già occupata.

Ma il pericolo più grande è il suo effetto sul tessuto sociale e civile del paese. Come ho scritto di recente, il rifiuto di Trump di accettare i risultati dopo aver perso potrebbe dare origine «a lotte in diversi stati sul conteggio dei voti e a regole per rifiutare le schede, la certificazione dei totali dei voti, la nomina di elettori e tutti gli altri passaggi necessari per dichiarare un vincitore la cui legittimità è ampiamente accettata da entrambi i partiti e dall’elettorato nel suo insieme».

Sarebbe una cosa molta brutta. Ma il processo a Trump è un modo per evitarlo?

Il confine tra legge e politica

La causa per incriminare Trump si riduce a due principali accuse: una di sostanza, l’altra di principio.

Secondo la prima, dovrebbe essere illegale tentare di rovesciare la nostra democrazia ignorando l’esito di un’elezione – così come dovrebbe essere impedito ai presidenti di fuggire dalla Casa bianca con documenti altamente sensibili – e dovrebbero esserci gravi conseguenze legali a seguito di una di queste condotte, figuriamoci di entrambe. In caso contrario, lo stesso Trump e altri aspiranti tiranni a seguire, sarebbero incoraggiati a mettere in atto una di queste cose.

Il secondo argomento fa appello allo stato di diritto, in particolare al principio di uguaglianza di fronte alla legge. Il rifiuto di processare Trump nel momento in cui è chiaramente coinvolto in atti illegali sarebbe come posizionarlo al di sopra della legge che si presume venga applicata equamente a tutti gli americani. Fare questo sarebbe incredibilmente dannoso per il nostro sistema politico e legale.

Sono argomenti potenti. Un processo pubblico, la presentazione di prove a una giuria, la condanna e la pena – tutte cose ampiamente legittime – è ciò che la giustizia esige quando è vista in astratto e trattata come un processo automatico che si svolge del tutto separatamente dalla politica. Lo stesso può essere detto dell’ideale di uguaglianza di fronte alla legge. Se realisticamente fosse possibile raggiungere questi obiettivi, sosterrei pienamente la spinta a perseguire Trump.

Ovviamente però non si tratta di una cosa realisticamente realizzabile. Il confine tra diritto e politica è permeabile. I politici fanno le leggi e talvolta nominano i pubblici ministeri incaricati di farle rispettare. Inoltre, la decisione di un pubblico ministero sull’opportunità di chiedere l’incriminazione è tutt’altro che automatica. È una chiamata di giudizio e la politica è uno dei fattori che la influenza. Ciò è particolarmente vero quando il pubblico ministero è il procuratore generale nominato dal presidente democratico attualmente in carica e il presunto criminale è l’ex presidente repubblicano degli Stati Uniti.

Per questa permeabilità tra diritto e politica, difendere lo stato di diritto è un affare complicato. Qualunque ombra di pregiudizio, ingiustizia, ipocrisia o ostilità può causare danni enormi, minare la fede pubblica nella distinzione tra giustizia e persecuzione ufficialmente autorizzata degli oppositori politici.

Processo allo stato di diritto

Uno dei tanti modi in cui Trump ha dimostrato la sua abilità di demagogo sta nella sua capacità di provocare reazioni gravi nei suoi oppositori politici, per poi rigirarle e usarle a prova della loro inaffidabilità.

«Questi inviati si definiscono giornalisti, ma sono attivisti di sinistra con credenziali di stampa! Vogliono distruggermi!».

«Quei membri della comunità di intelligence dicono che si preoccupano solo di difendere il paese, ma stanno diffondendo bugie ridicole, dicono che sia una spia russa!».

«Quel pubblico ministero dice che sta solo difendendo lo stato di diritto, ma chiaramente mi sta col fiato sul collo!».

Il ritornello lo conosciamo. Lo abbiamo sentito per quattro interminabili anni. 

Purtroppo questo modus operandi funziona a prescindere dal fatto che la controparte abbia fatto o meno una cosa non professionale o ingiusta. Il caso contro Trump per le sue azioni compiute fino al 6 gennaio, inclusa la gestione di documenti riservati dopo aver lasciato la Casa bianca, sembra solido come una roccia. Tuttavia Trump è tenuto a rispondere a qualsiasi atto d’accusa contestando le motivazioni del procuratore generale. «Quel democratico imbecille di Merrick Garland è così incazzato del fatto che ho messo Neil Gorsuch al posto che Obama gli aveva promesso alla Corte Suprema, che sta cercando di mandarmi in prigione per aver puntato il dito sul fatto che il vecchio Biden ha rubato le elezioni del 2020!».

Lo stesso stato di diritto sarebbe posto sotto esame per qualsiasi azione penale nei confronti di Donald Trump, e non sono affatto certo che finirebbe per essere scagionato agli occhi di decine di milioni di americani. Il danno ulteriore alla nostra capacità di autogoverno potrebbe essere notevole.

E questo presupponendo che Trump finisca per essere condannato. Lo sarà? La selezione della giuria per questo determinato processo sarebbe estenuante in un paese in cui il 47 per cento dell’elettorato ha votato per l’imputato e un numero considerevole di quegli elettori dice nei sondaggi di fidarsi più di lui che delle principali istituzioni governative. Oltre a questa difficoltà, alcuni analisti affidabili temono che, pur sulla base di prove pubblicamente disponibili, provare la colpevolezza di Trump oltre ogni ragionevole dubbio possa essere una sfida considerevole. 

Ora immaginiamo un processo che si concluda con l’assoluzione, dando all’ex presidente una rivendicazione molto più ampia del mancato impeachment. Trump potrebbe proclamare davanti a tutto il mondo che il caso contro di lui era fraudolento fin dall’inizio, ideato dai suoi nemici politici, e che lo ha dimostrato in tribunale.

Scenario distruttivo

C’è poi una possibilità ancora più allarmante: che Trump si candidi di nuovo alla presidenza, e magari che vinca, mentre è sotto accusa, sotto processo, o anche dopo la condanna e mentre sta scontando una pena in una prigione federale.

C’è chi avanza idee su come si potrebbe impedire che questo accadesse, magari invocando la sezione tre del 14° emendamento, che preclude a coloro che si sono impegnati in atti di “insurrezione o ribellione” contro gli Stati Uniti mentre investiti di una carica federale o statale di servire nel governo. Il tentativo di fermare Trump con questa clausola, che è stata formulata per impedire ai confederati di candidarsi all’indomani della guerra civile, mi sembra alquanto improbabile, così come l’impeachment e la condanna, che già per due volte non ci sono riuscite.

Temo sia invece molto più probabile la prospettiva di un Trump che continua a rispondere al sistema politico che lo tratta come un criminale mentre si candida per il posto più alto della nazione, trasformandosi così in un eroe popolare tutto americano: un fuorilegge che prende posizione contro i corrotti poteri in nome del popolo. Sarebbe una campagna presidenziale fatta interamente da Trump che inveisce contro i tribunali, contro qualsiasi processo elettorale che gli neghi una vittoria e ogni membro dell’establishment – pubblico o privato, democratico o repubblicano – che non si unisca a lui nel bastonare l’applicazione della legge federale.

Dovremmo fare tutto il possibile per evitare uno scenario così distruttivo.

Donald Trump in fondo è un problema politico. Il che significa che non può essere sconfitto in un’aula di tribunale. Deve essere battuto alle urne con un margine così ampio e indiscutibile da non poter essere scambiato con nient’altro che un perdente. Se non riusciamo a farlo, il fatto che sia sfuggito alla condanna e alla pena detentiva sarà l’ultimo dei nostri problemi.

Il testo è apparso sulla testata online Persuasion. Traduzione di Monica Fava.

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