Superati i duecento giorni dall’inizio dell’invasione di febbraio, è quasi banale ribadire che i calcoli russi di prendere Kiev in 3-4 giorni fossero pura fantasia. Tra i siloviki che si aggirano per i corridoi del Cremlino e fanno a gara per entrare nelle grazie di Putin, c’era davvero chi lo aveva convinto che l’Ucraina potesse capitolare in una settimana, con una forza d’invasione di nemmeno 200mila uomini per occupare un paese di 600mila chilometri quadrati, il più vasto interamente sul continente europeo.

Già allora, la Russia era un paese con un’economia debolissima e basata quasi esclusivamente sul settore energetico, in piena crisi demografica e sociale (periferie poverissime, eccessi nelle metropoli con oligarchi miliardari, bassa natalità nell’etnia russa e alta nelle minoranze caucasiche). In queste condizioni, la Russia non può essere considerata una “superpotenza” solo perché dispone dell’arma atomica ed è stato un azzardo enorme iniziare una guerra convenzionale su vasta scala. Forse il Cremlino contava sul fatto che l’occidente non avrebbe reagito neanche questa volta, come avvenne in Crimea nel 2014.

I video circolati in queste settimane mostrano che gli elmetti dei soldati russi si piegano con un pugno, i carri mandati sul campo per rimpiazzare quelli distrutti sono sempre più obsoleti e con pezzi di ricambio cannibalizzati, interi reparti di coscritti del Donbass si sono rifiutati di combattere per le condizioni miserabili in cui sono stati inviati al fronte, gli stessi russi sono demoralizzati per le attività di resistenza e i continui bombardamenti sui depositi. E sono piagati dalla dissenteria per la cattiva alimentazione. Senza contare il logoramento per conquistare Severodonetsk, Lysychansk e Lyman a maggio e giugno.

Il Cremlino ha cercato di correre ai ripari reclutando una nuova divisione (il cosiddetto 3° Corpo d’armata), formato da coscritti reclutati più o meno forzosamente nelle varie regioni, spesso avanti con l’età, che non hanno mai combattuto in vita loro. Anche ai detenuti, spesso per reati violenti, è stata offerta la possibilità di combattere in cambio della libertà, se torneranno vivi. Infine, il presidente ceceno Kadyrov ha offerto qualche migliaio di uomini, ma in un messaggio ha anche ventilato l’ipotesi di rinunciare alla guida della repubblica e ha criticato i vertici militari di Mosca.

La controffensiva ucraina da Kharkiv

In questo scenario, è quasi scontato che una forza d’urto ben organizzata e addestrata, composta tra gli altri da forze speciali di Gur e Sbu, da paracadutisti e dal reggimento Kraken abbia avuto successo nel penetrare in profondità verso lo snodo di Kupiansk e poi allargarsi verso sud fino a chiudere Izium in una sacca con centinaia di prigionieri russi e mezzi catturati.

Le immagini mostrano intere compagnie di carri armati abbandonati dai russi in fuga. In meno di una settimana gli ucraini hanno liberato oltre tremila chilometri quadrati, più di quanto i russi siano riusciti ad avanzare da est tra aprile e settembre. Si tratta di una disfatta colossale per il Cremlino, di portata storica per la gravità sulle sorti della guerra. I video mostrano soldati ucraini accolti con fiori, bandiere e dolci dai civili liberati, mentre altri combattenti strappano i cartelloni affissi dalla propaganda di occupazione con la scritta “Siamo un unico popolo con la Russia”.

La disfatta

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Eppure, alcuni opinionisti invitati per sei mesi in tv avevano ripetuto che «l’esercito ucraino è poca cosa», che quello russo può «sventrare l’Ucraina come e quando vuole» e che «Putin ha già vinto, ci ha sconfitti». Sono passati oltre duecento giorni da quella che doveva essere una guerra lampo, ma la Russia non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi strategici: la presa di Kiev e l’instaurazione di un regime fantoccio, il controllo della costa sul mar Nero compresa Odessa, l’occupazione di tutti i territori a est del fiume Dnipro, la proclamazione di repubbliche separatiste a Kherson e Zaporizhzhia.

L’unica operazione lampo è stata la controffensiva ucraina che nel fine settimana ha raggiunto risultati clamorosi con la liberazione dell’intera regione di Kharkiv-Izium fino al fiume Oskol. Il Cremlino aveva impiegato mesi a occuparla, a costo di perdite enormi.

Alcuni reggimenti russi hanno completamente cessato di esistere, si tratta della più grave disfatta militare russa dalla Seconda guerra mondiale. Tra i suoi artefici ci sono il comandante in capo delle forze armate ucraine, il generale Valerij Zaluzhnyi, ma soprattutto il generale Oleksandr Syrskyi, vero architetto della controffensiva di Kharkiv. È indubbio che gli ucraini avessero preparato nei minimi dettagli questa operazione decisiva, con il supporto occidentale per quanto riguarda intercettazione delle telecomunicazioni russe, rilevamenti satellitari e consiglio sulle tattiche da impiegare.

Tutto il fronte russo è collassato quando la forza d’assalto ucraina, anziché avanzare sulla linea del fronte, ha individuato il punto debole delle difese nemiche ed è penetrata per decine di chilometri prima di aprirsi e tagliare i collegamenti verso Izium di quella che in gergo si chiama “Ground line of communication”, l’arteria logistica fondamentale per i rifornimenti e i rinforzi. Migliaia di soldati russi sono rimasti senza ordini e comunicazioni, fuggendo verso nord o verso est, ma moltissimi sono stati catturati. Tra di loro ci sono anche mercenari del gruppo Wagner, che non hanno diritto allo status di prigionieri di guerra e possono essere processati per i loro crimini.

L’iniziativa strategica in mano a Kiev

Un soldato russo nella città occupata di Kherson (Ap)

L’Ucraina ha ora assunto l’iniziativa strategica della guerra e sta dettando il ritmo cui si devono adeguare gli invasori russi, costretti a una postura difensiva a nord est come a sud, nelle regioni di Kherson e Melitopol. Anche da Mykolaiv e Kryvyj Rih è partito infatti un contrattacco su Kherson, che ha avuto successo in alcuni salienti ma ha incontrato forte resistenza in altri settori. Le truppe russe che si trovano a nord del Dnipro sono comunque isolate da rifornimenti grazie al continuo bombardamento dei ponti. Parte di questa strategia sono stati anche i sabotaggi clamorosi delle basi aeree, navali e di munizioni in Crimea, compiuti dalle forze speciali ucraine con gommoni e droni.

Alcuni sociologi e filosofi, ospiti fissi in Tv, pretendevano di spiegarci la superiorità di Mosca basandosi sul numero di carri armati e di soldati sulla carta, con una comprensione militare degna di Risiko, ma ignorando i più basilari elementi di analisi strategica.

A gennaio, persino due analisti della Rand Corporation avevano scritto un commento per la rivista Foreign Policy dal titolo “Le armi occidentali non faranno la differenza in Ucraina”, ma si sono dovuti ricredere. Prima le armi anticarro e antiaeree, poi gli obici e infine i lanciarazzi multipli Himars hanno fatto eccome la differenza. Soprattutto questi ultimi, perché ne è stato fatto un uso strategico e non puramente tattico, cioè per distruggere depositi, ponti, posti di comando, convogli e ottenere risultati sul lungo periodo.

Elementi come il morale, fondato sulla difesa della propria terra e delle proprie famiglie, la capacità di comando e controllo (che nella gerarchia russa ha dimostrato gravi carenze), l’approccio “combined arms” tra fanteria, artiglieria, aviazione e altre componenti (che nei gruppi tattici di battaglione russi è solo formale), le comunicazioni efficienti tra reparti e la coordinazione fanno la differenza. Sono tutti parte di una strategia di successo che ha permesso all’Ucraina di contrattaccare.

Cosa succede adesso

Mario Draghi e Lorenzo Guerini (AP Photo/Gregorio Borgia)

Il governo Sanchez ha deciso l’invio di altre armi a Kiev ma soprattutto l’addestramento di soldati ucraini nella base militare di Saragozza, come sta già facendo il Regno Unito per centinaia di uomini con il contributo di istruttori scandinavi.

Nonostante il ministro della Difesa Lorenzo Guerini abbia dichiarato che «il sostegno alla resistenza contro l’aggressione di Putin deve continuare fino a quando sarà necessario per arrivare a una pace giusta e duratura», l’Italia non si è unita agli inglesi o agli spagnoli nell’addestramento e ha fornito un modesto contributo militare. La postura di Roma potrebbe cambiare se il centrodestra vincesse le elezioni, con il partito di Salvini che spinge per interrompere la fornitura di armi e le sanzioni contro Mosca.

Non bisogna farsi illusioni di una vittoria a breve termine e gli ucraini sono i primi a rifuggire il trionfalismo nonostante l’entusiasmo, ma senza dubbio l’avanzata segna un cambio di passo decisivo nella guerra. Le priorità di Kiev sono mettere in sicurezza dall’artiglieria Kharkiv, seconda città del paese, e liberare la fascia costiera meridionale.

Le condizioni per la pace, ribadite dal ministro della Difesa ucraino Reznikov e dal consigliere presidenziale Podolyak sono tre: il ritiro dei russi da tutto il territorio occupato, il pagamento russo delle riparazioni di guerra e i processi per i numerosi crimini di guerra compiuti in questi mesi. Condizioni ambiziose e intransigenti, che segnalano una volontà ferrea di vincere la guerra e liberarsi una volta per tutte dalla minaccia incombente di Mosca.

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