“Buonasera, sono Liubov’ Sobol’ e dallo studio di Navalny Live conduco al suo posto in diretta la trasmissione…”. Con queste parole l’attivista e la madrina di numerose proteste e candidata non ammessa alle elezioni comunali di Mosca del 2019, ha sostituito Alexey Navalny, il fondatore del canale omonimo YouTube, seguito da quasi due milioni di utenti, e della “Fondazione per la lotta contro la corruzione” (fbk.info).

Ogni giovedì sera Navalny trasmette notizie e video-inchieste che mai sarebbero diffuse per i contenuti anti-putiniani nei canali televisivi statali. La sua attività di opposizione politica extra-parlamentare ha avuto un forte impatto nei social media, grazie all’utilizzo di account personali e di siti come RosYama, che consenteno ai cittadini russi di fare segnalazioni su episodi di corruzione, di inefficienza dell’apparato amministrativo e di crimini contro i diritti civili e politici.

Il suo carisma e la brillante oratoria, uniti a notevoli capacità organizzative e alla felice intuizione di utilizzare il web, hanno consentito all’avvocato Navalny di diventare il principale oppositore del presidente Vladimir Putin, attraverso la creazione del partito Russia del futuro e la mobilitazione di centinaia di persone su tematiche sociali e sulle frodi elettorali.

E’ quanto avvenuto, ad esempio, in occasione delle contestate elezioni parlamentari del dicembre 2011, caratterizzate da numerose irregolarità, testimoniate da video e foto circolate in rete, che hanno indotto il presidente Dmitrii Medvedev a “concedere” modifiche alla legge elettorale e alle modalità di elezione dei governatori russi, sino ad allora nominati dal Cremlino, in nome di una maggiore rappresentanza politica.

Definito dal New York Times come “l’uomo maggiormente responsabile della straordinaria fiammata di attivismo antigovernativo”, Navalny ha subito diversi attentati tra cui l’attacco con uno spray tossico spruzzato negli occhi nel 2017 e un avvelenamento (reazione allergica secondo le autorità russe che non avevano rilevato nessuna sostanza tossica) da “un prodotto chimico sconosciuto” durante la sua incarcerazione nel luglio 2019.

E’ sicuramente un personaggio scomodo, non solo all’amministrazione presidenziale e ai membri del governo verso i quali esplicitamente non risparmia attacchi (basta visionare il suo video più famoso “On vam ne Dimon” sulle proprietà e i conti all’estero di Medvedev per comprendere l’intensità delle accuse, anche se non si conosce la lingua russa), ma anche per i numerosi oligarchi e uomini d’affari, oggetto delle sue inchieste.

Diversi, quindi, i nemici che possono avere l’interesse di indebolire la sua opposizione, ben diffusa in quasi tutto il territorio della vastissima Federazione e capace di mobilitare in poche ore migliaia di persone nelle piazze delle principali città russe.

“Un blogger”, così come lo definisce Putin, tanto famoso in Occidente quanto personaggio ambiguo in Russia, con un passato politico nelle fila del partito più liberale, riformista e filo-occidentale, Jabloko, guidato da Grigorii Javlinskij che non ha esitato ad espellere Navalny per la sue posizioni xenofobe, conservatrici e nazionaliste che, ancora adesso, incidentalmente esplicita, come nel caso dell’annessione della Crimea, considerata “una parte naturale della Russia”, pur criticando la violazione delle leggi internazionali.

(AP Photo/Markus Schreiber)

La notizia del suo “presunto” avvelenamento, quindi, non costituisce una grande sorpresa, ma certamente dà adito, da un lato, a speculazioni, complotti, accuse reciproche, analogie ai casi di Litvinenko e Skripal e, dall’altro, all’immediata associazione del mandante nella persona del presidente Putin.

Posto che nulla è, ovviamente, da escludere e difficilmente si risalirà alla “verità effettuale delle cose”, in questa vicenda emergono due elementi interconnessi - temporale e congiunturale - che consentono, tuttavia, di sfidare la cautela delle valutazioni che questi casi richiedono.

In primo luogo, Navalny ha sinora giocato un ruolo significativo nella formazione di un consenso elettorale – che lui stesso definisce “voto intelligente” – volto a sostenere quel candidato anti-putiniano (poco importa di quale partito di opposizione) alle elezioni locali delle assemblee legislative che avranno luogo il 13 settembre in trenta “soggetti della Federazione”.

Questo è il motivo, come sappiamo, per cui si trovava a Tomsk: sostenere chi può sottrarre seggi alla formazione filogovernativa, Russia unita, da lui definito come il “partito dei ladri e dei corrotti” e, conseguentemente, minacciare il sistema di potere putiniano. Una strategia che gli ha consentito di far perdere un terzo dei seggi al partito del presidente nelle elezioni comunali a Mosca nel 2019. Non solo.

Navalny ha sostenuto l’azione di protesta, che ormai da settimane ha luogo nell’estremo Oriente della Russia, a pochi chilometri dal confine con la Cina, nella regione di Chabarovsk per l’arresto del governatore Sergej Furgal - accusato di alcuni omicidi compiuti quindici anni fa -, licenziato e sostituito da Putin con un altro esponente del partito liberaldemocratico di Žirinovsky, più fedele alla linea governativa. Inoltre, il blogger russo ha invitato al boicottaggio del voto nazionale sulla modifica costituzionale, definito “una violazione della Costituzione” e “un colpo di stato”.

Sul piano della politica interna Navalny è stato, quindi, il protagonista assoluto di una lunga “estate calda”, costellata di eventi politici che hanno consolidato e rafforzato la politica del Cremlino e, che, pertanto, richiedevano una più incisiva azione di protesta contro il sistema di potere putiniano.

Nel fare questo, e qui passiamo allo scenario di politica estera, Navalny ha anche sostenuto “da lontano” il risveglio della società bielorussa, suscitando l’irritazione del presidente Lukashenko, l’ultimo dittatore d’Europa. Le proteste ad Oriente (Chabarovsk) e le sommosse anti-regime a Occidente (Bielorussia) rappresentano per Navalny una condizione ideale per l’accelerazione di un processo di liberalizzazione e di cambiamento del regime della Russia di Putin.

La “sindrome da accerchiamento” del Cremlino potrebbe, quindi, aver indotto la “verticale del potere” a interrompere l’azione politica di Navalny?

(AP Photo/Igor Volkov)

Al momento si può rilevare che le dichiarazioni di esponenti filogovernativi sono volti a screditare fortemente l’immagine di Navalny, come si rileva nel canale telegram “Life shot” dove è stata pubblicata la notizia della presenza di 0.2 ml di alcool nel sangue che, unita ad un farmaco antidepressivo, potrebbe aver generato il malore durante il volo.

Il tentativo di descrivere Navalny come un narcomane è piuttosto diffuso nei canali social e consentono di avvalorare la tesi per la quale non si può lasciare il paese nelle mani di una persona che presenta questa patologia.

Se le cause di questo (non) avvelenamento potrebbero avere collegamenti alle recenti questioni di politica interna ed estera o, eventualmente, alla sua lotta contro la corruzione, sembra più difficile rispondere alla domanda su chi sia il vero responsabile di questa drammatica situazione. La risposta più naturale sembra indicare il presidente Putin, ma, come del resto, aveva affermato in tempi non sospetti lo stesso Navalny, “Putin non mi vuole martire”.

Dal sito Rosbalta sappiamo che alcuni sostenitori di Navalny si sono riuniti davanti alla stazione della metro Gostiny Dvor a San Pietroburgo per manifestare la propria solidarietà e diversi “picchetti” stanno avendo luogo in diverse città con interventi anche della polizia. Razionalmente e strategicamente Putin non avrebbe alcun interesse, in questo momento, a rafforzare la figura del suo principale oppositore.

Alla notizia dell’omicidio di un altro importante oppositore, Boris Nemtsov, avvenuto nel 2015 per mano di alcuni ceceni, si narra, infatti, che Putin espresse tutto il suo disappunto e rabbia per il danno alla sua immagine, anche a livello internazionale.
Paradossalmente, lo scopo del mandante potrebbe essere quello di colpire il presidente Putin, indebolendolo politicamente nella guida della transizione politica bielorussa o, in chiave di politica interna, un segnale di avvertimento che la lotta per la sua successione al potere è ripresa più forte di prima.

Diverse, quindi, le interpretazioni più accreditate di cui probabilmente mai avremo una conferma.

Rimanendo agli effetti immediati, ora Navalny non costituisce più un problema. E mentre l’ex ambasciatore in Russia (2012-2014) Michael McFaul si lamenta del silenzio degli Stati Uniti, la Germania di Angela Merkel è prontamente intervenuta (con quali elementi di negoziazione?) nel difendere e curare il principale dissidente russo.

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