Il personaggio politico di Joe Biden, nella sua lunga storia politica, ha abituato i commentatori a sue inaspettate resurrezioni dopo scandali, gaffe e altre scivoloni. Recentemente è successo durante le primarie presidenziali del 2020, quando arrivò addirittura quinto in Iowa a fine gennaio per poi trionfare nel Supermartedì.

Veniamo a quest’anno: intorno a giugno, la sua sorte e quella dei democratici sembrava segnata. Le sorti della guerra in Ucraina, particolarmente incerte in quel momento, abbinate a un’inflazione che sfiorava la doppia cifra e ai prezzi della benzina che, per la prima volta nella storia, erano arrivati a quasi cinque dollari al gallone. Tradotto in misure europee, più di un dollaro e venti al litro. Una cifra insostenibile per un paese come gli Stati Uniti, dove si fa un ampio uso individuale dell’auto.

La partita del Senato

Sembrava che quindi l’appuntamento elettorale di novembre sarebbe stato l’antipasto delle presidenziali del 2024, con un’ampia maggioranza di repubblicani in entrambe le camere. Sorprendentemente, una serie di provvedimenti approvati da Congresso e Casa Bianca hanno risollevato le sorti dei dem.

Secondo il sito Fivethirtyeight, le probabilità che i democratici mantengano la maggioranza al Senato, dove si votano le nomine nelle varie posizioni del governo federale e del sistema giudiziario, sono quasi del 70 per cento.

Non mantenendo l’attuale maggioranza risicata di 50 senatori dem contro 50 repubblicani (con il voto della vicepresidente Kamala Harris a favore in caso di parità), ma addirittura aumentando di uno. Forse addirittura conquistano un seggio in più. In alcune rosee ipotesi, potrebbe essere battuto uno dei trumpiani più scatenati, il senatore Ron Johnson del Wisconsin, da sempre a suo agio nel ruolo di guastatore.

Ma persino alla Camera il risultato inaspettato delle suppletive in Alaska di agosto, con la vittoria della dem Mary Peltola dopo quasi cinquant’anni di dominio repubblicano fa sperare qualcosa per il mantenimento della Camera: le chance dei dem sfiorano il 32 per cento. Più facile che vincano i repubblicani senz’altro, ma senza aspettarsi maggioranze granitiche a prova di bomba. Insomma, ci sarebbe ancora lo spazio politico per la Casa Bianca per poter lavorare con una piccola pattuglia di moderati dello schieramento avverso.

Due ostacoli

Pericolo scampato, dunque? Non del tutto. Ci sono due potenziali bombe pronte a esplodere poco prima della data decisiva dell’8 novembre prossimo, quando tutti i voti verranno contati.

Uno è un ostacolo che si pensava rimosso: parliamo del potenziale sciopero ferroviario su cui si è trovato un accordo il 15 settembre, grazie alla mediazione diretta dello stesso presidente, che quindi ha deciso di metterci la faccia ed evitare uno sciopero a oltranza che, oltre a provocare limitati disagi ai pendolari (specie nella linea più frequentata, Washington D.C.–New York) avrebbe bloccato moltissime merci in un momento decisivo facendo lievitare i prezzi.

Se la leadership sindacale si dice fiduciosa che alla fine quest’approvazione arriverà, i precedenti non sono incoraggianti, per quanto riguarda altri settori: lo scorso autunno gli operai della fabbrica di macchine agricole John Deere a Moline, in Illinois, ha respinto con il 90 per cento di “No” l’accordo con l’azienda che avrebbe garantito loro il sei per cento di rialzi in busta paga nell’immediato e il 20 per cento in un periodo comprendente i prossimi sei anni.

Un altro esempio riguarda gli impianti della Kellogg che lo scorso dicembre preferirono andare in sciopero poco prima di Natale per ottenere un accordo migliore.

E sempre nel 2021 il sindacato dei lavoratori dell’industria cinematografica fece approvare un accordo che garantiva tutte le richieste della vigilia con un magro 50,3 per cento di favorevoli. Negli ambienti della sinistra radicale, quindi, ci potrebbe essere la tentazione di affossare il “moderato” presidente Joe Biden.

I prestiti studenteschi

President Joe Biden and first lady Jill Biden look up at a group of people gathered on the Truman Balcony as they walk across the South Lawn of the White House in Washington, Wednesday, Oct. 5, 2022, after returning from a trip to Florida to survey damage from Hurricane and Ian. (AP Photo/Susan Walsh)

C’è un altro ostacolo che riguarda invece un provvedimento indubbiamente popolare: l’annullamento dei prestiti studenteschi fino a 20mila dollari. Il costo dell’operazione, previsto inizialmente intorno ai 240 miliardi di dollari, dovrebbe essere molto superiore, secondo le stime dell’Ufficio Budget del Congresso: 420 miliardi.

Stima comunque conservativa, rispetto a quelle diramate da due centri di ricerca indipendenti, il Committee for a Responsible Federal Budget e il Penn Wharton Budget Model, che prevedono 600 miliardi di dollari nei prossimi dieci.

Quasi il doppio di quanto stanziato ad agosto nell’Inflation Reduction Plan, in gran parte dedicato al cambiamento climatico. Secondo un editoriale pubblicato dal Washington Post a nome del giornale, l’operazione sarebbe costituzionalmente dubbia: non basta un’emergenza per poter spendere liberamente soldi del bilancio federale senza l’approvazione del Congresso.

Quindi si aprirebbe un potenziale contenzioso giudiziario fino alla Corte suprema. Gli attuali giudici, a maggioranza di idee conservatrici, non vedrebbero bene quello che a tutti gli effetti appare come un abuso incostituzionale dei poteri del governo federale.

Magari un’eventuale sentenza arriverebbe dopo il voto, così come non è detto che le lungaggini burocratiche del sindacato possano raccogliere per tempo il parere dei loro iscritti. Ma la rimonta di Joe Biden, oggi, appare più fragile che mai.

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