Nel 2016, quando l’attenzione dei media di tutto il mondo era catturata dall’inaspettata vittoria elettorale di Donald Trump alle presidenziali di quell’anno, una delle poche buone notizie per i progressisti è stata l’affermazione della proposta referendaria numero 64 in California che riguardava il consumo di marijuana. Non soltanto per uso medico, dato che in California l’uso di questa sostanza sotto prescrizione è già legale dal 1996, anche quello un provvedimento di iniziativa popolare. La California sceglieva quindi la via antiproibizionista, rendendo legale l’uso di cannabis a uso ricreativo con il 57 dei consensi.

Un po’ di storia

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Un lungo percorso, quello dello Golden State, iniziato negli anni Cinquanta, quando decine di genitori scrivevano preoccupati al governatore repubblicano Goodwin Knight per la sorte dei loro “ragazzi” perduti in una spirale di “droga e perdizione”.

In quell’epoca iniziò, con qualche anno di anticipo, la guerra alla droga in California: una lunga spirale che vedeva i giovani bianchi solo come “vittime” e non aspiranti consumatori mentre gli spacciatori, visti con caratterizzazione etnica demonizzante, diventano esseri malvagi da schiacciare contro giudici troppo “permissivi”.

Già a inizio anni Settanta però, quando con Ronald Reagan si raggiunge l’apice del conservatorismo repubblicano, si tenta di cambiare direzione. Un primo referendum per la depenalizzazione della cannabis nel 1972 viene sonoramente sconfitto con il 66 per cento di No: la California è ancora quella dei sobborghi bianchi preoccupati da una società che cambia.

Nel 1976 però il governatore Jerry Brown approva un provvedimento che ne depenalizza il possesso: adesso è soltanto un illecito e non più un reato. Con la proposta 64 si pensava di chiudere un’epoca che aveva ingiustamente criminalizzato le minoranze latine e afroamericane, creando nel contempo nuove opportunità di lavoro per aree depresse. Nulla di tutto questo è accaduto.

Il Triangolo di Smeraldo

Questa è una “promessa infranta”. Una lunga serie di inchieste e di reportage fatta dal Los Angeles Times a partire da inizio settembre ha smontato punto su punto la narrazione dei dem californiani. A cominciare dal punto cardine: che avrebbe drasticamente ridotto le attività illegali.

Soprattutto nell’area nota come Triangolo di Smeraldo, che si trova a nord di San Francisco, nelle contee di Humboldt, Trinity e Mendocino le coltivazioni illegali superano di gran lunga quelle legali.

Non è una novità. In quel territorio a partire dagli anni Sessanta per un terreno particolarmente favorevole a quella cultura, la scarsa densità di popolazione (236mila persone in un’area più grande della Sicilia) e un afflusso di ex hippy che sceglievano la vita rurale, la coltivazione di marijuana è sempre stata fiorente, anche quando era completamente illegale. Il motivo è semplice: non era possibile perseguire tutti.

Questo ha portato a conseguenze che vanno ben oltre il traffico di droga: una devastazione ambientale che coinvolge sia i torrenti, che convogliano in mare i pesticidi utilizzati per le coltivazioni, vengono deviati per irrigare le serre o vengono persino chiusi con dighe, sia i boschi che vengono spesso spogliati dagli alberi senza alcun permesso, favorendo il dissesto idrogeologico.

Chi è il padrone di queste terre? Spesso lo stato californiano. Il segretario alla protezione ambientale Jared Blumenfeld nel 2020 aveva lanciato un software dal nome eloquente, CannaVision, che attraverso lo screening satellitare ha individuato nel giro di nove mesi tutte le coltivazioni illegali nella contea di Mendocino.

Rispetto a quelle lecite, ce ne sono due per ogni serra legalmente sanzionata dallo stato. Blumenfeld ha dichiarato che «adesso i trafficanti ci penseranno due volte visto che sono sotto il nostro sguardo».

Anche se questo strumento è risultato utile soprattutto al dipartimento per la pesca, che ha potuto smantellare degli appezzamenti che inquinavano alcuni allevamenti di salmoni a valle. Non c’è solo l’inquinamento a preoccupare le autorità locali.

Per chi vive vicino a questi campi, c’è anche un problema di sicurezza, non solo nel Triangolo di Smeraldo, ma anche nelle aree desertiche vicino alla Sierra Nevada, intorno alla cittadina di Mount Shasta o nel Mojave, al sud vicino al confine messicano.

Serre ovunque

Proprio qui c’è la Lucerne Valley, dove prima della legalizzazione integrale lo stato aveva registrato soltanto 13 serre: i reporter del Los Angeles Times ne hanno trovate oggi 935. Una crescita impetuosa che ha portato a creare insediamenti improvvisati per i lavoratori delle serre, spesso immigrati irregolari che devono vivere in condizioni disperate.

E a sorvegliarli i proprietari mettono spesso degli uomini armati che però non rendono l’area più sicura, anzi, i residenti spesso hanno paura di uscire per ritrovarsi coinvolti in sparatorie.

Lo sceriffo della contea di San Bernardino ha annunciato lo scorso 2 settembre di aver sradicato ben 1.100 serre illegali da inizio anno e che l’operazione è ancora in corso.

Questa condizione di illegalità si riscontra anche a livello di vendita, dove in teoria non ci dovrebbero essere problemi. In pieno centro a Los Angeles si stima che ci siano 30 rivendite illegali di marijuana, che vendono il loro prodotto a 15 dollari al grammo, una cifra troppo bassa anche qualora si trattasse di un’offerta speciale di apertura.

La cosa è possibile perché questi spazi non devono sottostare a nessun tipo di tassazione, a differenza delle loro controparti legali. Quindi cadrebbe un assunto cardine utilizzato dai supporter della legalizzazione, ovvero che le forze di mercato avrebbero spazzato via le alternative al di fuori della legge.

Al contrario, le hanno fatte prosperare, dato che il consumatore che le utilizza si sente di non fare nulla di male. Anche per loro però la crescita di questo boom di consumo porta a una richiesta sempre maggiore di sostanze più potenti.

Come gli oppiacei 

Un articolo pubblicato su Tablet ha accomunato la cannabis odierna a uno degli oppiacei più additivi, l’OxyContin. La quantità di Thc, la sostanza psicotropa che si trova naturalmente nell’erba, che era contenuta nei prodotti in vendita illegalmente negli anni Novanta era pari al cinque per cento.

Ora è intorno al venti per cento. Questo vuol dire che è estremamente più potente ed è più facile che induca psicosi nei consumatori, che si trovano in condizioni simili a chi fa uso di oppiacei.

C’è un’ultima promessa che i fautori della legalizzazione avevano preconizzato: le comunità più colpite dalle guerre alle droghe dei decenni precedenti avrebbero avuto un’opportunità di diventare imprenditori in un business adesso legale.

Fedina penale pulitissima

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Nel 2019 venne varato un programma di agevolazioni per gli afroamericani e i latino per aprire un’attività legata alla cannabis. Un piano che è stato funestato da ritardi burocratici, requisiti fumosi per chi compilava i documenti necessari e una cronica carenza di finanziamenti. Il risultato è che oggi soltanto l’otto per cento del totale delle imprese legali viene da chi ha scelto questa strada.

Anche per chi in passato era stato incriminato per spaccio di sostanze stupefacenti la rimozione delle condanne avrebbe dovuto essere “automatica”. Invece nel corso del 2021 i tribunali hanno scelto una strada lenta per ripulire le fedine penali di ben 30mila persone.

Su questo però la soluzione è vicina: la deputata statale dem Mia Bonta ha scritto una legge che dà al dipartimento californiano di giustizia tempo fino al 1° gennaio 2023 per cancellare tutte le condanne precedenti al 2017, firmata dal governatore Newsom il 18 settembre.

Un piccolo passo per risolvere quello che però è diventato un enorme problema di sicurezza pubblica e ambientale. La legalizzazione del consumo ricreativo non è stata quel colpo di spugna che ci si aspettava per tanti motivi che sarebbe difficile elencare in modo esaustivo.

Non sfugge però il ruolo primario che l’eccessiva burocratizzazione della California ha svolto nell’ostacolare le attività legali mentre ha favorito quelle illegali che sono esplose in aree rurali e desertiche, su cui i vari uffici degli sceriffi di contea e le varie agenzie antidroga hanno potuto fare ben poco.

Le forze di mercato per quanto riguarda la marijuana continuano tuttora a premiare chi la produce e la vende illegalmente, a discapito dell’inquinamento, delle condizioni dei lavoratori delle serre e della sicurezza delle comunità che avrebbe dovuto giovarsi di un nuovo boom economico.

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