E se dopo aver passato decenni sul lettino dell’analista, a cercare invano di scoprire le cause della propria decadenza, l’Argentina – il paese che si vanta di avere il più alto numero pro capite di strizzacervelli al mondo – decidesse infine di mettersi nelle mani di un fuori di testa?

Javier Milei, il favorito di estrema destra alle presidenziali di domenica prossima, deve aver fatto questo calcolo. C’è la marea mondiale a favore, per cui negare i fatti e cavalcare stravaganze sta pagando a tutte le latitudini, e c’è l’infinita pazienza nazionale che si sta esaurendo, nella melma dell’ennesima crisi economica.

Quindi “el loco” Milei sì, può farcela, sostengono molti osservatori, persino nel paese con la politica più ingessata del mondo, dove vincono (quasi) sempre i peronisti, quelli che ancora fanno riferimento a un caudillo di metà Novecento, mezzo fascista e mezzo socialista.

Contro la casta

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Milei è un prodotto perfetto dei nostri tempi. Al pari di Jair Bolsonaro in Brasile nasce provocatore in programmi trash tv, quando serve chiamare qualcuno che la spari grossa per l’audience, e poi fa il salto in politica senza un partito alle spalle, con i soli social e la sorella come braccio destro. A differenza del brasiliano, un ignorante assoluto cresciuto nelle caserme, Milei è però un economista divoratore di libri, colto e dai mille interessi, capace di tener botta a chiunque, sebbene emarginato dai circoli mainstream.

La sua stella polare è l’iperliberismo dei Chicago boys, che in Sudamerica ebbe già la sua stagione di esperimenti feroci, sia in dittatura (Pinochet in Cile), sia in democrazia, come Carlos Menem qui in Argentina, l’allegro presidente dell’era Maradona: ovviamente Menem è nel pantheon di Milei, a partire dalla nemesi dei basettoni extra large.

Ogni suo argomento parte dal principio che l’Argentina è un paese socialista in mano a politici ladroni tutti uguali che indottrinano la gente. Poiché il suo passato familiare è nebuloso, poco si sa delle sue origini italiane (Milei è un cognome umbro), ma sembra che la nostra storia politica recente l’abbia studiata bene. Perché ha fatto della parola “casta” il suo marchio registrato, declina il “vaffa” in varie sfaccettature e sostiene, come già un premier italico di successo, che “l’evasione fiscale dovrebbe essere un diritto umano”.

Contro il papa

L’equivalenza tra comunismo e politicamente corretto, entrambi da travolgere, mette nel mirino di Milei anche il suo connazionale più famoso. Papa Francesco è per lui il massimo portavoce del pensiero argentino tradizionale causa di tutti i disastri. Perché la giustizia sociale altro non è che “un concetto aberrante”.

Oggi da candidato non può ovviamente permettersi le parole di qualche anno fa, ma fatica a mordersi la lingua. «Perché ha chiamato Bergoglio un comunista?», gli è stato chiesto l’altro giorno in un talk show. «Ogni parola ha un suo tempo – ha risposto – Ma su, non ci sono poi andato molto lontano...». 

Da Roma, a inizio settimana, è arrivata in via indiretta la risposta. In una intervista all’agenzia di stampa del governo argentino, Francesco ha ammonito senza far nomi, che «il Messia è uno solo, gli altri sono tutti pagliacci del messianismo». Secondo il quotidiano Clarin, a quattro giorni dal voto, il papa è entrato nella campagna elettorale del suo paese. Ma nessuno crede davvero che la questione, seppur delicata, avrà una rilevanza decisiva.

Il Dio dollaro

Anche perché per gli argentini, già da tempo, il vero Dio è un altro: il dollaro. Quello che tutti corrono a comprare quando tirano vènti contrari e poi accumulano nei materassi: oggi più che mai, dato che l’inflazione ha superato il 100 per cento all’anno.

La principale promessa di campagna di Milei è l’eliminazione della moneta nazionale, il peso (da lui simpaticamente definito un escremento) e quindi la dollarizzazione completa dell’economia. Se togliamo ai politici la loro arma principale, la macchina per stampare soldi, sostiene, finiremo con le ruberie e il perpetuarsi della casta. Milei assicura che dollarizzare l’Argentina è possibile, così come abolire la banca centrale, ma gran parte degli economisti le considera boutade.

Sono tre i paesi al mondo che l’hanno già fatto, Ecuador, El Salvador e Zimbabwe, con economie molto più piccole. L’Argentina oggi non ha praticamente riserve nette in valuta, e ne servirebbero tanti di dollari per cambiare tutti i pesos in circolazione, e poi ci vorrebbe l’avallo del tesoro Usa e del Fondo monetario, con il quale Buenos Aires ha già oggi un debito impagabile.

Una volta spazzata via la moneta che non vale nulla, Milei propone una cura drastica di privatizzazioni, comprese sanità e istruzione, taglio delle tasse, eliminazione dei sussidi, un governo minimo con soltanto otto ministeri. «In 15 anni l’Argentina è in grado di arrivare al livello del benessere dell’Italia. Datemene 30 e raggiungeremo gli Stati Uniti», ama ripetere.

Il suo pubblico

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La folla che sciama verso il palazzetto Movistar Arena, dove mercoledì sera Milei ha chiuso la campagna elettorale, è sorprendente. Sono quasi tutti giovani, e dalle facce si farebbe fatica a distinguerla da una curva del River Plate o del Boca Juniors: è la classe medio-bassa argentina che nel giro di un paio di generazioni è scivolata da un relativo welfare prima verso la povertà, e ora, con l’inflazione a tre cifre, direttamente alla miseria.

Sventolano bandiere con l’effige del leone Milei e inneggiano, appunto, al dollaro che salverà tutti. Lui, el loco, ha messo da parte le parolacce e la motosega che brandiva dai palchi e, come un politico qualunque a pochi giorni dal voto, fa un appello agli indecisi.

Chi ha già deciso da tempo non si è fermato davanti a nessuna delle sue mille stravaganze, dai dialoghi con il cane defunto alla condanna del matrimonio, dal suo passato di istruttore di kamasutra alla proposta di regolare il traffico di organi. A chi invece ci sta pensando, Milei propone lo sguardo da gattone innamorato della sua ultima fiamma, Fatima Florez, una attrice diventata famosa imitando Cristina Kirchner.

Guarda caso la coppia è venuta allo scoperto a un mese dal voto. Aveva detto Milei che il sesso con una sola donna soffriva di una legge dell’economia che lo rendeva insostenibile, quella dell’utilità marginale decrescente. Niente di più machista insomma. Ma non era ancora candidato, in un paese che ne ha viste tante, ma non fino a questo punto.

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