«Il papa? È il rappresentante del maligno sulla terra», «Francesco ha affinità con i comunisti assassini». Sono queste alcune delle accuse-contumelie lanciate dal neoeletto presidente dell’Argentina, Javier Milei, durante la campagna elettorale, contro il papa.

Da ultimo, un alto esponente del suo partito aveva proposto di interrompere le relazioni diplomatiche col Vaticano. Poi, in extremis, Milei aveva affermato che, se fosse stato eletto presidente, qualora Bergoglio avesse deciso di andare a visitare il suo paese d’origine, sarebbe stato accolto come si conviene con un capo di stato che è anche il leader mondiale della chiesa cattolica.

Francesco, del resto, in una lunga intervista all’agenzia di stampa argentina Telam non si era tirato indietro quando gli era stato chiesto che cosa pensasse dei politici nazionalisti di estrema destra. La parola “crisi” mi piace, aveva risposto Francesco, perché indica un movimento, «le crisi fanno crescere: quando una persona, una famiglia, un paese o una civiltà è in crisi, se la risolvono bene, si crescerà».

«Una delle cose che dobbiamo insegnare ai ragazzi e alle ragazze», aggiungeva, «è come gestire le crisi, perché questo dà maturità. Siamo stati tutti giovani senza esperienza, e talvolta ragazzi e ragazze si aggrappano ai miracoli, ai messia, alle cose che si risolvono in modo messianico. Il Messia è solo colui che ci ha salvato tutti. Gli altri sono tutti pagliacci messianici».

Pifferai magici

Poco oltre, poi, osservava: «Ho molta paura dei pifferai magici perché sono affascinanti. Se fossero serpenti li lascerei, ma sono incantatori... e finiscono per affogare le persone. Gente che crede di poter uscire dalla crisi ballando al suono del flauto, con redentori realizzati da un giorno all’altro. No. La crisi va assunta e superata, ma sempre verso l’alto».

Pure non citato esplicitamente, il riferimento a quanto stava avvenendo nella campagna elettorale argentina con l‘affermazione del candidato dell’ultradestra è apparso evidente. Ora, in ballo c’è il possibile viaggio che Francesco avrebbe voluto compiere nel suo paese d’origine nel 2024; da quando è stato eletto come vescovo di Roma, infatti, Bergoglio non ha mai messo piede in Argentina.

E una delle ragioni che hanno motivato una simile ritrosia era proprio quella di non voler influire sui processi elettorali del suo paese, oltre al timore che la sua eventuale visita fosse strumentalizzata da qualcuno. La situazione ha preso però una piega inattesa: alla Casa Rosada siede infatti un uomo che sembra la negazione stessa della dottrina sociale della chiesa e, in molti casi, dei basilari principi cristiani (si pensi alla proposta di legalizzare il mercato degli organi per i trapianti, pratica oggi vietata).

Sempre nell’intervista con la testata argentina, il papa ha detto in proposito: «A volte quando mi sentono dire le cose che ho scritto nelle encicliche sociali, dicono che il papa è comunista. Non è così. Il papa prende il Vangelo e dice quello che dice il Vangelo. Già nell’Antico Testamento la legge ebraica prevedeva la cura della vedova, dell’orfano e dello straniero».

In Vaticano

Non è neanche chiaro se Milei vorrà recarsi in Vaticano per incontrare il suo celebre connazionale che continua a godere di grande popolarità anche in patria. D’altro canto, se la vittoria del candidato più incendiario è dovuta soprattutto alla profondità della crisi economica, con una povertà diffusa crescente e un’inflazione da record nel paese sudamericano, il tempo d’ora in avanti per Milei corre, dopo la propaganda servono i fatti, e avere la chiesa schierata contro non è un buon affare.

I vescovi argentini, da parte loro, hanno rivolto nelle settimane passate un invito a visitare il paese proprio a Bergoglio. «Ci uniamo così al sentimento del nostro popolo che desidera incontrare il suo Pastore» hanno scritto in una lettera aperta a Francesco.

«La tua vicinanza e la tua benedizione», hanno aggiunto, «faranno a tutti noi molto bene in questi tempi difficili. Confidando nella possibilità che tu prenda in considerazione questa visita nel paese, ti affidiamo a Nostra Signora di Luján, patrona dell’Argentina». Chissà, a questo punto, se l’anziano pontefice accetterà anche questa sfida recandosi di persona nella sua Buenos Aires, o se preferirà continuare a seguire la situazione argentina da lontano.

Milei e Bolsonaro

Di certo, questa di Milei, non è la prima battaglia affrontata dal papa contro leader espressione di un nazionalismo esasperato che vogliono mettere in discussione le fondamenta stesse del bene comune, quel che resta dello stato sociale e della solidarietà come valore cardine del vivere collettivo, per affermare – al contrario – i princìpi di un ultraliberismo selvaggio, costruito sulla paura e sull’identitarismo nazionalista.

È già accaduto con l’ex presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, e con l’ex capo della Casa Bianca, Donald Trump. Entrambi hanno attaccato a testa bassa Francesco, più o meno come ha fatto Milei e, va detto, non gli è andata bene. Stavolta però la partita è particolarmente drammatica, in gioco c’è infatti l’Argentina, la patria del papa.

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