L’Afghanistan si sta rivelando ancora una volta la tomba degli imperi a causa della sua collocazione geografica, il territorio montuoso, e la sua composizione tribale guidata dai signori della guerra. Il Pentagono, attraverso il portavoce John Kirby, ha ammesso che le cose «non stanno andando nella giusta direzione» e ha definito la situazione «profondamente preoccupante». Nel giro di 72 ore cinque province chiave del paese sono state riconquistate dai talebani. «La Difesa americana - aggiunge Kirby - è convinta che le forze afghane siano in grado di fare la differenza sul campo», ma l’offensiva talebana si sta facendo più intensa, anche grazie alla liberazione di molti prigionieri che si uniscono ai combattenti. Giungono notizie di militari afghani che si stanno arrendendo e stanno lasciando le zone di combattimento.

L’allerta arriva mentre l’inviato degli Stati Uniti per l’Afghanistan è a Doha, in Qatar, per esortare i talebani a fermare la loro offensiva militare e negoziare un accordo politico. «L’emissario Zalmay Khalilzad sarà a Doha per aiutare a mettere in atto una risposta internazionale congiunta al rapido deterioramento della situazione in Afghanistan», aveva annunciato il Dipartimento di stato in un comunicato. «Esorterà i talebani a cessare la loro offensiva militare e a negoziare un accordo politico, l’unico modo che può portare alla stabilità e allo sviluppo in Afghanistan», si legge nel testo.

«L’intensificazione dell’offensiva militare dei talebani, che sta causando vittime civili da entrambe le parti e presunte violazioni dei diritti umani, è molto preoccupante».

Biden non vacilla

Il presidente americano, Joe Biden, stanco dei 2.312 morti americani (53 i nostri militari caduti in terra afghana) e delle migliaia di miliardi spesi in 20 anni di guerra (il più lungo conflitto nella storia degli Stati Uniti) cerca di mettere la parola fine alla presenza delle sue truppe entro l’11 settembre 2021, data simbolo dell’attacco alle Torri Gemelle e causa dell’intervento americano a Kabul. Per il presidente americano c’è soprattutto una nuova agenda geostrategica che vede la guerra fredda con la Cina come primo capitolo dell’impegno all’estero, oltre al bisogno di riportare dopo venti lunghi anni a casa i giovani americani.

Il ritiro americano e dei suoi alleati occidentali sta avvenendo però in un contesto che vede perdere terreno e capoluoghi alle truppe del governo afghano in maniera repentina e sorprendente nonostante l’esercito sia stato armato e addestrato da anni. Pare di vedere già gli ultimi giorni di Saigon e la precipitosa fuga degli ultimi americani dal tetto dell’ambasciata a stelle e strisce nel Vietnam del sud. Da quel tetto gli elicotteri trasportavano i marines e lo staff dell’ambasciata americana sulle navi alla fonda mentre i carri armati nordvietnamiti entravano nella città il 30 aprile 1975. Quel giorno i sudvietnamiti si arresero.

La scommessa del rais

In questa contesto di terremoto degli equilibri fin qui acquisiti la Turchia di Recep Tayyip Erdogan cerca come suo costume il suo posto al sole in Afghanistan con il controllo dell’aeroporto di Kabul, ma rischia di essere travolta da un nuovo esodo di massa di profughi dopo quello dei 4 milioni di siriani. Possibile? Le cifre parlano chiaro. Chi può lascia il paese in preda alla guerra civile e così sono quasi 300mila gli afghani costretti ad abbandonare le loro case negli ultimi otto mesi, per un totale di 3,5 milioni di sfollati interni.

Da giorni la Turchia ha fermato diverse centinaia di persone in fuga dall’avanzata dei talebani, partiti da un paese in fiamme con il sogno di raggiungere l’Europa. Più di 200 profughi sono stati intercettati in una singola operazione della Guardia costiera, mentre erano a bordo di una imbarcazione di fortuna nell’Egeo. Altri 219 afghani (più altri 22 migranti) sono stati fermati a bordo di diversi gommoni nella provincia di Canakkale, nell’Egeo settentrionale; nell’operazione sono stati arrestati due presunti trafficanti, pescatori accusati ai aver chiesto 5mila dollari a ciascuno per compiere l’attraversamento.

Circa mille afghani in fuga dal loro paese sono stati fermati a Istanbul, mentre in tanti cercano di attraversare il confine orientale della Turchia o attendono disperatamente un visto e le domande presso le cancellerie occidentali di Kabul aumentano ogni giorno. Il presidente Erdogan, al potere ininterrottamente dal 2002, è sotto pressione da parte di opposizione e opinione pubblica: l’hashtag “non vogliamo più rifugiati” spopola sui social del paese. La Turchia è infatti diventata il luogo al mondo con più rifugiati, 4 milioni sono i siriani e gli afghani già costituiscono il secondo gruppo più numeroso, oltre 200mila prima di questi giorni. Secondo le stime delle organizzazioni non governative sono in 300mila ad aver abbandonato le proprie case da quando i talebani hanno ripreso il controllo delle aree rurali, mentre circa 7 milioni vivono in Pakistan e Iran, che non accettano però altri rifugiati.

La Turchia ha un vantaggio agli occhi dei disperati in fuga da Kabul, è la porta d’accesso per l’Europa. Gli afghani in fuga attraverso l’Iran si sottopongono a un duro cammino attraverso le montagne, al confine con le province di Van e Igdir. Secondo la prefettura di Van sono 27mila i migranti fermati per aver attraversato illegalmente il confine con l’Iran da gennaio, 1.500 nell’ultima settimana. La Turchia aveva firmato nel 2016, su forti pressioni della Germania di Angela Merkel, un accordo strategico con l’Ue per bloccare i flussi migratori e gestire i siriani all’interno del paese in cambio di 6 miliardi di dollari, ma ora il problema si potrebbe riproporre con gli afghani.

Ankara nel frattempo sta costruendo un muro in cemento con torrette di guardia di circa 300 chilometri al confine con l’Iran per prevenire nuovi flussi e ha reagito duramente alle dichiarazioni del premier conservatore austriaco Sebastian Kurz, che aveva definito la Turchia «un posto più appropriato per i migranti di Germania o Austria». La Turchia «non sarà il campo profughi d’Europa», ha replicato il ministero degli Esteri turco. Ma il ritiro americano dall’Afghanistan potrebbe riservare più di una sorpresa a Erdogan che sta cercando di convincere a tutti i costi i talebani alla sospensione delle ostilità e vuole mantenere i propri contingenti militari, espressione di un paese islamico ma inserito nell’Alleanza atlantica, nella gestione dell’aeroporto di Kabul.

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