A inizio novembre del 2020 in Etiopia è scoppiata la guerra tra il governo federale e il fronte del Tigray (Tplf). Addis Abeba ha dichiarato la vittoria in poche settimane ma il fronte sostiene che i combattimenti siano in corso. E’ difficile appurare chi abbia ragione perché il conflitto si svolge a porte chiuse, senza testimoni né media. Intanto prosegue la “guerra delle parole” sulle onde radio e sui social. Va detto che non tutti gli etiopici, considerati nel senso più ampio del termine, sono a favore del conflitto. Anche tra coloro che lo accettano vi sono sfumature diverse. Secondo Ethiopian Insight esistono molte posizioni.

Tra i falchi i più chiassosi sono i vendicativi. Sono coloro che vogliono rivalersi sul fronte tigrino che ha governato il paese per 27 anni facendo molti scontenti. Malgrado la buona reputazione internazionale del governo di Meles, le violazioni dei diritti umani sono state estese, inclusi arresti arbitrari, torture e uccisioni. Al potere vi era una coalizione di quattro partiti ma l’astio si riversa in particolare contro il TPLF che controllava le leve essenziali. Tra i vendicativi si può annoverare anche il presidente eritreo Isaias Afwerki che ha inviato le sue truppe in Tigray a sostegno del premier Abiy: un modo per vendicarsi della guerra persa nel 1998-2000.

Tra i sostenitori della guerra ci sono poi i nazionalisti amhara che cercano di recuperare territori persi in favore del Tigray negli anni Novanta. La polizia regionale e le milizie amhara non si sono fatte pregare ed hanno invaso il Tigray appena la guerra con Addis è iniziata.

Il conflitto è sostenuto anche dagli “unitaristi” cioè da coloro che non hanno mai accettato la federalizzazione del paese, sostenendo che mette in pericolo l'unità dell'Etiopia. Per costoro il sistema federale è sempre destabilizzante, crea tensioni tra "nativi" e "coloni" all'interno delle regioni ed è diventato la principale causa degli scontri intercomunitari. L’auspicata sconfitta del TPLF aprirebbe per costoro la strada per una nuova unità, scartando per sempre l’opzione federale. Infine tra i sostenitori della guerra vi sono gli aderenti allo status quo, quelli che accusano il TPLF di aver sbilanciato la delicata costruzione etno-nazionale etiopica. Per costoro la guerra è un male necessario, atto a contenere il fronte tigrino in vista del ritorno all’equilibrio precedente.

Tra le colombe innanzi tutto vi sono i filo-Tigray: si tratta dei membri del fronte e dei suoi militanti che cercano di non soccombere. Con loro anche tutti i simpatizzanti –non per forza tigrini- negli anni favoriti dal fronte o che ne hanno tratto vantaggi. Per altri il TPLF rappresenta un simbolo della rinascita del Tigray nel sistema politico etiope dopo tanti decenni di regime amhara. Resta infatti viva la memoria di ciò che fece il DERG comunista e amhara in Tigray, con i circa 60.000 martiri che vi persero la vita. Con loro si schierano anche i tigrini non membri del TPLF e non particolarmente simpatizzanti: la loro obiezione alla guerra viene dall'orgoglio nazionale ed etnico. Tra di essi è da includere la chiesa etiopica tewahedo, soprattutto la sua parte tigrina di vescovi e clero (incluso l’attuale patriarca Abune Mathias). Con loro vi sono anche gli eredi della ribellione woyane del 1943, sconfitta da Hailé Selassie con l’aiuto della Royal Air Force. Per costoro la guerra che Abiy Ahmed ha dichiarato contro il TPLF è un ennesimo tentativo di schiacciare le aspirazioni dei Tigray. La prova è che sta permettendo alle truppe eritree di intervenire. Tra i fautori della pace ci sono poi i federalisti: coloro che considerano il TPLF l'architetto della federazione multinazionale. Anche molti oromo la pensano così: l’unica soluzione per contenere l’imporsi di una delle etnie maggiori è l’equilibrio federalista. Il TPLF lo ha creato, dimostrando di accettare una forma di limitazione al proprio potere. I federalisti considerano cioè il sistema federale come l’unica via per un'autonomia regionale non distruttiva. I federalisti pacifisti si sono battuti per fermare la guerra: temono infatti che con il conflitto gli unitaristi riprendano il sopravvento. Molte piccole etnie minoritarie sono su tale posizione.

Infine contro la guerra vi sono i pacifisti: coloro che la rifiutano come strumento per risolvere i contenziosi interni. Per costoro la guerra porterà solo problemi e sono preoccupati a causa della crisi umanitaria che già affligge molti civili. Inoltre accusano la scelta delle armi di aver risvegliato il conflitto frontaliero con il Sudan e aumentato la massa degli sfollati e dei profughi. Tra i pacifisti vanno considerate anche tutte le famiglie e coppie miste oltre che gli anti-militaristi.

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