Lunedì sera Vladimir Putin ha intrattenuto le platee televisive di mezzo mondo con un discorso volto a spiegare le motivazioni per il riconoscimento delle cosiddette repubbliche popolari di Donestk e Lugansk e l’invio di truppe russe in quei territori.

Il presidente della Federazione russa ha fornito una particolare ricostruzione degli eventi storici che nel corso dell’ultimo secolo hanno caratterizzato i rapporti fra Russia e Ucraina. Non si tratta della prima volta: già il 12 luglio 2021 il sito della presidenza russa ha pubblicato un lungo articolo nel quale venivano analizzati i rapporti fra i due popoli fin dall’alto medioevo.

Quella esposta non è quindi una ricostruzione estemporanea, ma il frutto di un lungo lavoro ideologico volto a giustificare le mosse russe, ripetuto anche da altri politici e dai mezzi d’informazione russi. Ma quanto c’è di vero e quanto di meramente ideologico in questa ricostruzione? Per capirlo, bisognerà partire da una analisi dei suoi punti fondamentali che sono essenzialmente quattro.

Quattro assiomi

Assioma 1: russi e ucraini sono parte di una sola nazione. Per giustificare questa idea Putin risale alla Rus’ di Kiev, che era in realtà una confederazione di diversi principati e città che fra il IX e il XIII secolo riuniva una parte delle terre oggi appartenenti alla Russia europea, all’Ucraina e alla Belarus.

È stato però solo nel corso dell’Ottocento che, come nel resto dell’Europa, intellettuali e storici cercarono di ricostruire le radici millenarie di quel nuovo prodotto della politica europea, che era lo stato-nazione. Fu così che nel corso dei due secoli successivi si è cercato di legare la costruzione degli stati nazionali a una pretesa sempiterna esistenza delle nazioni: già allora, comunque, non v’era accordo fra chi considerava le tre nazioni slave orientali come parte di una triade inscindibile (come Putin oggi) e chi invece sosteneva la loro assoluta differenza.

All’inizio del Novecento nel movimento nazionale ucraino i sostenitori di una nazione a sé stante risultarono vincitori, provocando il risentimento dei nazionalisti russi, contrariati del fatto che la città-madre degli slavi orientali potesse rimanere al di fuori dei confini nazionali. A sconvolgere questo scenario vennero, a seguito della Prima guerra mondiale, le rivoluzioni di febbraio e quella bolscevica dell’ottobre 1917. Assioma 2: è stata l’Urss a creare l’Ucraina.

Dopo le rivoluzioni del 1917 i territori dell’ex impero zarista furono sconvolti da una lunga guerra civile. Fu Lenin a venire a capo del conflitto garantendosi l’appoggio della popolazione contadina essenzialmente grazie alla promessa di concedere loro la terra (cosa che fu sostanzialmente fatta con la famosa Nep). Accanto alla rivoluzione dei contadini l’impero russo era però stato scosso da una miriade di rivoluzioni nazionali, che avevano seriamente messo a rischio la sua compattezza (tanto che polacchi e finlandesi ottennero l’indipendenza proprio in questo frangente).

Per tenere assieme un impero che perdeva i pezzi, Lenin elaborò l’idea che le rivoluzioni nazionali contro il centro russo dovessero essere accolte dal movimento comunista perché avevano una sorta di contenuto proletario (erano le nazioni sfruttate a insorgere contro la nazione borghese russa).

Lenin elaborò quindi l’Urss con una struttura federale nella quale le diverse nazioni erano invitate a prosperare e svilupparsi: è vero che fu così che per la prima volta nell’evo contemporaneo l’Ucraina ebbe una forma statale stabile (altri tentativi c’erano stati durante la guerra civile) che durò fino al 1991 e che fu progressivamente allargata in seguito.

Colpisce come nel suo discorso Putin faccia spesso riferimento a questo fatto, parlandone come di un errore imperdonabile ma, per l’appunto, inevitabile fatto da Lenin per salvare l’impero. È tragicamente comico che Putin voglia prendersi il merito del fatto che l’Urss non abbia potuto fare a meno di concedere una compagine statale agli ucraini. Semmai l’idea dell’indipendenza degli ucraini ne risulta rafforzata.

Nato e oligarchi

Assioma 3: la Nato aveva promesso di non espandersi a est. È ormai appurato che nel 1989 una promessa orale di non espandersi oltre la Germania riunificata fu in effetti fatta a Gorbačëv, anche se poi non fu mai ratificata da alcun trattato. Altrettanto vero è che fino agli inizi degli anni 2000 l’espansione della Nato è avvenuta con il benestare di una Russia allora assai debole, tanto che lo stesso Putin ha rivelato di aver chiesto a Bill Clinton se l’Alleanza non avrebbe potuto immaginare di includere la Russia stessa (proposta ovviamente rifiutata).

Assioma 4: l’Ucraina è una colonia Usa in mano agli oligarchi. Al crollo dell’Urss nel 1991 Russia e Ucraina erano due paesi con una struttura sociale, economica e culturale molto simile: ex dirigenti del Partito comunista avevano saccheggiato la ricchezza dei due paesi trasformandosi in oligarchi.

In Russia questi furono progressivamente ridotti sotto il controllo dello stato da Putin, arrivato al governo nel 1999. A partire dal 2001 la nazione ucraina ha invece avviato una serie di rivolte popolari (gli episodi più famosi sono la Rivoluzione arancione del 2004-05 e il cosiddetto Euromaidan del 2013-14) che hanno portato a una progressiva democratizzazione ed europeizzazione tanto della politica quanto della società. È vero che l’economia ucraina è ancora in mano agli oligarchi, ma l’attuale presidente Volodymyr Zelensky ha finalmente messo in cantiere una seria legislazione “anti oligarchi”.

Altrettanto vero è che, dalla annessione della Crimea e dall’inizio della guerra ibrida all’est, gli ucraini hanno sempre più considerato l’occidente come un alleato contro una Russia che si stagliava sempre più come un invasore. Quello che spaventa Putin, così desideroso di dimostrare che l’Ucraina è uno stato fallito, è che l’esistenza stessa di un’Ucraina indipendente, democratica ed occidentalizzata è la dimostrazione che uno sviluppo diverso sarebbe stato possibile anche in Russia.

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