Emmanuel Macron era in campo ormai da qualche mese nella corsa alle presidenziali francesi del 10 e 24 aprile prossimi. Il presidente francese, però, non aveva ancora dichiarato ufficialmente la sua intenzione di correre per un secondo mandato.

Lo ha fatto giovedì, con una lettera indirizzata ai cittadini francesi. Sabato scorso aveva invece annullato l’evento di presentazione, previsto a Marsiglia, perché ritenuto inopportuno vista la situazione in Ucraina.

Un segnale importante della sua concezione del potere e del ruolo presidenziale. 

La campagna elettorale che lo separa dal voto di aprile è per lui una sfida importante il cui esito non conta solo per la Francia, ma per l’Europa tutta.

Il precedente del 2017 

Cinque anni fa Macron si era candidato con lo “svantaggio” di essere un outsider della politica. Ma anche forte di una biografia che aveva i tratti del romanzo ottocentesco.
Nel suo libro Revolution aveva raccontato ai francesi la storia della sua famiglia, degli studi di medicina del padre e di quella che egli definiva «la storia di un’ascesa repubblicana nella provincia francese».

Macron si descriveva come personaggio venuto dal nulla, una specie di predestinato che, superando anonimato e difficoltà, percorreva la strada verso un grande destino.

L’altro aspetto della sua narrazione era costituito da tre parole-chiave «tenerezza, benevolenza, il desiderio di fare bene».

En Marche

La creazione del movimento En Marche, qualche settimana prima, rispondeva anch’essa a un’idea divenuta ormai da decenni il cuore della politica. E infatti, in poco tempo, aveva raggiunto il suo scopo.

Il sito di En Marche era un perfetto strumento elettorale poiché trasmetteva l’idea di una effervescenza collettiva, di una Francia in cammino.

Peccato però che En Marche fosse, come il Centauro del mito, metà uomo e metà bestia: aveva l’aspetto del movimento, ma affondava le radici nel sottobosco politico tradizionale dove vecchi notabili gli fornivano supporto, prestigio e risorse sul territorio tanto da farlo crescere a velocità inimmaginabile in poche settimane.

La vittoria

Macron aveva un programma ambizioso e non c’era settore, dalla scuola alla sanità, alla pubblica amministrazione, al ruolo dell’Europa che non venisse toccato.

Questo perché, sottolineava, bisognava riparare ai danni della vecchia classe politica che aveva fallito. 

All’Eliseo

Ben presto, però, l’entusiasmo di quei giorni ha dovuto fare i conti con la realtà. Nei primi due anni della presidenza Macron non c’è stata una categoria che non ha protestato: insegnanti, studenti, precari, medici, infermieri, avvocati e persino i musicisti dell’Opera.

Soprattutto il vento dirompente dei gilet gialli che hanno espresso il disagio delle fasce peri-urbane.

Un movimento composito con un programma articolato di proposte che voleva interloquire col potere. Fra di loro c’erano intere famiglie, non solo giovani incendiari.

Macron, però, ha rifiutato il confronto e ha preferito la repressione. Una strategia che ha alimentato la lotta e lasciato insoluti i veri problemi.

Il 2022

Gli ultimi due anni Macron li ha passati a modificare la sua immagine, la sua comunicazione e fissare i pilastri della sua seconda campagna presidenziale. II rapporto con la religione ne è un esempio. 

Il suo lungo discorso del 2018 alla Conferenza episcopale francese gli ha consentito di affermare acrobaticamente la profonda cristianità della Francia e la sua laicità, entrambe da contrapporre al terrorismo islamico: «Io sono come capo dello stato, garante della libertà di credere e di non credere, ma io non sono né l’inventore né il promotore di una religione di stato che sostituisca alla trascendenza divina un credo repubblicano».

La campagna elettorale

Adesso si muove lungo il crinale che separa continuità e discontinuità.

Così ha fatto annunciare dal primo ministro Jean Castex la riforma dell’Ena (Ecole nationale d’Administration), fiore all’occhiello della Francia dai tempi di Napoleone, ma molto criticata per il suo carattere elitario. 

Ha messo in primo piano il potere d’acquisto, tema caro a larghe fasce sociali e suggeritogli dal suo ormai collaudato consigliere, l’ex presidente Nicolas Sarkozy.

Sta cercando di cancellare l’immagine di presidente dei ricchi, lontano dalla gente. Fino al punto di chiedere quasi scusa: «In questi anni o appreso ad amare meglio i francesi, ad avere più indulgenza e benevolenza. Senza dubbio io sono più sensibile a certe cose di quanto non lo fossi prima».

Nelle scorse settimana il partito del presidente, La République En Marche, ha creato un sito, Avec Vous2022, che ha di fatto lanciato la campagna riproponendo, aggiornato, l’afflato movimentista di En Marche del 2017 e strizzando l’occhio al repertorio populista.

Lo slogan "Scopri la voce dei francesi e fai sentire la tua” ne è un esempio. I promotori dell’iniziativa non si propongono come politici di professione, ma come uomini e donne che vogliono conoscere i problemi della gente per cercare di risolverli. 
C’è poi l’impegno per l’Unione europea, dove Macron si propone come il paladino di una nuova Europa più stabile e sicura.

L’esplodere della crisi ucraina ha consegnato un ruolo da protagonista a Macron. Quella con la Russia è una sfida diplomatica che serve anche per affermare l’autorevolezza francese in una situazione internazionale di tensione.
Non si tratta solo un’arma per la rielezione, ma anche di un modo per porsi nel solco dei presidenti francesi che lo hanno preceduto, a partire da Charles De Gaulle.

Il generale-presidente guardava infatti all’Urss come a una realtà da integrare in un’Europa veramente combattiva e sovrana. Un concetto riassunto nella formula «l’Europa dall’Atlantico agli Urali». Anni dopo Giscard d’Estaing aveva tentato anche lui di misurarsi con la potenza sovietica, ma con poca fortuna. 

Macron non vuole che l’Europa resti l’eterna ancella dell’America, ma vuole che trovi una sua forte identità ponendosi come baluardo contro i nazionalismi e i regimi autoritari che da più parti la circondano. 

L’Europa non può più essere solo quella dei regolamenti complicati, delle burocrazie silenziose e potenti, delle mediazioni al ribasso. È necessaria, dice chiaramente Macron, un’altra Europa, impegnata nell’arena mondiale con cervello,valori e passione. E bisogna costruirla.

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