È passato un mese da quando Hamas ha lanciato la sua operazione terroristico-militare lo scorso 7 ottobre contro Israele. Un attacco brutale che ha causato oltre 1400 vittime e preso in ostaggio 240 cittadini. Numeri senza precedenti, così come quelli causati dalla rappresaglia delle forze armate israeliane. Secondo il ministero della salute di Gaza controllato da Hamas ieri sono state superate le 10mila vittime, di queste almeno 4.880 sono minori.

Israele non ha mai avuto un numero simile di vittime in un giorno solo. Per i palestinesi, invece, il numero dei morti è quasi il triplo della somma di tutti i conflitti scoppiati dal 2008 a oggi. Nel 2021 l’operazione israeliana Guardiani delle Mura era durata dal 6 al 21 maggio: si è conclusa con 248 vittime palestinesi (civili e miliziani) e 13 vittime civili israeliane. Nel 2014 l’operazione Margine di protezione è durata invece oltre un mese (8 luglio – 26 agosto), causando secondo le Nazioni unite 72 morti israeliani e 2.251 palestinesi (di cui 1462 civili). Nel 2012 l’operazione Colonna di Nuvola (13-21 novembre) ha portato a sei morti israeliane e 171 tra i palestinesi. Neanche la più nota operazione Piombo Fuso del 2008 ha causato un numero così alto di vittime. Era durata dal 27 dicembre al 17 gennaio e ha causato 13 morti israeliani e 1.385 palestinesi secondo l’Onu.

Dopo un mese esatto di guerra, però, il rischio è che il numero delle vittime continuerà ad aumentare. Il premier israeliano ha più volte declinato un cessate il fuoco e non concede ancora le brevi pause umanitarie chieste dagli Stati Uniti. Il suo obiettivo è solo uno: annientare Hamas.

I colpi subiti da Hamas

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Israele ha riferito di aver attaccato oltre 2500 obiettivi militari. Secondo quanto riferito dal ministro della Difesa Yoav Gallant dall’inizio delle guerra sono morti dodici comandanti militari di Hamas: sono vertici di battaglioni e dei vari reparti (marina, aviazione, unità speciali).

Non è ancora chiaro invece il numero dei miliziani uccisi, che è in ordine delle centinaia di unità. Solo nel giorno in cui le forze armate hanno annunciato di essere entrati nella periferia di Gaza (lo scorso 2 novembre), nei combattimenti strada per strada sono stati uccisi 130 miliziani. Alcuni dei vertici militari sono stati uccisi nei raid aerei nella città di Khan Younis, nel sud della Striscia e vicina all’Egitto, considerata una delle roccaforti di Hamas, altri a Gaza city.

Tra gli omicidi eccellenti ci sono i vertici del battaglione Daraj Ruffah della Brigata di Gaza city (il comandante di Rifaat Abbas, il comandante di supporto Tarek Maaruf, il vice comandante Ibrahim Jadba); il comandante del sistema missilistico (Hassan al-Abdullah); il vice capo dell’intelligence (Shadi Barud); il comandante del battaglione nord di Khan Younis (Taysir Mubasher); il vice capo dell’artiglieria (Mohammed Qatmash); il comandante delle brigate al Qassam (Talal al Hindi); il comandante della forza navale della Brigata di Gaza (Ratab Abu Tshaiban); il comandante delle forze navali (Akram Hijazi); il comandante dell’unità di elites Nakhaba del battaglione South Khan Younis (Bilal al-Kedra).

Sono invece almeno 13 i membri di Hezbollah morti nei raid aerei lungo il confine del Libano. Alle uccisioni, le forze di sicurezza israeliane hanno affiancato un lavoro di polizia che ha portato almeno all’arresto di 450 membri di Hamas alcuni di loro intercettati in Cisgiordania.

Gli attacchi alla popolazione

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L’evacuazione di centinaia di migliaia di persone verso il sud della Striscia, come chiesto da Israele, non ha però evitato la morte migliaia di civili. Le forze armate israeliane sono state accusate più volte di aver bombardato scuole, ospedali, edifici delle Nazioni unite e campi profughi. In questo mese si ricordano almeno quattro eventi critici: i due bombardamenti contro gli edifici del campo profughi di Jabalia che avrebbe causato decine di morti.

È invece di 15 morti e decine di feriti il bilancio del bombardamento avvenuti all’ingresso dell’ospedale al-Shifa di Gaza city, il più grande della Striscia, dove erano presenti ambulanze e medici che soccorrevano i feriti. La conferma è arrivata anche da un medico di Medici senza frontiere.

L’ultimo in ordine cronologico è invece il raid aereo contro ilcampo profughi di Maghazi, nella città di Deir al Balah. Secondo l’agenzia stampa palestinese Wafa sarebbero state uccise almeno 51 persone nel bombardamento, ma non ci sono ancora conferme da enti terzi.

La Cnn ha contattato diverse fonti, confermando, dozzine di vittime. Infine, resta da capire cosa sia accaduto all’ospedale al Ahli di Gaza, dove Israele e Hamas si rimpallano le accuse di un’esplosione nel parcheggio che avrebbe causato dai 100 ai 300 morti secondo fonti americane. Tra le vittime del conflitto ci sono anche 36 persone tra giornalisti e operatori. Secondo l’organizzazione Committee to protect journalist, sono 31 palestinesi, 4 israeliani e 1 libanese. Sono invece 8 i giornalisti feriti, così come quelli arrestati, mentre tre sono quelli dispersi.

La diplomazia

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Dal punto di vista diplomatico grazie alle mediazioni di Egitto e Qatar sono stati raggiunti alcuni risultati importanti: due scambi di prigionieri, l’apertura del valico di Rafah per far evacuare gli stranieri presenti all’interno della Striscia e far entrare gli aiuti umanitari.

Sul versante del cessate il fuoco, invece, non ci sono segnali positivi dato che sia Tel Aviv che Washington sono convinti che vada a rafforzare Hamas. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha ospitato al Cairo un summit internazionale per arrivare a una soluzione di pace ma non ha ottenuto un consenso unanime.

Per questo motivo è entrato in gioco anche il leader turco Recep Tayyip Erdogan che ha ospitato ad Ankare le massime autorità di Iran e Stati Uniti e ha annunciato di voler ospitare una conferenza di pace internazionale. Sono diverse le ipotesi di lavoro, ma nessuna è ancora giunta al tavolo delle trattative.

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