Un’ondata di proteste contro Benjamin Netanyahu attraversa Israele. Il premier è appena stato sottoposto – «con successo» dicono i bollettini ufficiali – a un’operazione per un’ernia, il 31 marzo; sottoposto ad anestesia totale, Netanyahu è stato momentaneamente sostituito nella conduzione dell’esecutivo dal vicepremier nonché ministro della Giustizia Yariv Levin.

L’operazione e le proteste

Ora il premier è «cosciente e in buone condizioni». A luglio Netanyahu era stato operato al cuore per l’impianto di un pacemaker dopo un malore. La nuova operazione chirurgica è arrivata in un momento delicato per il premier: nel weekend hanno preso il via quattro giorni di protesta, con migliaia di cittadini che chiedono le sue dimissioni. Proteste co-organizzate anche dai famigliari degli oltre cento ostaggi che sono ancora nelle mani di Hamas all’interno della Striscia. Le proteste hanno l’obiettivo di portare a termine un accordo per la liberazione dei prigionieri e la convocazione di nuove elezioni.

Tornano le immagini delle tende piantate davanti al parlamento israeliano, e sono immagini già viste prima della guerra, quando una controversa riforma della giustizia e l’operato del governo avevano già attirato aspro dissenso.

Il fatto che gli ostaggi israeliani siano ancora nelle mani di Hamas rinfocola i dissapori nella popolazione. Domenica sera le proteste sono state accompagnate a inviti a Netanyahu perché se ne vada. 

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Reazioni dal governo: il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha chiesto «al primo ministro di rimanere fermo di fronte alle pressioni irresponsabili che mettono in pericolo lo stato di Israele e danneggiano gli obiettivi della guerra». 

Il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid ha detto di «non essere mai stato più preoccupato in vita mia per Israele» e ha chiesto elezioni anticipate.

Le macerie di Shifa

Intanto lunedì con un comunicato le forze armate israeliane hanno dichiarato che le truppe hanno «completato un'attività operativa precisa nell'area dell'ospedale Shifa e sono uscite dall'area». In sostanza Israele si ritira dall’ospedale di Shifa, il più grande della striscia di Gaza, che era stato assediato con l’argomento che Hamas usasse questo ospedale per lanciare attacchi; versione che Hamas nega.

Il raid israeliano sull’ospedale più grande di Gaza era cominciato il 18 marzo ed era stato presentato dall’Idf come una operazione «ad alta precisione». I terroristi «sono raggruppati lì dentro», aveva dichiarato il portavoce delle forze armate israeliane, Daniel Hagari. Alla popolazione civile che era raccolta presso l’ospedale perché sfollata era stato intimato di allontanarsi.

All’alba di questo lunedì, la notizia della fine dell’assedio. La versione di Israele è quella di «operazioni mirate» nelle quali i suoi soldati hanno «ucciso terroristi in scontri ravvicinati e localizzato numerose armi e documenti di intelligence in tutto l'ospedale, prevenendo danni a civili, pazienti ed équipe mediche». Il ministero della Salute della striscia, gestito da Hamas, riferisce che al ritiro delle truppe israeliane sono state scoperte decine di cavaderi.

Bbc ha pubblicato le immagini video della struttura dopo l’assedio, nelle quali si vedono reparti distrutti e in macerie.

Questa domenica l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms / Who), tramite il suo direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, aveva lanciato pubblicamente l’allerta per le decine di pazienti morti durante l’assedio israeliano.

Il piano Usa su Rafah

Il dissenso interno verso Netanyahu si coniuga con la mancanza di sintonia tra questo governo israeliano e la compagine internazionale; una combinazione che non gioca a favore del premier.

Gli Stati Uniti provano a far cambiare i piani militari israeliani per evitare la tanto annunciata operazione nel sud della Striscia a Rafah, che rischierebbe di creare una crisi umanitaria senza precedenti. Secondo quanto riporta l’emittente pubblica israeliana Kan, durante la visita a Washington del ministro della Difesa Yoav Gallant il generale americano Charles Q. Brown Jr. ha presentato al capo di Stato maggiore israeliano, Herzi Halevi, una proposta alternativa all’invasione via terra. 

Il piano prevederebbe la messa in sicurezza del confine con l’Egitto, l’isolamento di Rafah e il lancio di raid aerei mirati. Il tutto sarà gestito da un centro di controllo congiunto tra Stati Uniti e Israele per coordinare le operazioni.

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Il gabinetto di guerra ha più volte annunciato di non voler fare marcia indietro nonostante una risoluzione delle Nazioni unite con la quale si chiede un cessate il fuoco fino alla fine del mese di Ramadan (9 aprile). 

Un aereo dell’aeronautica israeliana ha bombardato il cortile dell'ospedale al Aqsa nella città di Deir al Balah, il più importante della zona centrale di Gaza, provocando diverse vittime.

Diplomazia

Al momento l’accordo tra le parti è molto lontano. «Non si parla ancora di un nuovo round di negoziati. Vogliamo risposte riguardo alla cessazione dell'aggressione, al ritiro da Gaza, al ritorno degli sfollati e alla ricostruzione di Gaza», ha detto l’esponente di Hamas Osama Hamdan ad Al Jazeera. «L’occupazione non ha fornito alcun impegno nelle sue risposte, e le sue risposte sono state un tentativo di procrastinare. Apprezziamo gli sforzi dei mediatori, ma la parte israeliana sta cercando di ostacolare i negoziati. Se l'intransigenza israeliana continua, gli sforzi dei mediatori si troveranno di fronte a un vicolo cieco. La parte israeliana vuole soltanto recuperare i suoi prigionieri e continuare apertamente l'aggressione», ha aggiunto Hamdan.

Durante un incontro al Cairo i ministri degli Esteri di Egitto, Giordania e Francia hanno lanciato un appello per un «cessate il fuoco immediato e permanente» e il rilascio di tutti gli ostaggi. 

Il ministro degli Esteri francese Stéphane Séjourné ha anche annunciato che l’Eliseo presenterà una proposta di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu per chiedere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e allo stesso tempo prevedere una soluzione politica della guerra in corso tra Hamas e Israele. 

Il governo libanese, invece, presenterà una denuncia «urgente» al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per l’attacco contro un gruppo di osservatori internazionali della missione Unifil avvenuto lungo il confine con Israele e attribuito a Tel Aviv. 

Secondo Beirut si è trattata di una violazione del «diritto internazionale e umanitario». Nell’attacco sono rimasti feriti una cilena, un norvegese, un australiano e un traduttore libanese. Fortunatamente non ci sono vittime. Israele ha negato ogni responsabilità.

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